Articoli 2017

Sangue occulto nelle feci: prevenire il carcinoma del colon

Il programma di prevenzione del carcinoma del colon retto prevede l’esame a campione di sangue occulto fecale. Esso consiste nel ricercare, su di un campione di feci, tracce di sangue, non visibili ad occhio nudo.

Un dato aggiuntivo, che può indicare la presenza di un tumore o di uno stato infiammatorio delle mucose intestinali, come avviene ad esempio nella colite ulcerativa e nel morbo di Crohn è la ricerca della calprotectina fecale, che non rientra nel programma di screening abituale.

Uno studio multicentrico italiano, pubblicato sulla rivista medica European Journal of Gastroenterology and Hepatology, ha recentemente evidenziato come la sola ricerca del sangue occulto fecale non sia sufficiente per effettuare una corretta diagnosi, in quanto questo esame dà numerosi casi di falsi positivi, ovvero soggetti che, nel successivo esame di colonscopia, non presentano lesioni precancerose o neoplasie. Prima di procedere alla colonscopia, gli studiosi del multicentrico italiano, hanno valutato l’utilità di altri marcatori fecali, tra cui la piruvato-chinasi di tipo 2 (calprotectina).

La sua determinazione nelle feci può essere utilizzata come marcatore tumorale, perché è una proteina prodotta anche nelle cellule tumorali coliche, oltre che nelle cellule infiammatorie nel lume intestinale.

La ricerca del sangue occulto nelle feci serve, come lo stesso termine indica, a diagnosticare un sanguinamento occulto, cioè un sanguinamento che c’è, ma non si vede. L’esame macroscopico delle feci, cioè ad occhio nudo, non mostra tracce di sangue, ma l’esame microscopico, con il test al guaiaco o con quello immunologico, ne evidenzia la presenza.

Il sanguinamento oscuro è quel sanguinamento, che può essere palese od occulto, del quale non si conosce l’origine.

Il sanguinamento occulto, a sua volta, può essere determinato da una causa nota o da una ignota.

Il sangue nelle feci, visibile ad occhio nudo, è quello evidente macroscopicamente, e può presentarsi di colore rosso chiaro oppure rosso scuro fino al nero piceo. Il colore dipende dalla sede del sanguinamento all’interno del tubo digerente, poiché, quando viene digerito, il colore rosso del sangue vira al rosso scuro e poi al nero.

La valutazione clinica, sempre imprescindibile, indica al Medico l’eventuale necessità di successive indagini di laboratorio o strumentali, che partiranno da quelli di base, fino ad arrivare a quelli più specialistici.

La ricerca del sangue occulto fecale è prevalentemente un test di screening per il tumore del colon-retto, consigliabile a partire dai 45/50 anni di età, ma può essere utilizzato come metodica di indagine per altre patologie, come ad esempio le anemie da perdita ematica di causa ed origine oscura.

Questo test non ha valore per una diagnosi certa, sia in campo oncologico che clinico. Esso dà luogo a molti falsi negativi e falsi positivi. Nel primo caso, il più “grave”, si rischia di non fare diagnosi di un tumore o polipo esistente. Nel secondo caso, il Paziente sarà sottoposto a successivi controlli, che, fortunatamente, si riveleranno nella norma. È il caso frequente di sanguinamento occulto da lesioni emorroidali o gengivali.

Lo stesso può avvenire nella clinica, tanto che, per essere certi che il Paziente non abbia perdite ematiche da lesioni importanti, si ricorre agli esami endoscopici o radiologici opportuni.

Se il sanguinamento è occulto, ciò significa che la perdita è minima, spesso saltuaria e talvolta di origine difficile da scoprire. I sintomi sono sfumati o assenti ed ogni tratto del tubo digerente può essere quello interessato dal gemizio ematico. Le patologie che lo causano possono essere benigne, come erosioni dell’esofago o dello stomaco, ulcere, angiodisplasie, ulcera solitaria del retto, coliti infiammatorie o infettive, morbo di Crohn, o maligne, come i tumori.

Nello screening del carcinoma del colon retto la ricerca del sangue occulto fecale viene utilizzata in soggetti di età superiore ai 50 anni, anche se l’età deve essere inferiore in caso di familiarità. Nel caso di positività del test, sarà consigliabile eseguire la colonscopia. L’utilità di quest’ultima non è solo diagnostica, ma anche terapeutica, considerando che la polipectomia endoscopica è un intervento terapeutico definitivo a tutti gli effetti.

E’ noto infatti che il tumore del colon nasce da quelle piccole escrescenze mucose, note sotto il nome di polipi. Il processo evolutivo da polipo a cancro è lento e l’intervento di resezione del polipo previene di fatto la malattia oncologica.

Anche la diagnosi precoce del cancro del colon è molto importante, perché permette la guarigione completa dopo l’operazione, mentre la sopravvivenza scende al 9% quando la malattia è nella fase di metastatizzazione.

I tumori del colon in fase iniziale ed i polipi di piccole dimensioni non dànno sintomi ed è questo il motivo per il quale si accrescono indisturbati e vengono diagnosticati quando è tardi. L’unico modo per scoprirli in tempo è andare a cercarli, eseguendo la così detta prevenzione secondaria. Ciò avviene con la colonscopia. Siccome essi possono sanguinare, anche se poco ed a fasi alterne, esiste la possibilità che la ricerca del sangue occulto fecale sia positiva.

Una positività del sangue occulto fecale può anche essere dovuta ad altre cause o ad errori (sanguinamento gengivale, emorroidi, terapia marziale): questo si chiama falso positivo.

Nel caso opposto, il test è negativo, ma il tumore o i polipi sono presenti. Essi non hanno sanguinato nell’immediatezza dell’esame e ciò determina il falso negativo.

Molte altre patologie e condizioni possono rendere positiva l’indagine di sangue occulto nelle feci: dall’ulcera duodenale alle malattie infiammatorie dell’intestino, dalle varici esofagee alla diverticolite, dalle emorroidi alle fistole anali, o semplicemente la contaminazione del campione con sangue mestruale o una dieta non adeguata nei giorni precedenti.

In caso di sanguinamento intermittente ed occulto, come avviene nelle anemie sideropeniche, il quadro clinico è quello di astenia, dispnea e anemia ipocromica microcitica. Questo orienta verso una perdita ematica che deve essere indagata con gastroscopia e colonscopia. La ricerca del sangue occulto rimane importante poiché, in caso di negatività della gastroscopia e della colonscopia, s’imporrà lo studio del piccolo intestino, nel caso specifico con indicazione all’utilizzo della videocapsula.

Secondo un importante studio epidemiologico la ricerca di sangue occulto nelle feci ha mostrato una riduzione della mortalità pari al 33%, quando il test viene effettuato ogni anno, e del 21% quando il test viene effettuato ogni due anni.

Per la prevenzione, è opportuno rivolgersi al proprio Medico, in presenza di modificazioni delle abitudini intestinali, di sensazione di ingombro rettale persistente dopo l’evacuazione, di dolori colici di recente insorgenza.

Preparazione all’esame di ricerca del sangue occulto nelle feci.

La preparazione all’esame è differente a seconda della tecnica diagnostica utilizzata: Hemoccult o prova immunochimica.

Per garantire un corretto risultato, comunque, è importante che il paziente rispetti le indicazioni del centro di analisi, che in genere sono le seguenti:
usare l’apposito recipiente sterile munito di cucchiaino interno;
mettere le feci in un recipiente tipo vaso da notte, evitando di mescolarle con le urine, con l’acqua del wc o con i suoi detergenti;
raccogliere il campione con l’apposita spatolina in tre punti diversi delle feci, sino a riempire metà circa del recipiente, in modo da ottenere un campione il più omogeneo possibile;
scrivere il nome sull’etichetta del sistema per la raccolta delle feci;
portare il contenitore in laboratorio entro alcune ore, oppure, in caso di raccolta di più campioni, conservarlo in frigorifero;
non eseguire il test di ricerca del sangue occulto nelle feci durante le mestruazioni, in presenza di emorroidi sanguinanti o quando si perde sangue con le urine;
nel caso del test immunologico, la dieta sarà meno importante.

Sono in commercio anche kit di autolettura per il sangue occulto fecale con il metodo immunochimico. Il test è rapido e facile da eseguire. Si prende un campione di feci e lo si mette nella provetta, a contatto con il reagente. Il risultato si ha in pochi minuti. I limiti di questo test sono i falsi positivi e i falsi negativi, dovuti alla presenza di emorroidi, ragadi, gengiviti o altre cause di gemizio ematico o al fatto che il sangue può trovarsi in modo non omogeneo nelle feci esaminate. O semplicemente perché il cancro o il polipo presenti non hanno sanguinato il giorno del prelievo di feci. Ecco perchè è consigliabile ripetere il test 2 o 3 volte, a giorni alterni, e comunque più volte durante l’anno.

