Gastroenterologia

Sangue occulto nelle feci: prevenire il carcinoma del colon

Il programma di prevenzione del carcinoma del colon retto prevede l’esame a campione di sangue occulto fecale. Esso consiste nel ricercare, su di un campione di feci, tracce di sangue, non visibili ad occhio nudo.

Un dato aggiuntivo, che può indicare la presenza di un tumore o di uno stato infiammatorio delle mucose intestinali, come avviene ad esempio nella colite ulcerativa e nel morbo di Crohn è la ricerca della calprotectina fecale, che non rientra nel programma di screening abituale.

Uno studio multicentrico italiano, pubblicato sulla rivista medica European Journal of Gastroenterology and Hepatology, ha recentemente evidenziato come la sola ricerca del sangue occulto fecale non sia sufficiente per effettuare una corretta diagnosi, in quanto questo esame dà numerosi casi di falsi positivi, ovvero soggetti che, nel successivo esame di colonscopia, non presentano lesioni precancerose o neoplasie. Prima di procedere alla colonscopia, gli studiosi del multicentrico italiano, hanno valutato l’utilità di altri marcatori fecali, tra cui la piruvato-chinasi di tipo 2 (calprotectina).

La sua determinazione nelle feci può essere utilizzata come marcatore tumorale, perché è una proteina prodotta anche nelle cellule tumorali coliche, oltre che nelle cellule infiammatorie nel lume intestinale.

La ricerca del sangue occulto nelle feci serve, come lo stesso termine indica, a diagnosticare un sanguinamento occulto, cioè un sanguinamento che c’è, ma non si vede. L’esame macroscopico delle feci, cioè ad occhio nudo, non mostra tracce di sangue, ma l’esame microscopico, con il test al guaiaco o con quello immunologico, ne evidenzia la presenza.

Il sanguinamento oscuro è quel sanguinamento, che può essere palese od occulto, del quale non si conosce l’origine.

Il sanguinamento occulto, a sua volta, può essere determinato da una causa nota o da una ignota.

Il sangue nelle feci, visibile ad occhio nudo, è quello evidente macroscopicamente, e può presentarsi di colore rosso chiaro oppure rosso scuro fino al nero piceo. Il colore dipende dalla sede del sanguinamento all’interno del tubo digerente, poiché, quando viene digerito, il colore rosso del sangue vira al rosso scuro e poi al nero.

La valutazione clinica, sempre imprescindibile, indica al Medico l’eventuale necessità di successive indagini di laboratorio o strumentali, che partiranno da quelli di base, fino ad arrivare a quelli più specialistici.

La ricerca del sangue occulto fecale è prevalentemente un test di screening per il tumore del colon-retto, consigliabile a partire dai 45/50 anni di età, ma può essere utilizzato come metodica di indagine per altre patologie, come ad esempio le anemie da perdita ematica di causa ed origine oscura.

Questo test non ha valore per una diagnosi certa, sia in campo oncologico che clinico. Esso dà luogo a molti falsi negativi e falsi positivi. Nel primo caso, il più “grave”, si rischia di non fare diagnosi di un tumore o polipo esistente. Nel secondo caso, il Paziente sarà sottoposto a successivi controlli, che, fortunatamente, si riveleranno nella norma. È il caso frequente di sanguinamento occulto da lesioni emorroidali o gengivali.

Lo stesso può avvenire nella clinica, tanto che, per essere certi che il Paziente non abbia perdite ematiche da lesioni importanti, si ricorre agli esami endoscopici o radiologici opportuni.

Se il sanguinamento è occulto, ciò significa che la perdita è minima, spesso saltuaria e talvolta di origine difficile da scoprire. I sintomi sono sfumati o assenti ed ogni tratto del tubo digerente può essere quello interessato dal gemizio ematico. Le patologie che lo causano possono essere benigne, come erosioni dell’esofago o dello stomaco, ulcere, angiodisplasie, ulcera solitaria del retto, coliti infiammatorie o infettive, morbo di Crohn, o maligne, come i tumori.

Nello screening del carcinoma del colon retto la ricerca del sangue occulto fecale viene utilizzata in soggetti di età superiore ai 50 anni, anche se l’età deve essere inferiore in caso di familiarità. Nel caso di positività del test, sarà consigliabile eseguire la colonscopia. L’utilità di quest’ultima non è solo diagnostica, ma anche terapeutica, considerando che la polipectomia endoscopica è un intervento terapeutico definitivo a tutti gli effetti.

