Alimentazione

Dieta proteica? Sì, ma senza carne

L’eccesso di proteine è dannoso per la salute dei reni, ma sfruttando le proprietà di quelle vegetali e del pesce si può perdere peso senza correre rischi.

Una dieta corretta deve apportare energia e nutrienti sufficienti a mantenere un buon stato di nutrizione e di salute. Ciò significa che deve fornire, nel giusto rapporto fra loro, tutti i nutrienti energetici, quelli che apportano “calorie”: carboidrati, proteine e grassi. L’equilibrio tra i “nutrienti energetici” deve essere tale che il 55-60% delle calorie provenga dai carboidrati, il 10-12% dalle proteine e meno del 30% dai grassi. Una dieta equilibrata apporta anche la giusta quantità di tutti gli altri nutrienti non energetici: acqua, vitamine, sali minerali, fibra alimentare ed antiossidanti.

Per dimagrire, senza penalizzare i muscoli, è necessario introdurre una buona quantità di proteine, gli aminoacidi essenziali che il corpo non può sintetizzare da solo. “L’ideale è consumare regolarmente proteine animali di altro tipo come le uova (alimento completo), il pesce (ricco di acidi grassi Omega 3 ottimi anche per la salute dell’organismo) e le proteine vegetali – meno complete – ma comunque molto importanti – sottolinea la Dottoressa Paola Caminiti – Medico Chirurgo Nutrizionista a Saronno (VA). Il tutto da consumare nelle giuste proporzioni, ogni giorno, a seconda della costituzione della persona, del sesso e delle attività che compie nel corso della giornata. È consigliato anche bere molta acqua (circa 2 litri) per cercare di smaltire al meglio le tossine che rischiano di accumularsi con questo tipo di alimentazione”.

Tra i diversi regimi alimentari che si possono seguire, la Dieta Proteica (chiamata anche “low carb” per lo scarso apporto di carboidrati) è quella che dà i risultati più stabili. Rispetto ad alcune diete più veloci, che però hanno bisogno poi di un regime di mantenimento, la Dieta Proteica è efficace per dimagrire anche sul lungo periodo, perché meno drastica.

Gestita esclusivamente dai nutrizionisti, rappresenta un vero e proprio trattamento dietetico in grado di garantire, in totale sicurezza, la perdita di massa grassa ed il mantenimento della massa magra. Uno strumento nelle mani del medico per una rapida e fisiologica perdita di peso nella maggior parte delle tipologie di “sovrappeso” con indice di Massa Corporea  (MBI – Body Mass Index) al di sopra del range di normalità. Ma non è tutto: la Dieta Proteica agisce anche nei soggetti con adiposità localizzate e con massa corporea nella norma.

“Questo significa che la perdita di peso – puntualizza la Dottoressa Caminiti – riguarderà esclusivamente il grasso, mentre la struttura muscolare rimarrà sana; tutto questo si traduce in un aspetto sodo e tonico, ma non solo. Un regime dietetico di questo tipo elimina tutti quei fastidi che sono propri di una dieta che eccede in carboidrati: sonnolenza, stanchezza cronica, senso di pesantezza, difficoltà di concentrazione. La Dieta Proteica, dopo un periodo di adattamento in cui il corpo deve abituarsi alla diminuzione degli zuccheri, consente di sentirsi più vivaci, positivi e molto più carichi di energia”.

Infatti, più che una Dieta, quella Proteica è un regime alimentare. Permette di mangiare molto e di variare a discrezione, senza dover sentire fame. Questo è un punto a favore perché il primo passo per seguire una dieta è essere felici di farla e questa dieta, non precludendo il gusto, farà soffrire di meno la variazione alimentare. Inoltre, è molto apprezzata perché una volta capiti gli alimenti che si possono consumare, nella maggior parte dei casi i quantitativi sono liberi e non ci sono restrizioni caloriche molto forti.

Come dice la parola stessa, la Dieta Proteica è un sistema nutrizionale che si basa soprattutto sulle proteine, che rispetto alle altre sostanze hanno due vantaggi: non possono essere immagazzinate e producono soltanto quattro calorie al grammo. Le proteine in eccesso vengono quindi eliminate, a differenza dei glucidi in eccesso, che producono le stesse calorie, ma vengono conservati sotto forma di grasso corporeo, come riserva energetica.

Mangiando proteine – che hanno un elevato potere saziante – si brucia più energia anche senza far niente. Inoltre, la cosa che rende la Dieta Proteica ipocalorica funzionale è che riduce di molto l’appetito, allevia la voglia di cibo e di spuntini vari, che sono il principale nemico della linea. Grazie a questi accorgimenti si riesce a perdere peso già dalla prima settimana.

Subito più magre…

Grazie ad una drastica riduzione dei carboidrati con indice glicemico medio ed alto, la dieta proteica, tiene sotto controllo la produzione di insulina, l’ormone che deposita gli zuccheri all’interno delle cellule adipose, trasformandoli in grasso corporeo (lipogenesi).

“Per velocizzare la perdita di peso – osserva la Dottoressa Caminiti – il piano nutrizionale proposto mira a creare le condizioni giuste per avviare la cosiddetta lipolisi: il processo metabolico di destoccaggio dei grassi che viene stimolato sostituendo i carboidrati con alimenti proteici come carne magra, prodotti ittici ed uova”.

Così, in appena 48 ore, le riserve di zuccheri dell’organismo si esauriscono poiché usate per il mantenimento delle funzioni vitali. Mentre per produrre l’energia necessaria, il corpo viene sollecitato a riconvertire rapidamente i depositi di grasso in zuccheri da utilizzare e smaltire. Un effetto “brucia-grassi” ulteriormente velocizzato se si pratica regolare attività fisica.