Prurito senile

Il prurito è definibile come una fastidiosissima sensazione soggettiva che induce al trattamento o alla confricazione. In quanto sensazione soggettiva, non vi è apparecchiatura biomedicale in grado di valutarne intensità, durata, tipo, in maniera oggettiva. Vissuto secondo la sensibilità individuale, può alterare in maniera anche drammatica la qualità della vita del soggetto colpito (ma, di riflesso, anche quella di tutto l’ambito familiare).
L’insorgenza del prurito è un evento molto frequente in entrambi i sessi ed in ogni fase della vita, dall’epoca neonatale all’età più avanzata (prurito senile), ma la sua frequenza e distribuzione per fasce di sesso e/o età non è statisticamente valutabile poiché troppo spesso sottovalutato dal paziente e quindi trascurato, automedicato, trattato dal farmacista, dal medico di base, da qualsiasi altro specialista, sfuggendo così all’osservazione dermatologica e ad ogni tipo di indagine statistica.
Diverse sono le varietà cliniche del prurito: prurito sine materia, prurito senile, prurito acquagenico, prurito psicogeno, prurito patofobico, prurito venereofobico, malattia di Ekbom. In tutti questi casi la sensazione soggettiva può essere di tipo puntorio o urente; l’andamento può essere acuto, accessionale, continuo, cronico, cronico ricorrente; la localizzazione può aversi su tutta la superficie corporea o limitarsi ad un singolo distretto cutaneo (volto, capillizio, genitali, ecc.); le fasi di acuzie o di riacutizzazione possono essere indotte da assunzione di cibi o bevande calde e/o piccanti, alte temperature, stress emozionali, assunzione di farmaci (eritromicina, aspirina, fenotiazine, steroidi anabolizzanti, ecc.), alimenti quali cioccolata, pere, mele, albume d’uovo, latte, ecc. (per reazione allergica o pseudoallergica), abbigliamento incongruo (lana, fibre sintetiche, ecc.).
In tutte le sue varianti cliniche, e quindi anche nella forma senile, il prurito può essere il primo sintomo di patologie cutanee e/o sistemiche (alcune delle quali particolarmente frequenti in età senile) non ancora manifestatesi in maniera eclatante quali: diabete mellito, amiloidosi, anemia sideropenica, dermatite atopica, scabbia, pediculosi, linfoma di Hodgkin, ipo o ipertiroidismo, policitemia vera, sensibilizzazioni allergiche, neoplasie di vario tipo, parassitosi intestinale, ecc., o anche patologie di tipo psicologico o psichiatrico o, molto più semplicemente, dovuto al tipo di cute (cute seborroica, ad esempio) o allo stato di gravidanza. Il riconoscimento di queste situazioni è determinante nella scelta della strategia terapeutica.
Da quanto detto appare quindi del tutto ingiustificato, in particolare nel soggetto anziano, l’approccio terapeutico spesso effettuato in maniera semplicistica prescrivendo antistaminici e/o cortisonici per via generale e/o locale tout court, in assenza di una accurata indagine anamnestica e di indagini bioumorali e strumentali atte ad individuare l’eventuale patologia sottostante.
Per quanto riguarda il “Prurito Senile” va chiarito che tale diagnosi può essere applicata solo al soggetto in età avanzata che si gratti in assenza di patologie cutanee e/o sistemiche (un soggetto anziano diabetico non ha dunque un prurito senile ma un prurito diabetico, se soffre di carcinoma gastrico avrà un prurito paraneoplastico non un prurito senile!) e non presenti squilibri elettrolitici, carenze nutrizionali, anoressia senile. Quest’ultima troppo spesso misdiagnosticata e/o sottovalutata.
Il vero “ prurito senile” è provocato dallo stato della cute che in questa epoca della vita si presenta grinzosa, diselastica, ruvida, finemente desquamante, secca, sottile, pallida, disidratata (povera d’acqua) e alipica (povera di sebo per riduzione quali-quantitativa dell’attività delle ghiandole sebacee; negli uomini ciò avviene in maniera graduale dopo i 70 anni, nelle donne in maniera brusca dopo i 50). A volte, per controllare il prurito senile anche feroce, basta la semplice applicazione di un olio (olio di vaselina, olio di mandorle dolci o anche quello da cucina), fornendo quindi alla cute un po’ di quei lipidi che fisiologicamente le mancano. Ma per migliorare (e nei limiti del possibile ripristinare) lo stato di eutrofismo cutaneo, e quindi controllare il prurito, è necessario procedere in maniera più razionale e meno estemporanea. La prima tappa, e spesso l’unica e fondamentale, per ottenere il risultato voluto è intervenire sulle modalità di detersione cutanea, a cui fare seguire l’applicazione di prodotti reidratanti, nutrienti, elasticizzanti e l’assunzione di integratori alimentari che mantengano ed amplifichino i risultati ottenuti già con la semplice detersione.
La detersione, in particolare nel soggetto anziano, non deve essere intesa come semplice e banale rimozione dello sporco dalla superficie corporea, ma come vero e proprio intervento terapeutico. Nell’affrontare il problema della detersione cutanea bisogna partire dalla considerazione che già l’acqua di per sé, e quella calda in particolare, asporta in circa l’80% dei lipidi di superficie della cute mentre i detergenti asportano soprattutto i lipidi intercorneocitari con danneggiamento delle membrane cellulari ed aumento della perspiratio insensibilis (l’evaporazione acquea transcutanea). Il risultato di una detersione mal fatta, soprattutto nel soggetto anziano, non può dunque essere altro che l’accentuazione della secchezza cutanea e, conseguentemente, l’aumento del prurito. Da quanto detto si evince che sarà preferibile praticare una rapida doccia con acqua non troppo calda piuttosto che un prolungato bagno in vasca, utilizzando per la detersione prodotti non troppo aggressivi e preferendo le forme liquide (personalmente le preferisco alle forme in saponetta), gli olii o le creme detergenti, poiché meno irritanti. In esse, inoltre, è più facile incorporare idratanti, umettanti, ecc. per limitare la secchezza ed il senso di stiramento della cute, conseguente alla detersione. Tutto ciò è più facile da ottenersi con i syndet (essenzialmente miscela bilanciata di tensioattivi e additivi; in acqua mantengono il pH iniziale) rispetto al sapone naturale (sale sodico o potassico di acidi grassi insaturi; una volta disciolti in acqua si osserva il viraggio del pH verso l’alcalinità, e ciò anche nel caso del così detto sapone neutro). Il problema del mantenimento pH su valori moderatamente acidi è importante giacché l’alcalinizzazione provocata dai normali saponi può indurre nuovi danni alla cute, tra cui favorire l’attecchimento di flora microbica patogena. Per inciso, vale qui ricordare che nei moderni prodotti per l’igiene potere detergente e potere schiumogeno non sono strettamente correlati, dipendendo la schiumosità dal tipo di tensioattivi utilizzati: il prodotto che produce più schiuma non è detto che abbia maggiore potere detergente.
Dopo la detersione, e nei giorni eventualmente intervallari tra una doccia/bagno e l’altro, bisogna ridare alla cute i lipidi persi con essa e che, soprattutto la cute senile, non ha già di per sé, applicando creme/latti/mousse idratanti contenenti prodotti quali collagene, acido ialuronico, urea, glutammato di sodio, ecc. o cold cream, olii, mentolo, ecc., stando però attenti a non provocare allergie da contatto. Da notare che il mentolo, che notoriamente provoca una sensazione di freschezza sulla pelle, può provocare crisi anche violente di orticaria nei soggetti che soffrano di orticaria a frigore (orticaria da freddo). Buona norma è evitare i prodotti alcoolici quali profumi o dopobarba, che accentuano la disidratazione cutanea, e l’applicazione locale di prodotti contenenti antistaminici o anestetici per il rischio di allergie o, in estate, di fotoallergie. Trattamenti alternativi possono essere rappresentati da prodotti a base di capsaicina, antagonisti degli oppioidi, alfaidrossiacidi.
Un qualche ausilio allo stato nutrizionale della cute dell’anziano, e quindi al controllo del prurito, può derivare dall’assunzione di integratori alimentari ricchi di vitamine ed anti radicali liberi (ma senza eccedere e consigliandosi con il proprio dermatologo).
Circa i cortisonici per applicazione locale va detto che, pur essendo possibile un loro prudente utilizzo, essi sono molto spesso inutili giacché i trattamenti già citati possono ottenere i risultati desiderati senza il rischio di effetti collaterali da steroidi quali assottigliamento della cute, smagliature cutanee, ecc.
La somministrazione di antistaminici, cortisonici, ecc. e/o la terapia locale potranno solo cooperare a tenere sotto controllo il sintomo prurito ma non risolvere alla base il problema.
Un aspetto, in fine, da non ignorare o sottovalutare nell’affrontare il problema del prurito senile è la sua possibile origine psicosomatica, spia cioè di un malessere interiore dell’anziano che deve essere adeguatamente affrontato nelle sedi opportune e dal personale competente. Infatti, la perdita del ruolo sociale (in particolare dopo il pensionamento o la perdita del posto di lavoro), l’isolamento sociale la solitudine per la perdita del coniuge e/o la lontananza e l’abbandono (reale o presunto che sia) da parte dei figli troppo assorbiti dalla propria quotidianità (sindrome del nido vuoto), la riduzione sino alla perdita della propria autonomia fisica, l’ossessiva ripetizione dai e sui mass media “… i giovano devono lavorare per pagare la pensione ai vecchi…” (ma loro la pensione se la sono pagata con anni e anni di contributi !), portano l’anziano a sentirsi un essere inutile, un peso per la società, un reietto. Di qui la facile insorgenza di uno stato depressivo che può sfociare, associato ai citati cambiamenti della cute senile, all’acuirsi della sensazione pruriginosa ed al grattamento anche feroce: autococcolamento, autopunizione della propria inutilità o di pregressi “scheletri nell’armadio”, o anche una ricerca spasmodica di attenzione, di ritorno al centro della scena. In tal caso solo l’intervento della famiglia e/o dello psicologo potrà portare a soluzione; la terapia somministrata (qualunque essa sia) potrà almeno lenire il senso di isolamento e di abbandono, in quanto espressione, comunque, di attenzione prestata alla sua persona.
In alcuni casi, in fine, il grattamento può assumere il ruolo di masturbazione vicaria (il vecchio che si masturba o cerca appagamento sessuale è solo un vecchio sporcaccione, secondo una vecchia e stantia accezione comune che fortunatamente inizia ad essere superata), ricordando che la cute è una zona erogena per eccellenza. L’appagamento di tali pulsioni, naturali e del tutto fisiologiche, è l’unica terapia possibile in tali casi.

La meningite in età pediatrica

La meningite si definisce come l’infiammazione delle leptomeningi, ovvero il sistema di membrane che, all’interno del cranio e del canale midollare, riveste e protegge l’encefalo ed il midollo spinale.
Nonostante l’introduzione di numerosi vaccini contro i principali patogeni responsabili di tale malattia e di efficaci terapie antibiotiche, la meningite batterica continua ad essere causa di elevata morbilità e mortalità in tutto il mondo. La sua incidenza precisa non è nota, ma ancora oggi la mortalità delle meningiti batteriche si aggira attorno a 1.200.000 morti per anno, con predilezione per i pazienti in età pediatrica, la cui mortalità si aggira attorno al 20-40%, con un rischio di sviluppare complicanze a lungo termine del 20%.

I principali patogeni causa di meningite batterica variano in base alle diverse fasce d’età, così come segue:

<1 mese: Streptococcus agalctiae, Escherichia coli, Listeria monocytogenes
<2 anni: Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis;
3-10 anni: Streptococcus pneumoniae, Neisseria meningitidis;
10-18 anni: Neisseria meningitidis, Streptococcus pneumoniae;
18-50 anni: Neisseria meningitidis, Streptococcus pneumoniae;
>50: Neisseria meningitidis, Streptococcus pneumoniae.

L’introduzione delle vaccinazioni contro l’Haemophilus influenzae di tipo b e contro lo Streptococcus pneumoniae ha determinato una riduzione di meningiti batteriche in tutte le fasce d’età.