E’ noto infatti che il tumore del colon nasce da quelle piccole escrescenze mucose, note sotto il nome di polipi. Il processo evolutivo da polipo a cancro è lento e l’intervento di resezione del polipo previene di fatto la malattia oncologica.

Anche la diagnosi precoce del cancro del colon è molto importante, perché permette la guarigione completa dopo l’operazione, mentre la sopravvivenza scende al 9% quando la malattia è nella fase di metastatizzazione.

I tumori del colon in fase iniziale ed i polipi di piccole dimensioni non dànno sintomi ed è questo il motivo per il quale si accrescono indisturbati e vengono diagnosticati quando è tardi. L’unico modo per scoprirli in tempo è andare a cercarli, eseguendo la così detta prevenzione secondaria. Ciò avviene con la colonscopia. Siccome essi possono sanguinare, anche se poco ed a fasi alterne, esiste la possibilità che la ricerca del sangue occulto fecale sia positiva.

Una positività del sangue occulto fecale può anche essere dovuta ad altre cause o ad errori (sanguinamento gengivale, emorroidi, terapia marziale): questo si chiama falso positivo.

Nel caso opposto, il test è negativo, ma il tumore o i polipi sono presenti. Essi non hanno sanguinato nell’immediatezza dell’esame e ciò determina il falso negativo.

Molte altre patologie e condizioni possono rendere positiva l’indagine di sangue occulto nelle feci: dall’ulcera duodenale alle malattie infiammatorie dell’intestino, dalle varici esofagee alla diverticolite, dalle emorroidi alle fistole anali, o semplicemente la contaminazione del campione con sangue mestruale o una dieta non adeguata nei giorni precedenti.

In caso di sanguinamento intermittente ed occulto, come avviene nelle anemie sideropeniche, il quadro clinico è quello di astenia, dispnea e anemia ipocromica microcitica. Questo orienta verso una perdita ematica che deve essere indagata con gastroscopia e colonscopia. La ricerca del sangue occulto rimane importante poiché, in caso di negatività della gastroscopia e della colonscopia, s’imporrà lo studio del piccolo intestino, nel caso specifico con indicazione all’utilizzo della videocapsula.

Secondo un importante studio epidemiologico la ricerca di sangue occulto nelle feci ha mostrato una riduzione della mortalità pari al 33%, quando il test viene effettuato ogni anno, e del 21% quando il test viene effettuato ogni due anni.

Per la prevenzione, è opportuno rivolgersi al proprio Medico, in presenza di modificazioni delle abitudini intestinali, di sensazione di ingombro rettale persistente dopo l’evacuazione, di dolori colici di recente insorgenza.

Preparazione all’esame di ricerca del sangue occulto nelle feci.

La preparazione all’esame è differente a seconda della tecnica diagnostica utilizzata: Hemoccult o prova immunochimica.

Per garantire un corretto risultato, comunque, è importante che il paziente rispetti le indicazioni del centro di analisi, che in genere sono le seguenti:
usare l’apposito recipiente sterile munito di cucchiaino interno;
mettere le feci in un recipiente tipo vaso da notte, evitando di mescolarle con le urine, con l’acqua del wc o con i suoi detergenti;
raccogliere il campione con l’apposita spatolina in tre punti diversi delle feci, sino a riempire metà circa del recipiente, in modo da ottenere un campione il più omogeneo possibile;
scrivere il nome sull’etichetta del sistema per la raccolta delle feci;
portare il contenitore in laboratorio entro alcune ore, oppure, in caso di raccolta di più campioni, conservarlo in frigorifero;
non eseguire il test di ricerca del sangue occulto nelle feci durante le mestruazioni, in presenza di emorroidi sanguinanti o quando si perde sangue con le urine;
nel caso del test immunologico, la dieta sarà meno importante.

Sono in commercio anche kit di autolettura per il sangue occulto fecale con il metodo immunochimico. Il test è rapido e facile da eseguire. Si prende un campione di feci e lo si mette nella provetta, a contatto con il reagente. Il risultato si ha in pochi minuti. I limiti di questo test sono i falsi positivi e i falsi negativi, dovuti alla presenza di emorroidi, ragadi, gengiviti o altre cause di gemizio ematico o al fatto che il sangue può trovarsi in modo non omogeneo nelle feci esaminate. O semplicemente perché il cancro o il polipo presenti non hanno sanguinato il giorno del prelievo di feci. Ecco perchè è consigliabile ripetere il test 2 o 3 volte, a giorni alterni, e comunque più volte durante l’anno.