Più toniche

Le proteine della dieta nutrono il tessuto muscolare, in più, lo sport permette di smaltire più velocemente gli accumuli di adipe e potenzia la muscolatura rassodando la silhouette. Il risultato? Come accennato una dieta snellente che intacca la massa grassa senza scalfire quella magra. “Il mio consiglio – dice la Dottoressa Caminiti – è di preferire un’attività di tipo aerobico, lo sforzo fisico ideale per bruciare i grassi, ma l’allenamento deve essere graduale. Sì, allora ad una camminata a passo veloce fino ad arrivare a circa diecimila passi al giorno”. La Dieta Proteica non è utile solo quando si deve perdere peso, ma anche ai fini sportivi: i principi della dieta vengono spesso usati in palestra da chi vuole aumentare la propria massa muscolare o definirsi maggiormente.

Schema alimentare da seguire

Pesce: cinque-sei volte alla settimana.

Legumi: tre volte alla settimana.

Formaggio light: tre volte alla settimana.

Uova: due volta alla settimana.

Nella dieta devono essere sempre presenti i “carboidrati intelligenti”, ovvero quelli provenienti da frutta e verdure (per bilanciare i valori e le sostanze ed evitare scompensi) e dai cereali integrali, che garantiscono il giusto apporto di fibre (almeno 25 gr, al giorno). In questo modo si ottiene il giusto rapporto tra proteine, lipidi, carboidrati, vitamine e sali minerali. Si possono bere bevande dietetiche ed assumere dolcificanti artificiali, ma con moderazione; meglio evitare la birra o i superalcolici perché contengono zuccheri e carboidrati.

Insomma, perdere peso con la Dieta Proteica è possibilea patto di essere seguiti da un nutrizionista e di non farla diventare uno stile alimentare continuo. Questo stile alimentare deve essere praticato per un periodo di tempo limitato e poi seguito da un mantenimento riequilibrante. Solo in questo modo si potrà perdere peso in modo sano e senza effetti collaterali.

Per quanto riguarda l’utilizzo degli integratori alimentari da associare alla Dieta Proteica questo dipende dall’abilità del medico nel fornire al paziente tutti i nutrienti necessari e dalla capacità di autogestione del soggetto in terapia alimentare.

Per concludere non è una novità: ridurre l’apporto calorico allunga la vita. Una recente indagine ha verificato come ridurre del 15% le calorie introdotte normalmente fa vivere di più e meglio. Il motivo? Una dieta ipocalorica rallenta del 10% il metabolismo durante il sonno e fa scendere la temperatura corporea. Di conseguenza, si dorme più a lungo e meglio. Lo studio ha anche dimostrato che tutto ciò diminuisce del 20% lo stress ossidativo cellulare, il primo responsabile dei danni al DNA. Ecco spiegato perché limitare il consumo di cibo tiene lontane molte malattie, assicurando una vita più longeva.

Qualche considerazione…

Quando si ha una vita attiva dimagrire e rimanere in forma diventa più facile, servono però anche i nutrienti giusti per mantenere tonici i muscoli ed avere sempre la giusta carica energetica. La carne, contrariamente a quello che a volte si pensa, non è necessaria: basta introdurre proteine differenti che danno forza e saziano.

Meno Zuccheri, Più proteine

Tra i cibi da preferire pesce, uova e latticini a ridotto apporto di grassi. Sì, poi anche a vegetali di stagione e a frutta secca come noci e mandorle, fonte di proteine, oltre che di grassi buoni. No, invece, a zucchero aggiunto e/o a prodotti contenenti zuccheri o similari. Per condire, oltre a spezie e a salse non caloriche, due cucchiai di olio extravergine d’oliva da ripartire tra pranzo e cena.

Stefania Bortolotti

Con la consulenza della Dottoressa Paola Caminiti – Medico Chirurgo Nutrizionista a Saronno (VA) – www.caminitipaolamedicalspa.com

LA VITAMINA D: COME E QUANDO INTEGRARLA CORRETTAMENTE

Attualmente parlare di vitamina D è di moda. È un argomento molto discusso sui siti web, su molte riviste, tra amiche ed a lavoro, però alcune volte il medico è l’ultimo ad essere consultato. Cʹ è da chiedersi quindi, se sappiamo veramente di cosa parliamo.

La vitamina D è così chiamata perché è stata scoperta dopo la vitamina A, la B e la C, ma non è una vitamina.
È un pro ormone liposolubile che comprende un gruppo di molecole simili agli ormoni steroidei denominate secosteroidi che sono la vitamina D1, D2, D3, D4, D5 (fig.1).

Di queste cinque, solo la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo) sono contenute negli alimenti e rispettivamente, la vitamina D2 è contenuta nelle piante e nei funghi e la vitamina D3 nel pesce grasso (tonno, salmone, sgombro), nelle uova e nei prodotti caseari.