SEGNI e SINTOMI CLINICI

La meningite acuta può avere due modalità di presentazione differenti: il primo che si sviluppa progressivamente in uno o più giorni e che può essere preceduto da rialzo termico; il secondo, invece, che presenta un decorso fulminante, con manifestazioni di sepsi e di meningite che si sviluppano dopo poche ore.
Le manifestazioni cliniche della meningite sono variabili ed aspecifiche, senza un segno tipico. La presentazione dipende da diversi fattori, tra cui il patogeno responsabile, la risposta dell’ospite all’infezione e l’età del paziente. La classica triade febbre, rigidità nucale e alterazione dello stato di coscienza è presente solo nel 44% degli adulti affetti da meningite, ed ancor meno nei pazienti pediatrici. Nei neonati e nei lattanti la diagnosi è ancor più complessa a causa di una clinica estremamente sfumata e variabile. La presenza di instabilità termica (febbre e ipotermia), irritabilità con pianto inconsolabile, torpore e pianto lamentoso, difficoltà nell’alimentazione, vomito, pallore in un bambino con meno di 2 anni di età deve far sospettare meningite. Solo il 30% dei lattanti presenta una fontanella bombata. Nei bambini più grandi il sintomo più frequente è la febbre, associata spesso a rigidità nucale, nausea e vomito, irritabilità, fotofobia, convulsioni, confusione e letargia.
I segni di irritazione meningea, che nella maggior parte dei casi sono evidenti al momento del ricovero di pazienti con meningite, non sono costantemente presenti. La rigidità nucale può infatti essere riscontrata tardivamente, soprattutto nei bambini. Tale manifestazione si presenta con l’incapacità di flettere il mento sul petto, con la limitazione nel movimento di flessione passiva del collo e con la positività dei segni di Kernig e Brudzinski.
Segno di Kernig: si evoca con il paziente supino con anca e ginocchio flessi a 90°, estendendo il ginocchio. Il segno è positivo se l’estensione del ginocchio è inferiore a 135°e/o se c’è la flessione del ginocchio controlaterale;
Segno di Brudzinski: si evoca con il paziente in posizione supina, flettendo passivamene il collo sul torace. Il segno è positivo se durante il movimento del collo il paziente flette gli arti inferiori;
Tra i segni neurologici è importante valutare:
Alterato livello di coscienza  è direttamente correlato con la prognosi del paziente: se obnubilato, in stato semicomatoso o comatoso al momento dell’ingresso in reparto il paziente avrà un outcome peggiore rispetto a chi riferisce solo sonnolenza o letargia

Aumento della pressione intracranica (PIC): può manifestarsi con
diastasi delle suture craniche, fontanella bombata ed aumento della circonferenza cranica nei lattanti;
cefalea nei bambini più grandi;
paralisi dei nervi oculomotori;
papilledema che impiega diversi giorni prima di manifestarsi e che se presente dovrebbe indurre a valutare la presenza di empiema subdurale (versamento del rivestimento del cervello), ascesso cerebrale ed occlusione del seno venoso;
Convulsioni: possono presentarsi
all’esordio o entro le prime 48 h di ricovero: riscontrate nel 20-30% dei pazienti e tipicamente generalizzate;
oltre le 48 h di ricovero: spesso focali e possono indicare danno cerebrale;
Particolare attenzione va posta a eventuali manifestazioni cutanee. Porpora e petecchie possono infatti presentarsi con qualunque patogeno, ma sono più comunemente associate ad infezione da Neisseria meningitidis. In questo caso le lesioni sono più evidenti nelle regioni inguinale, ascellare ed alle estremità e possono essere precedute da un esantema maculo papulare.

TERAPIA
L’impostazione di una terapia antibiotica, nel sospetto di una meningite batterica, deve avvenire con estrema rapidità. In caso di agente patogeno non noto, la terapia antimicrobica deve essere intrapresa empiricamente seguendo l’epidemiologia della fascia d’età del paziente. Successivamente, in base ad eventuali positività agli esami colturali e alle condizioni cliniche del paziente, bisogna valutare eventuali modifiche terapeutiche.
Per quanto riguarda invece la terapia corticosteroidea sistemica, associata alla terapia antibiotica, non è raccomandata al di sotto dei 3 mesi di vita. Diversi studi hanno però evidenziato una riduzione della mortalità nei casi di meningite da Streptococcus pneumoniae, ma anche una minor incidenza nello sviluppo di sequele a breve termine e sordità nei paesi più sviluppati.
La terapia antibiotica profilattica è indicata in soggetti che sono entrati in stretto contatto con pazienti affetti da Neisseria meningitidis e/o Haemophilus Influentiae e dovrebbe essere somministrato il più presto possibile successivamente all’esposizione. Condizioni in cui è indicato effettuare chemiprofilassi sono le seguenti:
membri della famiglia, compagni di stanza, contatti intimi, contatti presso un centro di assistenza all’infanzia, giovani adulti esposti in dormitori, reclute militari esposti in centri di formazione;
viaggiatori che hanno avuto contatto diretto con le secrezioni respiratorie di un paziente indice o che erano seduti accanto a un paziente indice su un volo prolungato (durata del contatto ≥8 ore);
individui che sono stati esposti a secrezioni orali (ad esempio, bacio intimo, bocca a bocca, intubazione endotracheale o la gestione tubo endotracheale);
In caso di sospetta eziologia virale, nel sospetto di eziologia erpetica, vi è l’indicazione alla terapia con aciclovir endovena.

PREVENZIONE
Per quanto riguarda l’età pediatrica, in base al nuovo piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019, i vaccini consigliati contro la meningite batterica in età pediatrica sono:
Vaccino contro Haemophilus influenzae tipo b : è solitamente effettuata, gratuitamente, insieme a quella antitetanica, antidifterica, antipertosse, antipolio e anti epatite B, al 3°, 5° e 11° mese di vita del bambino (vaccino esavalente). Non sono necessari ulteriori richiami.
Vaccino contro Streptococcus pneumoniae (pneumococco): Simultaneamente alla vaccinazione con esavalente, ma in sede anatomica diversa, è raccomandata la somministrazione della prima dose del vaccino pneumococcico coniugato a 13 sierotipi (PCV13). Il vaccino polisaccaridico 23 valente, autorizzato a partire dall’età di 2 anni, attualmente integra la vaccinazione con PCV13 nei soggetti a rischio.
Vaccino coniugato contro meningococco C: a partire dal terzo mese di vita può essere somministrato il vaccino antimeningococco C. Il numero di dosi da somministrare è diverso a seconda dell’età del bambino in cui si inizia il ciclo vaccinale.
Vaccino coniugato tetravalente (A, C, W135, Y): contenente polisaccaridi capsulari di N. meningitidis coniugati a proteine altamente immunogene. Conferisce protezione nei confronti della meningite causata da 4 diversi sierogruppi di meningococco; viene consigliato nei bambini a partire dal primo anno di vita compiuto. In adolescenza è raccomandata una dose di richiamo;
Vaccino coniugato contro meningococco B: prevede schedule vaccinali differenti per numero di dosi, a seconda dell’età di inizio della vaccinazione. Per i bambini dai due ai cinque mesi è indicata una schedula a tre dosi più una dose di richiamo. Per i bambini dai 6 mesi ai 23 mesi l’immunizzazione primaria prevede due dosi con una dose di richiamo, mentre nei bambini dai 2 anni e negli adulti la schedula è anche di due dosi, ma non è stata stabilita la necessità di una dose di richiamo.

Alberto Villani, Presidente Società Italiana di Pediatria, Responsabile UOC Pediatria Generale e Malattie Infettive, Dipartimento Pediatrico Universitario, Ospedale Bambino Gesù, Roma
Elena Bozzola, UOC Pediatria Generale e Malattie Infettive, Dipartimento Pediatrico Universitario, Ospedale Bambino Gesù, Roma

I bambini in bicicletta

 

La bicicletta è un “attrezzo-gioco” a che permette ai bambini di fare attività fisica, di giocare e di accrescere ancora la loro autonomia.

L’uso della bicicletta affina le capacità motorio-percettive: senso dell’equilibrio, della velocità e delle distanze. Pedalare è anche un modo per stimolare il bambino a stare all’aperto, limitando la permanenza negli ambienti chiusi e facendo attività fisica.

In alcune realtà è un modo ecologicamente sostenibile per andare a lavorare e anche per andare a scuola ) iniziativa “ciclobus”, è un “autobus a due ruote” formato da un gruppo di scolari in bicicletta che vanno e tornano da scuola accompagnati da genitori volontari, lungo percorsi prestabiliti e messi in sicurezza.

La bicicletta è quindi uno strumento di gioco e anche un mezzo di trasporto e è una occasione per insegnare al bambino le regole della sicurezza stradale. In questo caso il bambino deve conoscere le principali regole del traffico e le deve rispettare.

QUANDO? Il bambino può iniziare ad andare in bicicletta in genere, intorno ai 3-4 anni con le rotelle laterali, che vengono abbandonate gradualmente. Alcuni consigliano di non usarle fin dall’inizio. Prima ancora (da16-18 mesi. esistono vari tipi di tricicli e di bici senza pedali che aiutano a migliorare l’equilibrio.

E’ necessario l’incoraggiamento dei genitori, ma non forzarlo, altrimenti si rischia di creare un piccolo trauma. All’inizio possono tenere una mano sul manubrio o sulle spalle del figlio, per rassicurarlo.

DA SOLI O CON I GENITORI? Molto utile e stimolante andare in bicicletta insieme ai genitori in quanto i bambini tendono ad imitare e a voler fare quello che fanno i loro genitori o fratelli e sorelle.

Si raccomanda all’inizio di far usare la bicicletta al bimbo solo in spazi sicuri, protetti e privi di ostacoli. Sono adatti, per esempio, piste ciclabili, cortili, parchi.

QUALE BICICLETTA? Cercate una bicicletta adatta, come misura al bambino e, per la prima bicicletta sarebbe meglio evitare la canna orizzontale che può ostacolare i movimenti e impedire di appoggiare facilmente i piedi a terra.

Quando il bambino ha acquisito sicurezza nella pedalata, si può passare alla bicicletta senza rotelle. Il passaggio può avvenire abbastanza rapidamente o richiedere anche maggior tempo. I tempi variano da bambino a bambino. (vedi dopo)

SICUREZZA DELLA BICICLETTA. Come rendere sicuro l’uso della bicicletta?

Alcuni semplici accorgimenti e misure di prevenzione:

- la bicicletta deve essere della misura del bambino: sedendosi sul sellino deve potere appoggiare

completamente i piedi per terra.

- i bambini devono essere educati ad indossare il casco tutte le volte che usano la bicicletta, non

solo per strada, ma anche in luoghi protetti (piste ciclabili, cortili, ecc.). La stessa regola vale per gli adulti, anche perché sarà difficile che un bambino indossi il casco se il padre e la madre non lo utilizzano.

- verificare i freni e i fanali devono essere perfettamente funzionanti e insegnare ai bambini come controllare la bici fin da piccoli (è un momento di gioco e di sicurezza)

CASCO. Alcune regole per l’acquisto del casco:

- il colore, il disegno e il modello (a parità di condizioni) devono essere scelti dal bambino: il

casco sarà poi portato più volentieri

- il casco deve calzare perfettamente e, scuotendo la testa, deve rimanere ben saldo

- il casco deve avere, se possibile, colori vivaci e un nastro riflettente che lo renda ancora più

visibile di sera

- il bambino deve essere capace di aprire e chiudere con una sola mano e con facilità il cinturino

sotto il mento

- il cinturino non deve aprirsi da solo

- la calotta esterna deve essere rigida e ben attaccata allo strato morbido interno che assorbe gli

urti

- il casco, una volta indossato, non deve compromettere la visione e l’udito del bambino

- la sigla che ne attesta la sicurezza deve essere riportata sulla confezione (EN 1078); la sua

presenza, tuttavia, non sempre è garanzia di sicurezza ed è sempre meglio verificare una per una

le caratteristiche sopra riportate

- in caso di impatto violento il casco deve essere sostituito, anche se apparentemente integro

- il bambino deve essere abituato a togliere il casco non appena scende dalla bicicletta

- il bambino deve imparare che il casco è uno strumento di prevenzione e non di gioco, da

togliere quando scende dalla bicicletta

- la ditta che produce il casco deve essere segnalata nell’etichetta.