Purtroppo, in questi alimenti il contenuto di vitamina D è poco e variabile e quindi, la nostra principale fonte è l’esposizione della cute alla luce solare. La vitamina D è metabolizzata dal fegato e dai reni. Il fegato idrossila una prima volta la vitamina che viene poi, ulteriormente idrossilata dai reni in 1,25(OH)2 D che è la forma ormonale biologicamente attiva. Molti sono gli studi che parlano dei possibili effetti della 1,25(OH)2 D su diversi organi (Fig.2). Si ipotizzza che questo ormone possa aumentare la forza e la coordinazione dei muscoli, ridurre la pressione arteriosa ed il tono vasale, migliorare la funzionalità cardiaca, avere effetti positivi sulle malattie croniche, effetti immunoprotettivi, neuroprotettivi ed antitumorali ed un deficit di vitamina D sembrerebbe associato ad un maggior rischio di sviluppare diabete ed asma (Norman A.W. 2008; Casado E. 2017). Bisogna però, fare molta attenzione perché molti di questi effetti e dei relativi meccanismi non sono ancora chiari e ben definiti e mancano dati basati sulle evidenze scientifiche (Ciaferotti e coll. 2017, Autier P. e coll. 2017). Ma cosa fa la vitamina D? possiamo dire che il ruolo di questo ormone nella prevenzione e nel trattamento delle malattie metaboliche ossee attraverso la regolazione dei livelli plasmatici di calcio e fosforo è ormai certo ed ampiamente riconosciuto. La vitamina D aumenta l’assorbimento intestinale e renale di calcio e mobilizza il calcio ed il fosforo dall’osso ed un suo deficit stimola un aumento del paratormone che conseguenzialmente aumenta l’assorbimento di calcio a livello renale. Una carenza di vitamina D, oltre a contribuire alla comparsa di una debolezza muscolare stimola quindi, un aumento della sintesi del paratormone che determina un aumento della perdita della massa ossea, inoltre una diminuizione dell’ assorbimento di calcio può portare ad un deficit di mineralizzazione ossea ed osteomalacia. Quali sono i valori normali di vitamina D? Al momento non vi è un accordo tra le diverse società scientifiche visto che i livelli plasmatici di questo ormone posso variare in rapporto alla stagione, al luogo dove si vive, al sesso, al colore della pelle ed all’obesità. Sembrerebbe che i livelli plasmatici di vitamina D aumentino in estate e siano più alti al sud, mentre diminuiscano tra le femmine e negli obesi. Nel 2011 sono state aggiornate le soglie plasmatiche di riferimento della carenza, insufficienza e sufficienza di questo ormone. Si parla di una sua carenza se il livello plasmatico risulta inferiore a 20 ng/ml, di insufficienza se risulta tra i 20 e 30 ng/ml e di sufficienza se è tra i 30 e 100 ng/ml (Holick M.F. e coll. 2011). Integrare la vitamina D è semplice, può essere assunta sottoforma di gocce, capsule o flaconcini. Purtoppo, abbiamo detto che il più delle volte con la sola dieta e l’ esposizione solare non si raggiungono dei livelli sufficienti di vitamina. Quindi, in caso di carenza ed insufficienza il medico supplementerà questo ormone con assunzioni giornaliere o settimanali o mensili e secondo dosi suggerite dalle attuali linee guida. Il tipo di terapia dipende dal paziente, dalla sua collaborazione e dall’aderenza al programma terapeutico. Inoltre, le modalità dipendono anche dal tipo di integrazione se con colecalciferolo o con calcifediolo. In genere, dopo circa 2 mesi di terapia si ripetono gli esami ematici per valutare il livello di vitamina raggiunto e decidere di proseguire con una dose di mantenimento. Quando si può consigliare di controllare la vitamina D? Nei giovani e nelle persone sane un controllo della vitamina D va fatto solo dopo aver consultato il medico, sarà infatti, il medico a valutare se è indicato eseguire un controllo. Invece, è necessario e doveroso sottoporre ad uno screening della vitamina D le persone affette da patologie ossee come l’osteoporosi e l’osteomalacia, gli anziani, soprattutto quelli con storia di cadute e fratture, le persone affette da sindromi da malassorbimento, quelle con insufficienza epatica ed insufficienza renale, con iperparatiroidismo, gli obesi, le donne in gravidanza ed allattamento e quelli che assumono i farmaci antiosteoporotici (Cesareo R. e coll. 2018). Tutte queste persone sono infatti, più a rischio di avere una insufficienza o carenza di vitamina D. La carenza di calcio e vitamina D rappresenta la causa più comune di mancata risposta alla terapia farmacologica antiosteoporotica per cui si raccomanda di associare sempre un adeguato apporto di calcio e vitamina D ad un qualsiasi trattamento farmacologico dell’osteoporosi. L’osteoporosi è infatti, una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una ridotta massa ossea e da alterazioni qualitative dell’osso che si accompagnano ad un aumento del rischio di frattura (Adami S. e coll. 2009). La diagnosi di osteoporosi si fa eseguendo una indagine densitometrica la così detta DEXA (Dual Energy X-ray Absorptiometry) che oggi consente di misurare in modo preciso la densità minerale ossea per poter valutare il rischio di frattura. Questo esame è raccomandato nelle donne dopo i 65 anni di età e nei maschi e femmine di età inferiore, ma che presentano dei fattori di rischio: che siano in menopausa precoce (prima dei 45 anni), magri ( con peso inferiore ai 57 kg) , nei fumatori, in quelli che fanno uso di farmaci osteopenizzanti (cortisonici, psicofarmaci ecc.). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità siamo davanti ad una osteoporosi se all’esame DEXA il T-score è inferiore a -2.5 DS e ad osteopenia, se il T-score è compreso tra -1,0 e -2,5 DS (Fig.3). In conclusione, non tutti hanno bisogno di supplementare la vitamina D. Questa va supplementata solo quando nei soggetti a rischio, se ne documenti una insufficienza o carenza e sempre sotto il controllo del medico. Una adeguata assunzione di vitamina D e calcio è necessaria quando si assumono i farmaci per l’osteoporosi (bifosfonati, ralenato di stronzio, teriparatide, denosumab). Infine, è importante sottolineare che l’efficacia terapeutica di questa vitamina è garantita solo a livello del metabolismo scheletrico, per le altre possibili applicazioni, anche se i dati sperimentali sono molto promettenti, attualmente non abbiamo studi clinici randomizzati a garantirne e giustificarne l’utilizzo. L’intergrazione di questo ormone quindi, non deve essere una moda, ma va fatta in modo corretto secondo dosaggi e modalità stabilite dal medico per evitare inutili spese e possibili effetti tossici.

Alimentazione e carie: come comportarsi?

La dieta e le abitudini alimentari influenzano direttamente la salute orale.

Possiamo infatti distinguere fra alimenti:
-CARIOGENI (alto rischio di carie): cibi acidi (compresi agrumi e bevande dolci), zuccheri semplici o contenuti in alimenti o nelle bevande (zucchero, miele, fruttosio, frutta candita, cereali, pane, dolci).
-CARIOSTATICI (neutri): la maggior parte delle verdure (cotte e morbide), cibi proteici (carne e pesce) e grassi (formaggi freschi e uova).
-ANTICARIOGENI (contrastano la formazione della carie): frutta fresca non acida, frutta secca (mandorle, noci…), verdure fibrose e crude, formaggi stagionati e latte, acqua e bevande alcaline e senza zuccheri, cibi di consistenza elevata, da masticare, fibrosi, poco adesivi e alcalini.

Ecco quindi qualche consiglio:

1. Non consumare alimenti cariogeni a fine pasto o in occasione degli spuntini, soprattutto se si è fuori casa e non è possibile lavarsi subito i denti.

2. Tuttavia, gli alimenti cariogeni non devono essere esclusi dalla dieta perché spesso contengono nutrienti preziosi (es. Vitamina C), ma devono essere preferibilmente consumati in associazione a cibi anticariogeni o cariostatici.

3. Il latte e i suoi derivati, soprattutto i formaggi stagionati, sono un toccasana per i denti.

4. L’acqua è vitale per la salute dei denti e della bocca: bere un bicchiere d’acqua dopo aver mangiato è una buona pratica di igiene orale.

5. La saliva ha un effetto respingente ed aiuta a rimuovere i detriti dalla bocca. È consigliato, quindi, masticare alimenti duri poiché aumentano il flusso salivare.
Invece i cibi morbidi e appiccicosi aderiscono più facilmente ai denti, favorendo l’accumulo di placca batterica, che può portare allo sviluppo della carie.

SEI DONNE SU 10 VOGLIONO PANCIA PIATTA E GLUTEI SCOLPITI

Per il 75% delle rappresentanti del gentil sesso, il nuovo anno fa rima con ‘recupero della forma fisica’, con una particolare attenzione alla ‘battaglia’ nei confronti della cellulite. Per la maggior parte delle italiane la priorità è riacquistare le curve giuste del lato b e avere un addome da invidia. E in loro aiuto arrivano innovativi trattamenti hi-tech.
Passare più tempo in famiglia (85%), ma anche prendersi cura di se stesse (82%) a partire da un’attenzione maggiore nel recupero della propria forma fisica (75%).
Con l’inizio di un nuovo anno è abitudine diffusa fare una lista di buoni propositi da attuare e mantenere per i successivi 12 mesi. In cima alla classifica quest’anno spicca una particolare attenzione al proprio benessere. Per le donne italiche l’obiettivo è chiaro: in primis, smaltire le calorie accumulate dalle recenti abbuffate natalizie, e fare di tutto per liberarsi da quello che per 8 donne su 10 è il peggior nemico, la cellulite.Una problematica generata da un accumulo di adipe e che, come rilevato dallaSocietà Italiana di Medicina e Chirurgia Estetica, nel 95% dei casi colpisce le donne e nel 5% gli uomini e che si concentra soprattutto nell’interno ed esterno coscia e glutei, considerate zone sensibili per la vanità femminile. In cima ai buoni propositi, per 6 donne su 10 (58%) spicca il rassodamento a glutei, seguito da addome (57%), interno coscia (55%). Per 1 su 2, il 49% delle donne, un aiuto può arrivare direttamente dalla tecnologia, vista come un alleato con cui recuperare le curve giuste attraverso trattamenti mirati ed efficaci. Ad aiutare le donne a rimodellare le proprie forme è l’innovativo trattamento hi-tech Icoone considerato dagli esperti come il più efficace.
È quanto emerge da uno studio condotto da Esthelogue – appartenente al Gruppo El.En. che da oltre trent’anni produce tecnologie laser per la medicina, la dermatologia e la chirurgia – attraverso con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su circa 1800 italiane di età compresa tra i 18 e i 65 anni, attraverso un monitoraggio online sui principali social network, blog, forum e community dedicate, oltre che su 70 testate internazionali, per scoprire quali sono i buoni propositi delle italiane legati alla cura del proprio corpo.
“Grazie al suo sistema di rullo con 1.160 micro-alveoli – spiega il prof. Maurizio Cavallini, specialista in chirurgia plastica e responsabile del servizio di dermato-chirurgia del Centro Diagnostico Italiano di Milano – Icoone Laser interviene su più fattori garantendo maggiori risultati: il miglioramento della circolazione grazie a massaggio ed al led; il miglioramento della tonicità cutanea grazie al laser; il miglioramento della circonferenza laddove si determinano gli accumuli di grasso; il miglioramento del grado di ritenzione grazie al sistema a vuoto. I benefici – conclude il prof. Cavallini – cominciano a vedersi già dopo 2-3 sedute ma si consolidano dopo una dozzina di sedute. Quindi per vedere in modo significativo un risultato occorrono circa tre mesi di tempo. Ma occorre considerare che la lotta alle cellulite non può durare tre mesi, dal momento che anche dopo il trattamento occorre tenere uno stile di vita che permette di continuare a combattere questo inestetismo molto fastidioso e un programma di mantenimento eseguito conIcoone per permettere un risultato e un beneficio più costanti nel tempo”.
Ad essere più sensibili sono soprattutto le over 35 (48%), seguite dalle fascia che va dai 25 ai 30 (43%). Un’esigua minoranza è invece rappresentata dalle ragazze dai 18 ai 24 anni (9%) che, seppur ancora giovani, dimostrano di prestare una particolare attenzione al loro corpo.
E come raggiungere l’agognato obiettivo? Per 1 donna su 2 la soluzione rimane la palestra (58%) dove seguire un piano di esercizi mirato e continuativo; senza dimenticare l’abbinamento con un regime alimentare controllato e bilanciato (51%). Ma non solo questo: per poter ottenere dei risultati mirati e duraturi, il 49% delle rappresentanti del gentil sesso, un aiuto arriva direttamente dalla tecnologia, grazie ad apparecchiature brevettate con cui ottenere un rimodellamento del corpo. Tra questi, tra i più diffusi è il sistema brevettato Icoone,
Essere più belli genera dei riflessi anche su come ci si vede nei confronti degli altri e di se stessi: per questa ragione sono in molti a ritenere che pensare più a se stessi dal punto di vista fisico, permetta anche di ‘rigenerare’ la propria autostima.
“Legittimo cercare la bellezza e la forma fisica – afferma Michele Cucchi, psichiatra e direttore sanitario del Centro Medico Santagostino di Milano – Legittimo perché la vanità aiuta, come spinta pro sociale,  a piacersi e piacere agli altri e quindi a inserirci come animali sociali nei gruppi”.