(da Associazione Culturale di pediatria. Associazione Pediatri Liguri è sezione ligure: www.apel-pediatri.it)

 

COME INSEGNARE AI BAMBINI AD ANDARE IN BICICLETTA

Innnazitutto non esiste una età limite: prima si prova e meglio è

1. Fin dai 18 mese bici senza pedali bassa per fare in modo che il piccolo riesca a posare il piede a terra.

2. A 3-4 anni bici con i pedali. La sella deve essere regolabile al fine di permettere di posare la pianta del piede a terra. Poi imparerà a gestire la bici stando sulle punte.

3. Incoraggiarli per infondergli fiducia, si può incitarli e stimolarli attraverso il gioco.

4. Insegnarli la partenza dandosi, con i piedi ben per terra, delle spinte e poi, quando se la sente, di mettere i piedi sui pedali, una volta che saranno in movimento.

5. Insegnate bene la frenata

 

Importante è un atteggiamento dei genitori positivo e non apparire delusi se non riesce subito: il bambino ha bisogno di incoraggiamenti e di stima .

Non fate confronti con gli altri bambini

Copritelo adeguatamente per le prime, inevitabili cadute (pantaloni lunghi o paraginocchia) e…andate in bicicletta con lui. Farà bene a tutti!

 

Le cure naturali per la ritenzione idrica

La ritenzione idrica è la tendenza a trattenere i liquidi che invadono tutti i distretti dell’organismo, per poi concentrarsi principalmente in zone specifiche predisposte all’accumulo di grasso. Questo disturbo è molto diffuso nella popolazione, colpisce sia uomini che donne ma la sua incidenza è nettamente superiore nel sesso femminile.

Quando la ritenzione si focalizza nella parte superiore del corpo, può presentarsi con un gonfiore al viso e sotto gli occhi (le cosiddette “borse”), ma anche alle braccia e alle mani. La ritenzione idrica è il risultato di uno squilibrio tra la quantità di potassio presente all’interno delle cellule e quella di sodio, contenuta nella parte esterna; quando il sodio aumenta e viene meno questo equilibrio, l’organismo è indotto a trattenere più acqua per diluire fluidi e tossine.

L’accumulo di liquidi in eccesso nello spazio interstiziale dei tessuti genera un rigonfiamento anomalo, chiamato edema, che costituisce il sintomo principale della ritenzione idrica. L’edema è un fenomeno legato ad un cattivo funzionamento del sistema linfatico e venoso; esso provoca un ristagno di liquidi e di tossine che altera il metabolismo cellulare.

Se si manifesta nella parte centrale, le aree colpite sono quelle dell’addome, dei fianchi e dei glutei.

La zona inferiore del corpo è la più colpita a causa della forza di gravità e della posizione eretta continua, che provoca uno squilibrio della circolazione. In questo caso la ritenzione si estende alle gambe, alle ginocchia e alle caviglie, fino ai piedi.

La ritenzione idrica è considerata erroneamente causa di sovrappeso: in realtà, in alcuni casi, può comportare un aumento di peso (fino a 5 kg) e provocare pesantezza e dolore agli arti. Tuttavia, tale condizione non determina il sovrappeso, ma, al contrario, è quest’ultimo a causarla, poiché genera un rallentamento della diuresi (eliminazione di urina dall’organismo). Anche se il sovrappeso spesso coesiste con la ritenzione idrica, seguire una dieta ipocalorica troppo rigida può aggravare il disturbo, invece di migliorarlo; infatti, nei regimi alimentari ipocalorici scarseggia la quantità di proteine, che è invece necessaria per prevenire la ritenzione idrica.

Il disturbo può essere suddiviso in diverse tipologie in base alla causa scatenante:

- Ritenzione idrica primaria (o circolatoria): è causatadal malfunzionamento del sistema venoso e linfatico ed è caratterizzata da edemi, gonfiore, dolore, senso di pesantezza, crampi e discromie cutanee (stasi venosa). La stasi venosa si concentra principalmente sugli arti inferiori e sulle caviglie;

- Ritenzione idrica secondaria, causata da patologie specifiche, spesso gravi, che interessano reni, cuore, apparato urinario e sistema linfatico come l’insufficienza renale e cardiaca, l’ipertensione, le patologie della vescica e del fegato, il linfedema (anomalo accumulo di linfa causato da uno squilibrio del sistema linfatico);

- Ritenzione idrica iatrogena che si verifica in seguito all’uso massiccio e prolungato di farmaci antinfiammatori, cortisonici,contraccettivi e dopo la terapia ormonale sostitutiva in menopausa.

- Ritenzione idrica alimentare, causata da un’alimentazione scorretta e da uno stile di vita poco sano, caratterizzato da scarsa o nulla attività fisica, immobilità della postura, condizioni croniche di ansia e stress.

La ritenzione idrica può essere causata da alcune condizioni cliniche come l’ipotiroidismo, patologia tiroidea in cui è presente un rallentamento del metabolismo, le intolleranze alimentari, la gravidanza e l’allattamento, il periodo ovulatorio e premestruale e la menopausa. Inoltre, la ritenzione dei liquidi può manifestarsi sotto forma di gonfiori ed edemi anche in seguito ad interventi chirurgici.

Molti altri fattori che rientrano nello stile di vita del soggetto, come un eccessivo consumo di alcolici e di caffè, la masticazione veloce, la cattiva respirazione in ambienti inquinati, possono determinare o peggiorare la ritenzione idrica. Inoltre un sostanziale aggravamento del sintomo si verifica in primavera e in estate, quando sopraggiunge il caldo, poiché il calore dilata i capillari periferici, la circolazione rallenta e il sangue fa più fatica a risalire verso il cuore: per questo le gambe si gonfiano e si avverte un senso di pesantezza.

Dietro al sintomo della ritenzione idrica c’è un meccanismo che prima di essere organico, ha una sua origine nel mentale. Il “trattenere” a livello psicologico emozioni, pensieri negativi o la tendenza a fare determinate cose, si traduce in una reazione fisica che modifica la frequenza cardiaca e respiratoria, rallenta la circolazione, crea infiammazione nei vasi sanguigni, fino a coinvolgere il sistema di drenaggio del corpo.

Gli stati di forte tensione e ansia agiscono sull’apparato immunitario e su quello endocrino, a causa dell’aumento della produzione di cortisolo, ormone prodotto dalle ghiandole surrenali. Comunemente chiamato “l’ormone dello stress”, il cortisolo è responsabile di alcune condizioni come la ritenzione idrica, l’obesità e il calo delle difese immunitarie. Modificare lo stile di vita non significa solo alimentarsi in modo sano, consumare regolarmente acqua e fare movimento, ma anche imparare a gestire gli stati emotivi, elaborare i propri vissuti e abbassare il più possibile la soglia dello stress quotidiano.

I rimedi naturali utilizzati nelle cure alternative agiscono sulla ritenzione ma anche sul dimagrimento; il loro obiettivo non è quello di mirare al sintomo ma all’origine del disturbo, che risiede nella difficoltà del corpo nel gestire il carico di tossine (anche quelle emotive).

Calcarea Carbonica 9CH

Rimedio utile per il soggetto sedentario, che tende ad ingrassare, soffre molto il freddo e ha un sistema immunitario debole. La ritenzione idrica deriva da una quantità eccessiva di tossine e liquidi che non vengono smaltiti e che causano gonfiore diffuso e tessuti flaccidi, senza tono. Il rimedio accelera e stimola il metabolismo. Il soggetto manifesta molte patologie importanti come il diabete, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, l’ipotiroidismo, l’arteriosclerosi. E’ stanco, lento, ansioso, bisognoso d’affetto, pauroso; si deprime facilmente. I sintomi peggiorano con il freddo-umido, lo sforzo mentale e fisico mentre migliorano con il tempo secco.
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.

China rubra5 – 9CH

Indicata quando la ritenzione si manifesta principalmente con un gonfiore nella zona addominale, spesso causato ad una scorretta alimentazione o dall’assunzione di cibi non adatti alla tipologia costituzionale. Il gonfiore si accompagna a borborigmi. Il rimedio agisce sugli stati di intossicazione acuti e cronici che causano turbe neurosensoriali (vertigini, disturbi visivi ecc.) e cardiovascolari (anemia, tachicardia, ipotensione ecc.).
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.

Pulsatilla9CH

Il rimedio vieneprescritto quando la ritenzione idrica è causata da problematiche di natura endocrina o circolatoria. La sua azione sull’apparato ormonale è molto marcata, sia nelle sindromi premestruali che durante la menopausa, poiché interviene sulla ritenzione idrica e la circolazione rallentata legata a squilibri ormonali. Spesso il sintomo deriva da fenomeni di congestione e stasi venosa con tessuti infiltrati e poco ossigenati, estremità fredde, arti gonfi, pesanti e dolenti. Pulsatilla è avida d’affetto, fortemente emotiva e soggetta al pianto. I sintomi tipici del rimedio peggiorano con il caldo e il riposo mentre migliorano con l’aria fresca, il movimento continuo e la consolazione.
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.

Thuya 15-30 CH

Rimedio d’elezione per la ritenzione idrica e la cellulite, in particolare quella localizzata nella parte inferiore del corpo (cosce e bacino). La sua azione è centrata su vari apparati, tra i quali quello linfatico e nervoso. Il soggetto Thuya ingrassa facilmente, risente molto dello stress e dello stato emotivo caratterizzato da depressioni reattive, malinconia, scarsa autostima, ossessioni e idee fisse, psicosomatizzazioni. Thuya si prescrive per il sovrappeso e la ritenzione di liquidi conseguenti ad un’alimentazione scorretta, all’assunzione della pillola anticoncezionale e a terapie con cortisonici che, nei soggetti predisposti, portano ad un repentino e anomalo aumento ponderale. Inoltre si utilizza efficacemente per la ritenzione legata ai disturbi mestruali. I sintomi peggiorano con il freddo e l’umidità, mentre migliorano con il caldo e la sudorazione.
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.

Graphites 9CH

Rimedio che ha un’azionespecifica sul metabolismo degli acidi grassi: aumenta la velocità metabolica e depura il sintema linfatico. Il soggetto Graphites tende ad ingrassare, ha un corpo molle e pesante, è freddoloso e soffre di stipsi. La ritenzione si traduce spesso in accumulo di cellulite concentrata su cosce e ginocchia. Il senso di gonfiore diffuso deriva anche da disturbi a livello digestivo che provocano pienezza e pesantezza del ventre. I sintomi peggiorano con il freddo e durante le mestruazioni; migliorano con il movimento e mangiando (nel caso dei disturbi gastrici).
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.

Bovista 5 – 7CH

Questo rimedio si prescrive quando la ritenzione idrica è legata alla sensazione soggettiva di gonfiore generale (soprattutto alle dita) con edema e infiltrazioni. I sintomi si associano principalmente alle problematiche mestruali con sindrome premestruale accentuata, ovulazione emorragica, gonfiore addominale, mal di testa con sensazione di aumento del volume del cranio.
Uso: 3 granuli sublinguali 3 o 4 volte al dì.