I SEI BUONI PROPOSITI DELLE DONNE ITALIANE:

FONDO SCHIENA TONICO E PERFETTO DI SHAKIRA (58%)
PANCIA PIATTA COME BAR RAFAELI (57%)
INTERNO COSCE LEVIGATO DI GISELE BUNDCHEN (55%)
BRACCIA TONICHE DI MARIA SHARAPOVA (49%)
I POLPACCI AFFUSOLATI ALLA JULIA ROBERTS (43%)
GINOCCHIA BEN TORNITE DI EMMA STONE (38%)
 

L’alimentazione per prevenire e curare il diabete

Il diabete colpisce in Italia 3 milioni circa di persone, cioè il 4,9 % della popolazione. A questi vanno aggiunti circa 1,6 milioni di persone affette da diabete senza esserne a conoscenza e altri 2,6 milioni di persone che sono affette da una forma di alterazione del metabolismo dei carboidrati, detta ipotolleranza glucidica, che rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare e si trasforma spesso in diabete vero e proprio. Secondo l’andamento della malattia nel 2030 i diabetici in Italia saranno circa 5 milioni. Nel mondo, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità i diabetici sono 336 milioni e nel 2030 si stima raddoppino. Esistono farmaci, oltre all’insulina, per curare il diabete, ma la maggior parte delle persone con diabete ha nella terapia alimentare e nel movimento fisico il fulcro della cura. Le stesse indicazioni peraltro valgono anche per la prevenzione della malattia.

Quali sono le cause del diabete?
Il diabete (tecnicamente detto “mellito” ma generalmente conosciuto come diabete) è una malattia caratterizzata da iperglicemia, cioè da un aumento del glucosio nel sangue. Esistono due forme principali di diabete dette “tipo1” e “tipo2”.
Il diabete tipo 1 è conseguente alla distruzione, con un meccanismo autoimmune, delle cellule Beta del pancreas. Queste sono proprio le cellule deputate alla produzione di insulina che è l’ormone destinato a tenere nel giusto valore lo zucchero nel sangue. Quando la distruzione delle cellule beta supera circa l’80% le restanti cellule beta non riescono a produrre insulina in quantità adeguata e si manifesta dunque l’innalzamento della glicemia. Il diabete tipo 1 (una volta chiamato insulinodipendente) è quello tipico dei bambini e dei giovani, ma può comunque manifestarsi anche in età adulta.
Il diabete tipo 2 invece è conseguenza di una cattiva funzione dell’insulina (insulinoresistenza) causata da un eccesso di grasso, specialmente quello localizzato nell’addome. Il grasso addominale dunque genera insulinoresistenza, cioè inadeguata funzione dell’insulina. Le cellule beta cercano di compensare l’insulinoresistenza aumentando la produzione di insulina e generando un aumento del tasso ematico insulinemico (iperinsulinemia). Quando però, verosimilmente per cause genetiche, nel tempo le cellule beta non riescono a sostenere questa aumentata produzione compensatoria, allora l’attività insulinica diventa inadeguata e si manifesta l’iperglicemia. Dunque la causa iniziale del diabete tipo 2 consiste, nella maggior parte dei casi, nella presenza di eccesso di adipe, specialmente se localizzato nell’addome. Il diabete tipo 2 (una volta chiamato non-insulinodipendente) è tipico dell’adulto, ma da alcuni anni, a causa dell’aumento dell’obesità infantile, si manifesta anche nei bambini.
Va saputo che nella popolazione generale adulta è francamente obeso il 10% e sovrappeso il 44%.
E’ evidente che se se il diabete tipo 1 trova la sua causa nella mancanza di insulina, la terapia non potrà prescindere dalla somministrazione dell’ormone carente. Nel diabete tipo 2 invece, dove la causa prima del processo patologico è l’eccesso di grasso addominale, il nucleo centrale della terapia è costituito dal dimagramento.

Fattori di rischio

Età. Con l’aumentare dell’ età il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 aumenta. E piuttosto basso fino verso i 45 anni mentre dopo aumenta sensibilmente e progressivamente. Purtroppo l’età è un fattore di rischio non modificabile. Tuttavia più l’età è avanzata e più si devono tenere sotto controllo gli altri fattori di rischio e migliorare lo stile di vita ed effettuare lo screening per la diagnosi precoce.

Familiarità. Avere un familiare di primo grado (genitore o fratello) affetto da diabete mellito di tipo 2 aumenta notevolmente il rischio di sviuppare la malattia perchè il diabete ha una forte componente genetica nel suo sviluppo. Anche se il parente aveva un diabete con una iperglicemia lieve, la malattia va pur sempre considerata come fattore di rischio. Non esiste “diabete di poco peso”, perche l’impronta genetica si trasmette anche se la glicemia non è particolarmente elevata. D’altro canto definizioni come dibete senile o diabete alimentare, che vorrebbero indicare forme di diabete di scarsa pericolosità, non hanno nessun riscontro nella clinica. Naturalmente familiare o ereditario non significa inevitabile. Anzi, se si applicherà uno stile di vita attivo e si eviterà di ingrassare le probabilità si ridurranno di molto.

Glicemia. Se si è avuta in passato una glicemia superiore al normale (la glicemia è normale fino a 100 mg/dl), come può essere successo in gravidanza o durante una malattia stressante o per altre cause ancora, il rischio di sviluppare la malattia è elevato anche se la glicemia è poi tornata nella norma. In questi casi è obbligatorio ricontrollare la glicemia almeno ogni anno anche se il risultato è normale.

BMI (Body Mass Index). Il BMI o indice di massa corporea, è la stima più usata per valutare l’adeguatezza del peso di un individuo. Si calcola dividendo il peso in chili per l’altezza in metri al quadrato o, forse piu semplicemente, dividendo il peso in chili per l’altezza in metri e poi dividendo nuovamente il risultato ottenuto per l’altezza in metri. Un valore di BMI sotto 20 è indice di magrezza, tra 20 e 25 è nella norma, tra 25 e 30 è indice di sovrappeso, oltre 30 è diagnostico di obesità. Sovrappeso e obesità sono gravi fattori di rischio per il diabete.

Circonferenza vita. Una circonferenza addominale, misurata all’altezza dell’ombelico di oltre 102 cm nell’uomo e 88 nella donna e indice di una eccessiva quantita di grasso a livello dell’addome. Questo rappresenta un fattore di rischio notevole di sviluppare il diabete perche è proprio il grasso addominale che maggiormente determina insulinoresistenza. Il grasso della braccia e delle cosce di per sè sembra meno pericoloso da questo punto di vista.

Attività fisica e sedentarietà. Una scarsa attività fisica e la sedentarietà di per sè sono un fattore di rischio per il diabete. Occorre combatterli con una attività fisica che preveda almeno 150 minuti di esercizio aerobico come una camminata a passo vigoroso. Ultimamente si è visto che l’aggiunta di sedute di esercizio fisico contro resistenza possono ulteriormente migliorare l’effetto dell’attività fisica.

Macrosomia. Aver partorito un bambino di peso superiore ai 4 kg rappresenta per la donna un
Le complicanze del diabete. Prevenire o curare adeguatamente il diabete è importantissimo in quanto esso comporta complicanze gravi sia dal punto di vista umano che dal punto di vista dei costi dell’assistenza. Il diabete è infatti causa di retinopatia e cecità, insufficienza renale e dialisi, infarto miocardico, ulcere del piede e amputazioni.

La terapia nutrizionale
Nei tempi passati si riteneva che le persone con diabete dovessero tenere una alimentazione speciale, del tutto diversa dagli altri, e soprattutto alquanto ristretta in carboidrati. Da alcuni anni invece si è ben diffuso il concetto che le persone con diabete devono si mangiare in modo sano, ma non diversamente da quanto debbono fare le persone senza diabete. Insomma, i consigli che diamo alle persone con diabete sono gli stessi che dovrebbero seguire tutti per tenere una alimentazione che faciliti lo stare in salute. E lo stile alimentare che si adotta per la cura del diabete dell’adulto è lo stesso che è utile nella prevenzione. Tra i vari stili alimetari, quello che è universalmente ritenuto il piu efficace è la nota dieta mediterranea.
In cosa si caratterizza questo modello?
Esso rappresenta lo stile alimentare che le popolazioni del bacino mediterraneo tenevano negli anni 50 quando uno studioso, Ancel Keys, confrontò la incidenza delle malattie cardiovascolari con gli stili alimentari di sette paesi (seven Country study): Finlandia, Giappone, Stati Uniti, Iugoslavia, Grecia e Italia.
Il risultato fu che i paesi del bacino mediterraneo avevano una incidenza di malattie cardiovascolari assai inferiori agli altri paesi. Ciò corrispondeva ad una alimentazione che per i primi era particolarmente ricca di carboidrati complessi (amidi) e verdure (fibre) mentre per i secondi era particolarmente ricca di grassi animali (saturi). Naturalmente va sottolineato che si tratta di stili alimentari degli anni 50, quindi non si deve certo ritenere che la dieta mediterranea, intesa come modello salutare di alimentazione, abbia molto a che fare con l’alimentazione che in Italia si pratica attualmente.
Le caratteristiche peculiari della dieta mediterranea erano l’abbondante presenza di cereali, come pane, pasta, riso ma anche mais, orzo, farro; dalla presenza di legumi come fagioli, ceci, lenticchie; dalla abbondante presenza di verdura e frutta fresca, dalle ricca presenza di olio vegetale (vergine di oliva) e dalla ridotta presenza di carni che comunque erano preferibilmente carni “bianche” (pollame, coniglio, pesce) piuttosto che carni “rosse” (bovini, maiale)