FITOTERAPIA

Rusco (Ruscus aculeatus L.) TM

Il pungitopo si utilizza per la ritenzione idrica associata ad insufficienza circolatoria venoso-linfatica. Grazie al suo più importante principio attivo contenuto, la ruscogenina, il rimedio ha una marcata attività antiedemigena, agendo sulla ritenzione idrica con cellulite e sulla varicosità degli arti inferiori. Uso: 40 gocce di TM 1 volta al dì un quarto d’ora prima di pranzo. Controindicazioni: non utilizzare in gravidanza e allattamento. Può provocare, in rari casi, disturbi gastrici e nausea. Raccomandazioni: associare all’assunzione del Rusco una dieta iposodica. Assumere in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

 

Tarassaco (Taraxacum officinale Weber) TM

Il Tarassaco, conosciuto comunemente come “dente di leone” ha un’azione specifica sulle vie biliari, è digestivo e diuretico. Ottimo coadiuvante nel trattamento dell’obesità grazie alle sue proprietà drenanti e detossicanti. L’azione diuretica deriva dai flavonoidi e dal potassio contenuti che facilitano l’eliminazione delle tossine responsabili di ritenzione idrica e linfatica. Uso: 20-30 gocce tre volte al dì, dopo i pasti. Controindicazioni: non somministrare nei soggetti che soffrono di intestino irritabile, gastrite e ulcera peptica, nelle occlusioni delle vie biliari, in gravidanza e allattamento. Non assumere in associazione con i FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei) e con i diuretici. Effetti collaterali: il Tarassaco può provocare dermatiti allergiche da contatto. L’uso improprio o un sovradosaggio possono causare turbe idroelettriche. Assumere solo dietro consiglio medico.

Pilosella (Hieracium pilosella L.) TM

Questa pianta erbacea perenne ha una marcata azione diuretica e drenante renale ed è utilizzata per il trattamento della ritenzione idrica, della cellulite e del sovrappeso. Inoltre la Pilosella promuove la sintesi e la secrezione di bile potenziando l’azione detossificante del fegato. Uso: 30-40 gocce di TM 2 volte al dì, lontano dai pasti. Controindicazioni: non somministrare in caso di ipotensione e in associazione con diuretici. Raccomandazioni: è consigliabile utilizzare la TM rispetto ad altre preparazioni poiché l’attivazione è maggiore se il rimedio viene lavorato a partire dalla pianta fresca. Assumere in gravidanza, allattamento e in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

Orthosiphon (Orthosiphon stamineus Bentham) TM

Pianta tropicale, chiamata comunemente Tè di Giava, che possiede un marcato effetto diuretico e depurativo: ha un’azione sull’eliminazione di acqua, cloruri e urea. Molto utilizzato come coadiuvante nelle diete dimagranti e in presenza di obesità, edemi, oliguria (scarsità della quantità di urine eliminata giornalmente), cellulite, affezioni delle vie urinarie e articolazioni gonfie con idrarto (versamento sieroso all’interno della cavità articolare). Uso: 20-30 gocce di TM 2 volte al dì. Evitare l’assunzione nelle ore serali. Interazioni: evitare l’associazione con la Salvia poiché si può verificare un potenziamento degli effetti diuretici. Raccomandazioni: non somministrare in caso di insufficienza renale. Il rimedio ha un effetto antagonista con l’adrenalina, gli estratti ipofisiari, epatici e i sali biliari; inoltre potenzia l’azione dei diuretici. E’ consigliabile seguire una dieta iposodica in associazione con l’assunzione di Ortosiphon. Assumere in gravidanza, allattamento e in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

GEMMOTERAPIA

 

Linfa di Betulla (Séve de bouleau) 1DH

La linfa di Betulla rientra nelle prescrizioni di Gemmoterapia anche se in realtà non è un gemmoderivato né un macerato glicerico. La linfa, un liquido chiaro che si ricava dalla Betula verrucosa L, è il rimedio d’elezione per l’adiposità, il ristagno dei liquidi e l’accumulo di tossine; ricca in potassio, stimola l’eliminazione dell’acido urico, del colesterolo e del metabolismo. Inoltre attiva la diuresi, aiutando i reni a funzionare meglio. Nella linfa è contenuta una sostanza, la betulina, che ha una spiccata attività antinfiammatoria, diuretica e depurativa. Il rimedio è molto utile in caso di cellulite e obesità; inoltre, sciogliendo i depositi urinari, è efficace nel trattamento delle infezioni batteriche delle vie urinarie (candida, uretriti e cistiti). Uso: 20-30 gocce 1-2 volte al dì. Controindicazioni: non somministrare in soggetti con edemi, ridotta funzionalità cardiaca e renale e in presenza di allergia ai salicilati (ad es. Aspirina). Interazioni: il rimedio interferisce con l’assunzione di FANS, diuretici, ipotensivi, anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, barbiturici e altre sostanze psicoattive, sedativi, ansiolitici e antidepressivi. Effetti collaterali: può provocare fenomeni allergici. Assumere in gravidanza, allattamento e in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

 

Ippocastano (Aesculus hippocastanum) MG 1DH

Rimedio specifico delle affezioni venose con senso di pesantezza ed edema concentrati agli arti inferiori. La stasi venosa peggiora con il calore, la sedentarietà e la stazione eretta prolungata. L’Ippocastano aumenta il tono della parete venosa, riduce la stasi e facilita il ritorno venoso. Uso: 20-30 gocce di MG 2-3 volte al dì a stomaco pieno. Utilizzare per almeno due mesi consecutivi, soprattutto nella stagione estiva. Controindicazioni: non somministrare in gravidanza e allattamento, nei bambini, nei soggetti affetti da ulcera e gastroduodenite e in associazione con farmaci antiaggreganti o anticoagulanti. Effetti collaterali: possono verificarsi casi di prurito, nausea, dermatiti da contatto e irritazione delle mucose gastrointestinali. Assumere solo dietro consiglio medico.

Faggio (Fagus Sylvatica L.) MG 1DH

Il Faggio si utilizza per insufficienza renale, obesità, ritenzione idrica con edemi, oliguria e ipercolesterolemia. Il rimedio contiene molte sostanze che hanno un’azione positiva sull’organismo come potassio, ferro, calcio e flavonoidi; inoltre stimola il funzionamento dei reni, la diuresi e diminuisce il colesterolo totale. Uso: 20-30 gocce di MG 1-2 volte al dì prima dei pasti. Assumere in gravidanza, allattamento e in associazione con altri farmaci solo dietro consiglio medico.

SALI DI SCHÜSSLER

Natrium sulphuricum D6

Indicato per la ritenzione idrica perché elimina l’acqua in eccesso riequilibrando la densità dei liquidi all’interno delle cellule. Oltre a favorire l’eliminazione dei liquidi e delle scorie metaboliche del corpo, disintossica l’organismo e stimola la secrezione biliare. I soggetti che rispondono a questo rimedio hanno una fragilità costituzionale e tendono a prendere peso molto facilmente. Sono adiposi, corpulenti: i tessuti hanno numerose infiltrazioni di cellulite concentrate su addome, natiche e cosce. Anche il viso tende al gonfiore ed è spesso molto pallido. A livello psichico sono persone lente, apatiche, depresse, soprattutto la mattina al risveglio. La forte ritenzione, oltre agli edemi diffusi, causa dolori di tipo reumatico che peggiorano con l’umidità e l’immobilità. La sintomatologia migliora con il clima secco e dopo scariche diarroiche, soprattutto quando si verificano al mattino. Uso: 1 o 2 compresse sublinguali, 2 o 3 volte al dì.

Oligoterapia

 

Potassio (K)

Questo oligoelemento è un regolatore dell’omeostasi idro-salina. Indicato nelle affezioni legate alle alterazioni del ricambio idrico: ritenzione idrica, obesità, cellulite, edema degli arti inferiori. Coadiuvante nel trattamento dell’astenia generale, oliguria, ipertensione, disturbi cardiaci e neuropsichici. Uso: 1 fiala sublinguale al giorno o a giorni alterni. Nei bambini utilizzare metà dose.

Consigli nutrizionali

In caso di ritenzione idrica è necessario ridurre il sale e i cibi contenenti sodio come gli insaccati, i prodotti pronti e quelli industriali (dadi), la margarina, i sottaceti, le olive in salamoia, la pizza, il pane molto salato e i formaggi poiché il sodio trattiene l’acqua nei tessuti e impedisce lo smaltimento dei liquidi. Inoltre, è fondamentale seguire una dieta equilibrata ricca di frutta e verdura, moderare il consumo di zuccheri e farinacei raffinati, svolgere una regolare attività fisica e bere almeno due litri d’acqua oligominerale al giorno. Il minerale antagonista del sodio è il potassio poiché aiuta l’eliminazione del sodio e controlla la comparsa della ritenzione idrica. Il potassio è contenuto in molti alimenti tra i quali: carni bianche (pollo e tacchino), merluzzo, sgombro, sardine, noci, mandorle e nocciole, banane, kiwi, anguria, melone, patate, spinaci, piselli, fagioli, finocchi.

Marta Chiappetta e Rocco Carbone

 

Vaccini e malattie infettive

 

C’è l’influenza, che ogni anno colpisce in Italia circa 5 milioni di persone. Le polmoniti, spesso associate all’influenza, con circa 200.000 casi l’anno e 10.000 decessi, e le meningiti. L’Herpes Zoster, che insieme a influenza e pneumococco forma la cosiddetta “triade maledetta” che minaccia le persone anziane.

Ci sono le epatiti B e C con centinaia di migliaia di portatori cronici. Le infezioni batteriche multiresistenti che colpiscono ogni anno dal 7% al 10% dei pazienti con migliaia di decessi. E ancora, le infezioni da Papillomavirus che possono causare tumori anogenitali. Ritenute debellate o sotto controllo, con una mortalità inferiore rispetto ai tumori e alle patologie cardiovascolari, le malattie infettive, di origine batterica o virale, in realtà sono più che mai tra noi.

A Roma, nel corso dell’evento AHEAD – Achieving HEalth through Anti-infective Defense,promosso da MSD Italia, rappresentanti di Istituzioni, Autorità regolatorie, associazioni pazienti e clinici hanno fatto il punto sulle strategie di contrasto che il nostro Paese sta mettendo in campo contro le malattie infettive, mostrando una grande capacità di innovazione, grazie a scelte all’avanguardia in Europa, come il Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale, approvato all’inizio dell’anno, e il Piano contro la resistenza agli antibiotici, il cui varo è imminente.

Sottolinea Walter Ricciardi, Presidente Istituto Superiore di Sanità (ISS): «Anche malattie virali prevenibili, come l’influenza, possono causare indirettamente migliaia di decessi ogni anno, per complicanze batteriche o cardiovascolari».

Abbiamo posto al Presidente Ricciardi alcune domande per approfondire questo tema in merito all’impegno delle Istituzioni pubbliche contro l’emergenza infezioni.

Presidente Ricciardi, quale minaccia rappresentano le malattie infettive in Italia? Qual è lo scenario generale in termini di incidenza e mortalità e quali le situazioni patologiche di maggiore criticità?