La perdita di peso. Il sovrappeso o la franca obesità, come abbiamo visto, sono un importante fattore di rischio per lo sviluppo del diabete e una causa stessa nella maggior parte di casi della malattia. E’ dunque fondamentale ridurre il peso corporeo, sia per curare il diabete, sia per cercare di prevenirlo. E’ sufficiente la perdita del 5-10% del peso per avere, da una parte, una consistente diminuzione del rischio di diventare diabetici, e dall’altra un adeguato miglioramento delle glicemie in quanti hanno già sviluppato la malattia. Naturalmente nei casi in cui sia possibile raggiungere traguardi piu ambiziosi di calo ponderale li si potranno perseguire, avendo però valutato attentamente il rischio di “ricaduta”. Maggiore è lo sforzo che si fa per dimagrire e maggiore sarà il rischio di riprendere peso, magari superando quello di partenza. Perdere peso tuttavia è tutt’altro che facile. Quasi tutti i regimi alimentari ristretti in calorie sono in grado, nel breve periodo, di determinare una diminuzione della massa grassa corporea. Dopo qualche tempo però, il risultato generalmente si perde. Lo stile alimentare che sembra meglio conservare il risultato raggiunto è proprio la dieta mediterranea associata ad una modifica dello stile di vita. Va specificato che difficilmente un dimagramento potrà essere conseguito e, soprattutto conservato, se non si associa alla dieta un incremento della attività fisica.

L’introito calorico. Dunque i soggetti in sovrappeso o obesi, sia che siano a rischio di diabete, sia che siano già diabetici, dovranno ridurre il proprio introito di calorie. E’consigliabile una riduzione calorica moderata di circa 500 Kcalorie ed un aumento equivalente del dispendio energetico da movimento. Non si ritiene prudente indicare una dieta con meno di 1300 Kcalorie in un paziente seguito ambulatorialmente. E’ sottinteso che se una persona è in peso corretto (BMI < 30) non ha bisogno di restringere il proprio apporto calorico, mentre restano ovviamente validi gli altri suggerimenti sulla qualità della dieta. La glicemia postprandiale e i carboidrati. La quantità e la qualità dei carboidrati sono il principale determinante della glicemia postprandiale. L’innalzamento della glicemia postprandiale nei diabetici rappresenta di per sè un fattore di rischio cardiovascolare oltre ad uno dei motivi di innalzamento dell’ emoglobina glicata assieme all’iperglicemia a digiuno. E importante contenere l’innalzamento glucidico postprandiale per ridurre l’innalzamento dell’insulina che ne deriva. L’iperinsulinemia infatti facilita di per sè la deposizione del grasso nei siti di deposito, specialmente addominale. Per contenere dunque l’iperglicemia postprandiale è suggerito un apporto di carboidrati complessi compreso tra il 45 e il 60%. Quanto maggiore è la percentuale dei carboidrati e tanto maggiore dovrà essere l’introduzione di alimenti ricchi in fibre e a basso indice glicemico al fine di contenere l’iperglicemia postprandiale.
Le fibre contenute nei vegetali infatti rallentano l’assorbimento del glucosio ed i cibi a basso indice glicemico danno naturalmente un più basso picco glicemico postprandiale. L’indice glicemico infatti è il rapporto tra la glicemia che si raggiunge con l’assunzione di una certa quantità di carboidrati contenuti in un alimento e la glicemia che si raggiunge con la stessa quantità di carboidrati contenuta in un alimento di riferimento che è il pane. Ci sono dunque alimenti che, a parità di contenuto di carboidrati, innalzano maggiormente la glicemia, come il pane, il riso o la pasta, ed altri che, pur contenendo la stessa quantità di carboidrati, la innalzano meno come pasta, legumi, frutta e latte. L’innalzamento glicemico postprandiale deriverà dunque dalla quantità dei carboidrati introdotti e dal loro indice glicemico. Il prodotto di questi due fattori prende il nome di carico glicemico ed è il parametro più corretto per valutare l’effetto dei carboidrati sulla glicemia postprandiale.

Proteine e grassi. Gli altri macronutrienti che oltre ai carboidrati sono contenuti negli alimenti sono le proteine e i grassi. In generale il suggerimento riguardo l’apporto di proteine è di introdurne tra 08-1 g per ogni chilo di peso corporeo. Negli anziani, specialmente se a rischio di perdita di massa muscolare, un apporto maggiore fino a 1,1 g per chilo di peso In definitiva una apporto percentuale tra il 10 e il 20% dell’apporto calorico. Una suddivisione del 50% tra proteine vegetali e animali viene suggerita, tuttavia non vi è preclusione verso la dieta vegetariana. In presenza di nefropatia conclamata non si supererà lo 0.8%.
L’apporto di lipidi andrà a completare il fabbisogno calorico con il 20-30 % delle calorie. I grassi saturi (di origine prevalentemente animale) dovranno essere contenuti entro il 10% essendo responsabili di innalzamento del Colesterolo LDL (cosiddetto cattivo). In caso di persone con innalzamento della colesterolemia tale quota dovrà scendere sotto 8%. Una particolare attenzione si dovrà porre a ridurre l’introito di grassi idrogenati e trans, come quelli contenuti nelle margarine e nei prodotti da forno e altri prodotti alimentari del commercio, in quanto hanno gli stessi effetti negativi sulla colesterolemia e sull’aterosclerosi dei grassi saturi. I grassi a questo scopo preferibili sono i grassi monoinsaturi di cui è particolarmente ricco l’olio di oliva. Alcuni grassi polinsaturi Omega 3, particolarmente presente nel pesce specialmente pesce azzurro e omega 6, presente nei frutti secchi hanno una buona efficacia nella riduzione delle malattie cardiovascolari. La loro efficacia comunque sembra legata alla presenza naturale negli alimenti e non alla additivazione nella dieta.

Le fibre. Un contenuto elevato di fibre alimentari, specialmente di tipo solubile come quelle dei legumi e della frutta, è raccomandato nella quantità di almeno 15 g ogni 1000 Kcalorie della dieta. Antiossidanti e vitamine naturalmente contenuti in verdura e frutta hanno pure un effetto particolarmente benefico.