Le malattie infettive rappresentano tuttora un capitolo rilevante in termini di incidenza e mortalità in Italia. Sebbene siano stati compiuti grandi passi in avanti, grazie agli interventi di “sanitation” e alle vaccinazioni, il carico di malattia e morte è ancora relativamente elevato. Innanzitutto ricordiamo come le infezioni da germi antibioticoresistenti costituiscano un vero problema sia nei Paesi industrializzati che in quelli in via sviluppo. L’Italia poi è maglia nera per quanto riguarda le resistenze di germi come le klebsielle nei confronti di diversi antibiotici, primi fra tutti i carbapenemi. Ma il problema non è solo italiano, se un rapporto commissionato recentemente dal governo britannico stima un eccesso di 10 milioni di morti dovute a resistenze antimicrobiche per il 2050. Ma anche malattie virali prevenibili, come ad esempio l’influenza, possono causare indirettamente migliaia di decessi ogni anno, attribuibili sia a complicanze batteriche che cardiovascolari. Le emergenze infettivologiche poi costituiscono un caso a parte, e il caso meningite in Toscana o i focolai di chikungunya o West Nile rappresentano solo alcuni dei tanti episodi che siamo costretti ogni anno a fronteggiare.

Su quali strategie di prevenzione stanno lavorando le Istituzioni pubbliche?

Le Istituzioni italiane e il Sistema Sanitario Nazionale nel suo insieme hanno una grande capacità di resilienza e di innovazione al tempo stesso. Ad esempio, il nuovo Piano Nazionale Prevenzione Vaccinale 2017-2019 costituisce una pietra miliare nel settore della prevenzione delle malattie infettive, ponendo l’Italia all’avanguardia in Europa per quanto riguarda l’offerta di vaccini, non solo relativamente al calendario per l’infanzia ma per le altre età della vita. La copertura offerta alle persone anziane contro la “triade maledetta” costituita da influenza, pneumococco e Herpes Zoster è un esempio paradigmatico di come possano essere affrontati in maniera intelligente i problemi legati alla prevenzione delle malattie in una società che invecchia. Un altro terreno su cui le Istituzioni devono lavorare è quello del controllo delle resistenze agli antimicrobici, favorendo un uso prudente dei farmaci e l’adozione di appropriate misure di controllo.

In che modo si può assicurare l’accesso ai farmaci innovativi contro queste malattie, nuovi antibiotici e antivirali?

L’accesso universale a farmaci antiretrovirali ha rappresentato un successo per il nostro Paese ed una garanzia di sopravvivenza e miglioramento della qualità della vita per tutte le persone con infezione da HIV. Analogo discorso vale per i farmaci contro l’epatite C, che stanno portando ad una vera rivoluzione nel sistema delle cure e che potranno mettere sotto controllo l’infezione, oltre a salvare vite umane, nel giro di pochi anni. Naturalmente, garantire l’accesso a farmaci sempre più efficaci, possibilmente a prezzi etici, a porzioni sempre maggiori di popolazione richiede una collaborazione fattiva tra pubblico e privato. Cosa, questa, necessaria anche nel settore degli antibiotici, il cui sviluppo si rende necessario per arginare gli effetti devastanti dell’insorgenza delle multiresistenze. Insomma credo ci sia un grande spazio per una fattiva e intelligente collaborazione fra pubblico e privato, in cui ognuno degli attori possa svolgere la sua parte per mettersi al servizio della comunità.

Stefania Bortolotti

 

L’aerodinamica nel ciclismo

 

Il ciclismo è la disciplina sportiva che, forse, meglio si presta ad essere oggetto di analisi multidisciplinare da parte dei tecnici dello sport: alle valutazioni di carattere medico, fisiologico, biomeccanico ed a tutti gli studi che si possono eseguire sui materiali, si affianca l’importantissimo filone dell’analisi aerodinamica.

Infatti se si pensa che pedalando a 50 Km/h il 95% circa dell’energia viene spesa per vincere la resistenza dell’aria, si comprende il ruolo che questa variabile gioca sulla prestazione finale; inoltre, è noto che la “bontà” aerodinamica di una posizione è strettamente collegata alle caratteristiche antropometriche degli atleti influenzando in modo decisivo la loro capacità di produrre potenza.
Per questi motivi centri di ricerca sparsi in tutto il mondo, hanno condotto numerosi studi utilizzando atleti di diverse caratteristiche e livello di qualificazione.
L’idea di base sul quale si fondano tali studi è che la velocità massima del sistema atleta-bicicletta si ottiene quando la potenza fornita dall’atleta eguaglia la somma delle resistenze incontrate. Nella figura (Free Body Diagram) sono schematizzate le forze propulsive (azzurro) e quelle resistenti (rosso) che agiscono sul sistema ciclista-bicicletta lungo la direzione orizzontale.

È logico che quando la potenza espressa dall’atleta è maggiore della resistenza, la bicicletta accelera; nel caso inverso invece rallenta.

Lo scopo dell’allenatore è, quindi, quello di ottimizzare la prima; lo scopo del ricercatore è ridurre le seconde per quanto possibile.
Ogni ciclista è a conoscenza, se non altro per esperienza personale, che più si riduce la superficie di esposizione all’aria, più è possibile raggiungere velocità elevate a parità di “sforzo” sui pedali.
Basti osservare come i migliori passisti e specialisti delle cronometro riescono a mantenere per periodi lunghissimi il busto parallelo al terreno, la testa bassa (incassata nelle spalle) e come riescano a limitare il più possibile i movimenti di tali distretti corporei.
Per ottenere una posizione ideale si gioca su due elementi che sono la geometria del telaio e la capacità di adattamento dell’atleta. Quest’ultima, a sua volta, dipende dalle caratteristiche morfo-strutturali e da un sufficiente periodo di allenamento.
Esiste tuttavia un’altra componente aerodinamica importante sulla quale è possibile operare, componente che risulta fondamentale in altri settori sportivi ed industriali come quelli aeronautici e motoristici.
Questa riguarda la forma della superficie esposta all’aria identificata comunemente come Cx (coefficiente di forma).
L’ottimizzazione del Cx è il motivo per cui sono nate e vengono sviluppate le carenature delle motociclette, le appendici aerodinamiche delle vetture da competizione, ma anche più banalmente, il design delle autovetture stradali. Migliorare il Cx significa più velocità a parità di potenza ma anche, e soprattutto, minori consumi a parità di velocità.
Sul sistema atleta-bicicletta, non potendo utilizzare appendici e carenature, l’ottimizzazione delle forme è molto più complessa.
Nello studio del complesso uomo-mezzo di gara, la posizione con la miglior aerodinamica quasi sempre deve essere pagata in termini di minor libertà di movimento da parte dell’atleta. Questo si traduce nella ridotta capacità di fornire potenza e, più in generale, in un precoce affaticamento e nella ridotta maneggevolezza del mezzo. Queste valutazioni non possono essere sottovalutate nell’economia di una gara perché, alla lunga, gli svantaggi dovuti alla penalizzazione dell’atleta potrebbero divenire superiori ai benefici ottenuti.
Vediamo di analizzare, quindi, il problema. Il principio generale è evidentemente lo stesso, i target da raggiungere sono: ridurre la superficie di esposizione all’aria, utilizzare abbigliamento adeguato, ottimizzare i particolari del mezzo.
Cominciamo dalla bicicletta. Migliorare l’aerodinamica non significa operare, come spesso avviene forse a causa delle accattivanti offerte del mercato degli accessori, su particolari come caschi, occhiali, calzature, ecc. Questo è necessario se si è in preparazione di un record sull’ora, ma se vogliamo andare un poco più veloci nelle nostre uscite domenicali o se vogliamo faticare un po’ meno a parità di velocità, dobbiamo giocare sull’ottimizzazione di altri elementi.
Non sempre si pensa, infatti, che una delle componenti più influenti sull’aerodinamica del sistema è la ruota. Il motivo di tale importanza dipende dal movimento che la caratterizza: la ruota, infatti, è soggetta a due tipi di moto combinati tra loro. Il primo è traslatorio lungo la direzione della marcia della bicicletta; il secondo è rotatorio intorno all’asse dei mozzi. I due moti combinati tra loro determinano un curioso effetto per cui la parte superiore della ruota si muove a velocità doppia rispetto a quella della bici e con la stessa direzione perché la velocità di rotazione si somma a quella di traslazione. La parte inferiore della ruota si muove con velocità inferiore addirittura nulla del punto di contatto del pneumatico con l’asfalto.
Questo particolare fenomeno rende il comportamento della ruota molto critico dal punto di vista aerodinamico, comportamento ancora in fase di studio da parte dei ricercatori ma comunque assai influente sulla efficienza generale del mezzo. Oltre tutto, come dimostrato dall’uso delle ruote lenticolari (addirittura negative in talune circostanze), possiamo trovarci in condizioni ambientali caratterizzate da vento laterale che complica ulteriormente il problema.
Detto questo, esistono in commercio ruote che presentano indubbi vantaggi aerodinamici (profilo del cerchio, numero di raggi, profili dei raggi, ecc.) la cui utilizzazione può migliorare sensibilmente, almeno in pianura, la capacità di sviluppare velocità (e per questo si rimanda ai testi specialistici).
L’altro elemento sul quale è possibile operare con relativa facilità per migliorare le caratteristiche aerodinamiche del sistema riguarda la posizione dell’atleta. Questa deve essere finalizzata a migliorare soprattutto la superficie di sezione frontale.
Il tale ottica l’elemento di primario interesse riguarda la posizione del busto che, almeno in determinate circostanze, dovrebbe posizionarsi più basso e parallelo più possibile al terreno. Per ottenere questa configurazione si opera generalmente sulla geometria del telaio.
La possibilità di orientare il busto parallelo al terreno dipende dalla regolazione di alcuni parametri: la differenza di quota e la distanza tra sella e manubrio, l’arretramento della sella, il disegno e le caratteristiche del manubrio.
Regolazioni che apparentemente non presentano particolari problemi.
La realtà è, invece, che la posizione ideale si scontra molto spesso con le caratteristiche morfostrutturali dell’atleta.
In particolare, sono le capacità di flessibilità articolare della colonna vertebrale e di estensibilità della muscolatura che spesso limitano la possibilità di posizionarsi correttamente in bici. La presenza di dismorfismi o paramorfismi come scoliosi, dismetrie degli arti ed altro, determinano ulteriori limiti per i compensi posturali che ne derivano.
Nel ciclismo amatoriale esistono poi ulteriori variabili, come l’età mediamente più elevata dei praticanti, con la possibilità che le strutture articolari presentino processi degenerativi e infiammatori.
La posizione allungata e abbassata sollecita fortemente, infatti, il tratto lombare della colonna che inverte la sua curvatura fisiologica ed il tratto cervicale con notevole aumento della lordosi. Se tali sedi sono oggetto di processi infiammatori e degenerativi, la posizione aerodinamica può scatenare o acuire dolore e disfunzione.
L’altro importante aspetto sul quale è necessario lavorare e che viene trascurato dalla maggior parte dei ciclisti, riguarda il miglioramento della flessibilità ed elasticità dell’apparato muscolo-scheletrico.
La migliore posizione aerodinamica si può ottenere e, soprattutto, mantenere se attraverso esercizi di allungamento eseguiti abitualmente riusciamo a migliorare i gradi di flesso-estensione articolare soprattutto dei distretti più interessati.
Grande attenzione va, infatti, riposta alla muscolatura del bacino che deve essere in grado di ruotare anteriormente seguendo il busto (antiversione); una buona estensibilità della muscolatura flessoria della gamba (ischio-crurali), dell’ileo-psoas (per l’influenza che ha sulla colonna lombare) e dei dorsali, e l’elemento fondamentale per avere buoni risultati.

BIBLIOGRAFIA

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Berta C.: Aerodinamica computazionale – Report C.R.F. 1985

Cogotti A.: Aerodinamica dei veicoli terrestri – Articolo A.T.A. 1985

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Kyle C.R.: Articoli vari riguardanti l’aerodinamica della bicicletta pubblicati sulla rivista “Bicycling” (29 (3) 186-190 1988 – 29 (4) 194-204 1988 – 29 (5) 180-185 1988 – 19 (6) 144-152 1988 – 29 (8) 45-58 1988 – 30 (5) 178-182 1989)

Ricciardi A.: L’aerodinamica – Ed. I.B.N. Roma 1988

Shanebrook J. R., Jaszczak R.D.: Aerodynamics of human body – Biomechanics 4^ International series on sport science vol. 1 – University Park Press, Baltimore Md Pp 567-571 1974

 

Stress e ipertensione: una relazione pericolosa

che lo stress sia entrato stabilmente a far parte della vita moderna non è una novità. Urbanizzazione, vita sedentaria, stress quotidiano sul posto di lavoro e/o a casa, scarsa attività fisica e mancanza di sostegno sociale sono condizioni che facilmente possono condurre a un affaticamento nervoso e che accomunano milioni di persone nel mondo. La necessità di essere sempre performanti sul lavoro, disponibili per la famiglia e l’esigenza di trovare spazio anche per i propri interessi genera un aumento di ansia e incertezza che alla lunga sfocia in uno stato di stress mentale ed emotivo cronico. Numerose ricerche confermano la correlazione tra stress cronico e ipertensione, uno tra i principali problemi di salute pubblica a livello mondiale con oltre 1 miliardo di soggetti colpiti e 7,5 milioni di decessi all’anno. Una recente revisione della letteratura ha sottolineato come la disoccupazione, l’orario prolungato di lavoro, l’instabilità del lavoro stesso, bassi salari, stress lavorativo e disturbi del sonno siano strettamente correlati a un aumentato rischio di sviluppare ipertensione. Particolarmente colpita risulta essere la fascia dei 40-50enni, messi sotto pressione dallo stile di vita moderno. Un recente studio condotto su circa 6.000 persone tra i 40 e i 60 anni ha evidenziato che, tra i vari fattori, lo stress psicologico (incluso lo stress al lavoro e a casa) arriva a rappresentare circa il 9% del rischio di sviluppare ipertensione. Inoltre, lo studio ha rilevato che lo stress psicologico contribuisce aun rischio maggiore di ipertensione nelle donne.

La maggior parte delle persone non si accorge neanche di avere la pressione alta, perché spesso il disturbo non dà sintomi. Il tempo non è mai abbastanza e si rimanda all’infinito un check-up medico per verificare il proprio stato di salute. Eppure l’elevata pressione arteriosa rappresenta il primo fattore di rischio per ictus e attacchi cardiaci. Per cercare di prevenire o ridurre lo stress, può rivelarsi utile imparare a gestirlo, per esempio facendo progetti per il futuro, cercando di stabilire le priorità dei vari compiti assegnati, o cercando di prepararsi prima di un evento stressante.

Rimane però fondamentale il monitoraggio costante della pressione sanguigna, soprattutto dai 40 anni in su. Oggi un grande aiuto viene dai nuovi dispositivi tecnologici presenti sul mercato, leggeri, maneggevoli, semplici da utilizzare e affidabili nei risultati.

Per agevolare il controllo costante della pressione è nata una APP (Apple e Android) che permette di visualizzare tutti i dati sotto forma di grafici, confrontare i risultati con le raccomandazioni dell’OMS, trasmetterli ai familiari o al medico, esportare i dati sotto forma di report in PDF o tabelle di Excel.: iHealth My Vitals

L’acquisto di un dispositivo iHealth in questo momento potrebbe rivelarsi particolarmente vantaggioso: tutti coloro che acquisteranno un misuratore di pressione, o qualunque altro prodotto della linea iHealth, riceveranno in omaggio una Polizza Sanitaria base RBM Salute della durata di tre anni, che offre un primo livello di protezione per le principali spese sanitarie (www.tuttosalute.it).

Sito web iHealth: www.ihealthlabs.eu

 

Anche gli anziani fanno sport

 

A partire tra la quarta e la quinta decade di vita si registra una sensibile flessione delle capacità di forza e resistenza; le cause sono da ricercare nella perdita fisiologica della massa muscolare, nella perdita di unità motorie di tipo veloce FT (fast twitch fibres) unitamente ad un rallentamento della capacità del SNC di condurre stimoli nervosi e conseguentemente di produrre risposte motorie atte al mantenimento della forza. A tutto ciò bisogna aggiungere un aumento del grasso sottocutaneo una diminuzione nella sintesi delle proteine e abitudini di vita sedentaria. L’allenamento non può fermare questi processi fisiologici, ma può indurre modificazioni che riescono a rallentare l’impatto che l’età ha sulle performance e sulla qualità di vita del soggetto. L’ipotesi che l’adattamento muscolare al lavoro sia ancora possibile e significativo non può nascondere il fatto che avvenga con maggiore lentezza, per cui prima di iniziare un programma di esercizi alla forza nell’anziano è importante una sua graduale introduzione che lo porti molto prudentemente alle forme di allenamento tradizionali. Tale periodo può includere nelle fasi iniziali carichi bassissimi o a corpo libero progressivamente crescenti.


Macchine isotoniche

È importante avere una progressione molto graduale degli esercizi fra quelli che attivano le masse muscolari principali e che abbiano un’escursione regolare, prevedibile, lineare come è possibile con le macchine isotoniche. L’ordine degli esercizi non differisce dalle indicazioni generali per gli adulti dando priorità agli esercizi che impegnano le masse muscolari più grandi, perciò inizieremo con esercizi agli arti inferiori per continuare con i muscoli del tronco e finire con le braccia. Il numero delle ripetizioni è tendenzialmente simile a quello classico,8-16, ma bisogna evitare uno sforzo molto elevato I recuperi fra le serie devono consentire di svolgere, senza alcuno stress, il lavoro proposto. Il carico di lavoro corretto viene calcolato facendo riferimento al peso che è possibile sollevare soltanto una volta con il movimento-esercizio che abbiamo deciso di far effettuare (1 RM). Il protocollo di lavoro viene impostato intorno al 30% del massimale (1 RM) per le esercitazioni iniziali, fissando un numero di ripetizioni che non portino all’esaurimento muscolare. Dopo circa due-tre settimane il carico può essere incrementato sino ad un massimo del 70% di 1 RM.

Allenamento alla resistenza

 Per allenare la resistenza dovremo far lavorare gli anziani ad una frequenza cardiaca variabile dal 65 al 80% di Fcmax. Si consideri che, per anziani nella terza fase della riabilitazione della cardiopatia ischemica dopo infarto del miocardio, vengono consigliate attività con valori tra il 65 e 70% della Fcmax da realizzare autonomamente al proprio domicilio. La durata dell’allenamento deve variare tra i 20-60 minuti, alcune ricerche hanno evidenziato l’efficacia anche di periodi più brevi, ripetuti più volte nel corso della giornata, in particolare per soggetti poco allenati.

Le attività consigliate sono:

Attività all’aperto 

▪ cammino

▪ corsa

▪ bicicletta

▪ sci di fondo

▪ ballo

Attività in palestra

▪ circuiti e percorsi con esercizi diversificati a bassa intensità

▪ esercizi coordinativi

▪ aerobica a basso impatto

▪ tapis roulant, cyclette
Attività in piscina

▪ nuoto

▪ aquagym

▪ ginnastica in acqua sia alta che bassa

In Acqua

Le attività in acqua rispondono al meglio alle esigenze motorie dell’anziano che può eseguire esercitazioni graduate secondo le sue necessità e senza stress fisici, sfruttando le componenti fisiche proprie dell’elemento acquatico: la spinta idrostatica, il galleggiamento indotto e la pressione.

La resistenza idrostatica può dar luogo a contrazioni muscolari prodotte in modo quasi del tutto isocinetico, quindi sforzi muscolari graduali e costanti per quasi tutta la lunghezza del movimento effettuato, a garanzia di un più completo rafforzamento dell’apparato muscolare. Le attività natatorie rientrano quindi in un contesto salutista utile sia al benessere psicofisico sia all’aggregazione sociale. Il gruppo costituito in questo ambito, trova obiettivi comuni fortemente motivanti, come la socializzazione, il rafforzamento della propria identità, e spesso determina un’aumentata attenzione verso problemi quali l’alimentazione, il fumo e l’alcool, migliorando sensibilmente lo stile di vita.

La ginnastica in acqua può migliorare:

• le capacità motorie

• le capacità sensoriali

• la coordinazione dinamico-generale

• l’efficienza muscolare e articolare

• le capacità respiratorie e cardiocircolatorie

• la socializzazione

• l’autostima

BALLO

Attività ideale a tutte le età che aiuta a coordinare l’azione fra mente e corpo e combatte l’invecchiamento precoce. La pratica del ballo, sia a livello sportivo-ricreativo, che a livello competitivo-amatoriale richiede l’osservanza di regole di igiene comportamentale alla salvaguardia della salute che, nel caso degli anziani, sono di fondamentale importanza per evitare lesioni sia alla struttura scheletrica che al sistema cardiocircolatorio. La danza-movimento-terapia non è soltanto una modalità specifica di trattamento di una pluralità di manifestazioni della patologia psichica, somatica e relazionale ma si occupa inoltre di favorire una positiva ricerca del benessere e di un’evoluzione personale. Il messaggio è dunque favorire lo sviluppo delle risorse umane verso la prevenzione del disagio psicosociale promuovendo il benessere dell’individuo attraverso la ricerca di un’unità psicofisica e spirituale.

TAI CHI CHUAN

Inserito in varie nazioni nei protocolli terapeutici e nei programmi di prevenzione sanitaria. La pratica del tai-chi non solo prevede il lento movimento di tutti i muscoli e di tutte le articolazioni, ma richiede anche una respirazione e un movimento del diaframma conformi al ritmo dell’esercizio, mantenendo rilassato il corpo e restando contemporaneamente vigili con la mente. Questi accorgimenti permettono che si produca un effetto riequilibrante sul sistema nervoso centrale, il quale a sua volta è stimolato ad attivare o a migliorare le funzioni di altri sistemi. Nell’esecuzione del tai-chi si richiede che il praticante sia rilassato, pienamente concentrato e capace di dirigere la sua completa attenzione su qualsiasi parte del proprio corpo, laqualcosa è già di per sé un’ottima disciplina per la mente.

È necessario possedere un appropriato controllo del corpo e un adeguato senso dell’equilibrio, requisiti che si possono ottenere attraverso un’intensa attività cerebrale; ciò attiva di conseguenza, in misura elevata, i meccanismi e i processi fisiologici del sistema nervoso centrale e di tutti gli altri sistemi e apparati dell’organismo. Infine, per l’aspetto più importante nella terza età, vale a dire la prevenzione delle cadute, questa disciplina sembra effettivamente contribuire a una diminuzione del rischio.

 

Il pilates è una ginnastica posturale?