E dunque nella pratica?
Vediamo in pratica come potrebbe essere composta l’alimentazione quotidiana per una persona che intenda prevenire o tenere sotto controllo il diabete dell’adulto (tipo 2).

Latte e latticini. Il latte a colazione è consentito, scegliendo preferibilmente quello scremato per ridurre la quantità di grassi, soprattutto saturi, anche se la quantità assoluta che si eliminerà non è grandissima. A colazione o durante la giornata lo yogurt, ancora scremato o parzialmente scremato, può essere assunto, contribuendo, assieme al latte, ad un adeguato apporto di calcio.

Pane pasta e riso. Il pane a colazione e ai pasti principali non è vietato. Come tutti gli alimenti ricchi in carboidrati dovrà essere consumato con moderazione per la sua capacità di innalzare la glicemia postprandiale e quindi di aumentare il livello insulinemico. In generale si consiglia di non prevedere nello stesso pasto due alimenti carboidratici come, per esempio, pane e pasta o riso. Ma naturalmente ciò dipenderà dalle reciproche quantità. Gli alimenti carboidratici saranno preferibili se prodotti con farina integrale, piu ricca in fibre. Abitualmente pensiamo al pane e alla pasta fatti con il grano. Ma anche gli altri cereali sono convenientemente utilizzabili: riso, granoturco, orzo, avena, segale, miglio, farro, kamut. Nell’uso della pasta è essenziale fare attenzione ai condimenti che possono essere pesanti veicoli di grassi.

Frutta e verdura. L’apporto di frutta e verdura è raccomandato fortemente. Essi contengono utili fibre, vitamine, antiossidanti. La frutta è ricca di zuccheri “semplici”, piu rapidamente assorbibili e che quindi in elevate quantità potrebbero facilitare l’innalzamento della glicemia postprandiale. Deve essere pertanto assunta in quantità più controllata e soprattutto è meglio se viene assunta intera piuttosto che spremuta perche in questo modo non si perdono le utili fibre. Il consiglio che è attualmente generalmente condiviso è che di frutta e verdura ne vengano assunte almeno cinque porzioni al giorno (qualcuno dice addirittura sette). Un frutto intero per pasto e una abbondante porzione di verdura ai pasti principali permette di avere un introito di fibre, vitamine e antiossidanti adeguato. Per le persone con diabete alcuni frutti particolarmente zuccherini come uva, fichi, babane, cachi e mandarini andranno consumati con attenzione essendo in grado di elevare maggiormente la glicemia postprandiale.
Legumi. Fagioli, ceci, lenticchie, piselli sono alimenti in grado di apportare una discreta quota di carboidrati complessi ma soprattutto di ottime fibre e proteine di discreta qualità. Se si vuole incrementare l’apporto di fibre, l’aumento del consumo di legumi è una strategia utilissima. Le proteine dei legumi, non sono di eccellente qualità ma è ben noto che se si consumano i legumi assieme ai cereali le carenze dei due gruppi si compensano. Pasta e fagioli e pasta e ceci della nostra tradizione ne sono una dimostrazione.

Carne. Le carni apportano proteine di ottima qualità e ferro ben assorbibile. Tuttavia sono ricche di grassi saturi, specialmente quelle di bovini (carni rosse). Dunque sarà opportuno contenere il consumo di queste ultime a vantaggio di moderate quantità di carni bianche come pollame e coniglio. Tutte le forme di carni conservate richiedono attenzione perchè generalmente hanno un alto contenuto di sale. Gli insaccati che contengono parti grasse dovrebbero essere veramente ridotti di molto.

Pesce. Il pesce e in generale i prodotti della pesca contengono ottime proteine e grassi particolarmente vantaggiosi come gli omega 3 che hanno importanti capacità protettive nei confronti delle malattie cardiovascolari. E consigliato di incrementare il consumo di pesce fino e 3-4 porzioni alla settimana.

Formaggi. I formaggi contengono grassi saturi derivati dal latte. Si consiglia di consumarli piuttosto raramente preferendo quelli molli che hanno un contenuto percentuale di grassi minore, come stracchino o mozzarelle. Va ovviamente tenuto presente che il formaggio rappresenta un “secondo” e non un aggiunta a fine pasto.

Olio, frutta secca e semi oleosi. L’olio extravergine di oliva sembra l’olio preferibile perché migliora l’assetto lipidico del sangue. Deve comunque essere consumato in quantità moderata per non introdurre troppe calorie. La frutta secca come noci e mandorle contengono acidi grassi polinsaturi (specialmente omega 6) che hanno anche essi un effetto favorevole sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari. Dunque qualche noce ogni tanto, tenendo conto dell’apporto calorico, può essere consumata con buon vantaggio.

Zucchero. Lo zucchero di casa in piccole quantità, di per se non è “vietato” specialmente se è contenuto all’interno di un pasto misto. Tuttavia ne va considerato l’apporto calorico e la possibilità di comportare incremento ponderale, insulinoresistenza e trigliceridemia.

Sale. la quantità giornaliera di sale deve essere contenuta in 6 grammi. L’obiettivo può essere raggiunto utilizzando poco sale per le cotture ed evitando di aggiungerne ai cibi successivamente e soprattutto ponendo attenzione a non eccedere nell’uso di alimenti ad alto contenuto di sale come insaccati formaggi e scatolame.

Vino. Una assunzione moderata di vino ai pasti, corrispondente ad un bicchiere per la donna e a due per l’uomo è consentita. Sono invece vivamente sconsigliati i superalcolici. Tuttavia va ricordato che il vino apporta una quantità di calorie di cui bisogna tenere conto e che facilità l’innalzamento dei trigliceridi.

Dott. Andrea Corsi