Anche voi fate parte di quelle persone che non hanno mai ben capito di che cosa si tratta il Pilates? Una ginnastica posturale? Uno “yoga faticoso”? Una serie di esercizi che vanno di moda? Una roba per… vecchie signore? Ovviamente nulla di tutto ciò!

Da qualche anno c’è stata una vera e propria ascesa del Pilates: palestre, centri benessere, ma anche veri e propri studi specializzati in questa disciplina. La più grande differenza nella scelta del corso di Pilates adatto a noi è tra l’uso dei macchinari appositi come Reformer,Cadillac, Chair, spine corrector, barrel o nel lavoro a corpo libero, definito matwork.

Il Reformer è un macchinario ideato dallo stesso Joseph Pilates e tra i più versatili del suo repertorio: è un attrezzo simile a un letto costituito da una parte fissa e una parte mobile che scorre su un binario. Le due parti sono collegate con delle molle di diverso colore: ogni molla può essere agganciata o sganciata per dare un livello di intensità diverso all’esercizio che si deve eseguire.

Una delle posizioni di base consiste nello sdraiarsi in posizione supina posizionando i piedi nella parte fissa  e mantenendo il corpo nella parte mobile. Per spostare e far scorrere la parte mobile si dovrà esercitare una forza variabile in base al numero e alla tipologia delle molle agganciate e al peso del proprio corpo.

Il reformer inoltre è costituito da due staffe che possono essere utilizzate con gli arti superiori o inferiori. Il movimento sulle staffe provoca lo scorrimento della parte mobile. L’intensità dell’esercizio dipenderà ancora una volta dalle molle agganciate e dal peso del proprio corpo.

Le modalità di utilizzo del reformer sono quasi infinite: è possibile eseguire numerosissimi esercizi dedicati a ogni parte del corpo. Dallo squat in movimento sfruttando la parte mobile per equilibrio e controllo, a un affondo frontale, a esercizi per le braccia/spalle o per i glutei sfruttando le staffe. Da sottolineare inoltre che facilita l’allenamento senza stress per le articolazioni.  La sfida è duplice poiché in molti esercizi l’allievo deve tenere la stabilità del corpo su una superficie mobile, aumentando così la percezione del corpo nello spazio.

 

SPINE-CORRECTOR

Lo spine-corrector o Hump Barrel è stato progettato appositamente per correggere gli squilibri e le imperfezioni nella spina dorsale. La maggior parte esercizi sono eseguiti da sdraiati con la schiena arcuata sopra la porzione a forma di barile. Usarlo per eseguire i push-up è il modo migliore per impegnare tutte le masse muscolari del dorso senza sovraccaricare la colonna vertebrale. Anzi durante l’esercizio la colonna vertebrale viene allungata in modo benefico. Lo spine-corrector inoltre mantiene la corretta postura di colonna e articolazioni, così oltre a far lavorare pettorali e braccia hai anche una benefica ricaduta sui muscoli stabilizzatori di bacino e colonna e su paravertebrali ed erettori spinali. E contemporaneamente glutei e bicipiti femorali svolgono un importante lavoro isometrico, allungando quadricipiti, flessori dell’anca e del piede.

 

Chair
Il nome dell’attrezzo è dato dalle dimensioni e dall’utilizzo che un tempo lo collocava tra i primi attrezzi ginnici da casa. J.H.Pilates aveva infatti ideato la Chair come poltroncina da casa che, una volta aperta, si trasformava in un piccolo attrezzo dotato di resistenze (simile come concetto all’Universal Reformer).

La Chair permette un lavoro di rafforzo graduale di tutta la muscolatura.

Nel programma del Metodo pilates sono compresi esercizi in stazione eretta, seduta, prona e supina.

BIG BARREL

La Big Barrel è un attrezzo in legno imbottito esternamente dalla forma di un emicilindro che permette esercizi di mobilizzazione della colonna vertebrale.
Gli esercizi proposti sulla Barrel interessano principalmente la colonna vertebrale che viene sollecitata in tutti i segmenti, anche se negli esercizi tutte le catene muscolari sono sempre coinvolte.
I primi modelli di questo strumento, costruiti con la stessa tecnica utilizzata per le botti, appunto “barrel” in inglese, sono nati per creare uno strumento capace di far realizzare esercizi per la decompressione e l’allungamento della colonna vertebrale. Il Big Barrel consente di eseguire sia un allenamento intenso e specifico per il rafforzamento muscolare, sia esercizi di stretching, per un costante allenamento del corpo.

Cadillac

La Cadillac consiste in una intelaiatura in legno a forma di lettino su cui è installata una struttura metallica che permette l’inserimento di molle ed accessori con diverse posizioni, altezze ed angolature.

Le molle si utilizzano opponendo vari tipi di resistenza al lavoro del soggetto.
La Tower integra la Cadillac ampliando la gamma degli esercizi eseguibili.

La Cadillac è nata per sviluppare la componente propriocettiva del lavoro neuromuscolare in fisioterapia.
Gli esercizi  sono comunque inseribili nel programma generale del Metodo pilates e realizzano un miglioramento del tono e dell’elasticità muscolare.

Sono importanti anche gli utilizzi nella mobilizzazione della colonna vertebrale e nello stretching.

Quello che non molti sanno è che il Matwork, ovvero il corpo libero, nasce come una sorta di “compito per casa“ che Joseph dava ai suoi allievi, a cui necessariamente affiancava il suo lavoro in studio mediante l’ausilio dei macchinari. Il lavoro a corpo libero richiede una precisione ed un controllo della propria postura, spesso maggiore di quello richiesto dalle macchine, le quali possono facilitare alcuni movimenti e bloccare atteggiamenti corporei sbagliati.

I due lavori sono necessariamente complementari. Troverete grande beneficio nell’iniziale utilizzo del Reformer, che vi aiuterà a sviluppare ed usare muscoli che sono la condizione necessaria per l’esecuzione di molti esercizi a corpo libero, in un successivo momento il suo sitema di molle potrà aggiungere sfide ulteriori e modellare in maniera ancora più specifica il vostro corpo. Il Matwork è necessario, dal canto suo, per aumentare la percezione della nostra postura ed insegnarci a sentire quando un movimento è eseguito correttamente o meno, nonché ci permette di avere un repertorio di esercizi che potremmo un domani usare in autonomia.

Il percorso inizia con la valutazione della postura, delle tensioni muscolari e dei movimenti scorretti che il corpo utilizza e che possono essere causa di dolori o contribuire a fissare una cattiva postura. Attraverso un programma di esercizi si impara a riconoscere le tensioni, i movimenti alterati e come fare per modificarli per ritrovare e mantenere nel tempo uno stato di benessere diventando più consapevole e responsabile del proprio corpo.

Il Pilates è indicato per:

alterazioni    posturali    e    scoliosi, in ragazzi e adulti

colonna vertebrale e articolazioni: lombalgia, sciatalgia, cervicalgia, periartrite spalla, artrosi anca, distorsioni della caviglia, traumi, fratture..

ernia del disco, ricostruzione legamenti spalla o ginocchio, protesi d’anca..

Osteoporosi per prevenire la perdita di massa ossea

Gravidanza in caso di lombalgia o per recuperare la forma fisica dopo il parto

pavimento pelvico per incontinenza, prolasso

Atleti prima del ritorno all’attività sportiva o per integrare l’allenamento

Nel corso di gruppo visto e considerato che ogni soggetto è differente dall’altro, prima di inserirsi, è consigliato effettuare una o due sedute di Pilates individuale per imparare la corretta esecuzione dei movimenti.

La ginnastica posturale è un tipo di ginnastica importante non solo per tutti coloro che presentano dolori e vari disturbi alla colonna vertebrale, spesso affetta da varie problematiche dovute anche ad un’errata postura assunta durante il corso della giornata, ma anche a scopo preventivo, al fine di prevenire quindi l’insorgenza di eventuali dolori e fastidi a spalle e schiena, fastidi che possono divenire più frequenti con l’avanzare dell’età. Normalmente le posizioni scorrette che assumiamo durante la giornata portano ad accusare dei dolori al collo e alle spalle, le quali appaiono peraltro spesso incurvate verso l’interno.

Gli esercizi, nella loro apparente semplicità, attivano la muscolatura più profonda lavorando in sintonia con un corretto uso del respiro. Questo tipo di ginnastica si prefigge determinati “obiettivi”: una presa di coscienza della propria postura, un miglioramento della coordinazione, un riequilibrio della postura e ovviamente l’apprendimento delle posizioni corrette da assumere.

In questo modo vengono stimolati e migliorati la concentrazione e coordinazione mente-corpo e l’ascolto delle nostre percezioni corporee.

Se la ginnastica posturale “classica” si fonda sull’individuazione generale del disequilibrio ipotono/ipertono e sulla conseguente somministrazione di esercizi di tonificazione per le zone muscolari ipotoniche e di stretching per le zone ipertoniche e mobilizzazione delle principali articolazioni del corpo, il Pilates, o meglio il metodo Pilates (che trae il nome dal suo ideatore), gode di una più ampia specificità e si regge su una particolare filosofia orientata al connubio mente-corpo, che trae origine dalla concezione olistica dell’individuo. Il suo nome originale, infatti, è “Contrology”, ed è evidente come il suo ideatore J.H. Pilates abbia previsto per il suo metodo il principio fondamentale del controllo mentale sul movimento che si va ad eseguire, e questo accade essenzialmente attraverso l’esecuzione di un movimento lento e controllato (secondo il principio fisico che consente di aumentare il controllo biomeccanico del nostro corpo diminuendo la velocità di esecuzione del movimento) e l’abbinamento della respirazione che segue uno schema generale in base al tipo di contrazione addominale, diviso in inspirazione in contrazione eccentrica (l’addome si contrae allungandosi) ed espirazione in contrazione concentrica (l’addome si contrae accorciandosi).

Appare evidente come la ginnastica posturale sia a più ampio spettro e si adatti facilmente ad un pubblico ampio e diversificato, dall’età evolutiva alla terza età, abbracciando una vasta gamma di problematiche e agendo su una prevenzione di primo e secondo livello per ciò che riguarda l’insieme delle alterazioni fisiche e i difetti di andatura e postura. Ma è pur vero che il Pilates è anch’esso una ginnastica posturale, è un tipo particolare e specifico di ginnastica posturale che riguarda essenzialmente i muscoli centrali del corpo, addominali in primis, lombari, paravertebrali e glutei, che in effetti sono i muscoli “posturali” per eccellenza, ossia quei muscoli che racchiudendo la colonna vertebrale controllano il mantenimento della postura e quindi regolano l’equilibrio.

Riassumendo, possiamo affermare che la ginnastica posturale rappresenti un primo livello per chi voglia migliorare la funzionalità del proprio corpo, un’attività generale e che si adatta con facilità ad una vasta gamma di obiettivi e ad un ampio pubblico di differenti fasce d’età, invece il Pilates rappresenta un livello successivo, l’attività ideale per chi cerca una maggiore consapevolezza del suo abitare la corporeità, per chi ha il desiderio di iniziare l’affascinante viaggio alla scoperta del proprio universo corporeo, indissolubilmente legato e fuso alla dimensione psichica e alla componente emotiva.

 

Rossella Caci – Pilates Trainer, Genova