Italiani affetti da “fegato grasso”

Un italiano su 4 è affetto da ‘fegato grasso’, ovvero da ‘steatosi epatica non alcolica’ (Nafld), una patologia un tempo ritenuta innocua ma che è ormai noto essere un fattore predisponente alle malattie croniche di fegato (fino alla cirrosi) e alle malattie cardiovascolari. Ecco la conclusione a cui sono giunti gli esperti della Società Italiana di Gastroenterologia (Sige)

Assetto genetico

“Nel corso degli ultimi millenni – spiega Antonio Craxì, presidente SIGE – l’evoluzione costante della specie umana ha selezionato gli individui più capaci di accumulare grassi, premiandone la maggiore resistenza alla malnutrizione. Questo assetto genetico “’frugale’ costituiva un importante vantaggio in tempi di fame e carestie, ma si è trasformato in uno svantaggio potenzialmente letale, per le conseguenze metaboliche (diabete, malattie cardiovascolari) nel momento in cui il nostro profilo alimentare si è arricchito a dismisura di fonti caloriche e nel contempo l’attività fisica si è ridotta. Il fatto poi che si viva assai più a lungo, grazie ai progressi nel curare malattie e traumi, favorisce ulteriormente la comparsa delle malattie degenerative legate all’accumulo di grassi in molti organi e sistemi del nostro corpo”.

Se dunque nasciamo già predisposti ad accumulare troppo, a peggiorare le cose generando una vera e propria epidemia di ‘fegato grasso’ (al momento è la più comune malattia di fegato nel mondo, presente nell’80-90 per cento degli obesi e nel 30-50 per cento dei diabetici) interviene un fattore potenzialmente correggibile, e cioè una dieta ricca di grassi e di calorie, tipica dei regimi dietetici di tipo ‘occidentale’, che si sono troppo discostati dalle nostre radici alimentari, dal regime dietetico amico della salute per eccellenza, la dieta mediterranea. Negli ultimi anni tuttavia ci si è resi conto che questo effetto negativo delle diete piene di ‘cibo spazzatura’ non è sempre diretto, ma anche mediato da un ospite silenzioso e importantissimo per la salute, il microbiota intestinale.

Il Microbioma intestinale

 “Per microbiota intestinale – spiega Ludovico Abenavoli, professore associato di gastro-enterologia dell’Università Magna Graecia di Catanzaro – si intendono quei miliardi di batteri localizzati in particolare nel piccolo intestino, che possono raggiungere una massa di 2-3 chili”. Il microbiota facilita la digestione e l’assorbimento degli alimenti che passano dallo stomaco nell’intestino. Ma la relazione tra il microbiota e il suo ospite, cioè l’uomo, è ‘bidirezionale’, nel senso che il tipo di alimenti che compongono la dieta abituale di un individuo è in grado di ‘modellare’ la composizione del microbiota.

Di anno in anno si vanno moltiplicando i lavori a conferma di questa osservazione, che risale ad uno studio molto importante di Carlotta De Filippo e colleghi pubblicato nel 2010 su PNAS. Questa ricerca ha valutato la flora batterica intestinale di un gruppo di bambini di Firenze, paragonandola a quella di un gruppo di bambini del Burkina Faso. I bimbi africani, che hanno una dieta a base di verdura, frutta e fibre, presentavano una maggiore variabilità nella composizione del microbiota intestinale, rispetto a quello dei bambini italiani, che seguono un regime alimentare ricco di carne, fruttosio e altri zuccheri complessi. “E oggi sappiamo – spiega Abenavoli – che una ridotta variabilità del microbiota intestinale predispone ad una serie di patologie: aumenta la suscettibilità allo stress ossidativo, altera il metabolismo degli zuccheri e dei grassi e quindi predispone al sovrappeso-obesità, in particolare a livello viscerale, all’insulino-resistenza e al diabete mellito, alle patologie cardiovascolari, ai tumori e, come scoperto più di recente, anche alla steatosi epatica non alcolica.

Chi consuma una dieta ricca di frutta e verdura – aggiunge Abenavoli – ha un microbiota ricco di tante specie batteriche diverse (Actinobatteri, Bacteroides, Firmicutes, Proteobatteri), mentre chi indulge in una dieta occidentale o nel cibo da fast food presenta un microbiota ricco solo di Firmicutes. Questo squilibrio predispone a maggior stress ossidativo, ad un aumento della permeabilità a livello dell’intestino (soprattutto del piccolo intestino), con conseguente passaggio delle tossine batteriche (soprattutto del lipopolisaccaride batterico) e di altre componenti tossiche nel circolo portale, che le veicola al fegato,dove provocano danni e facilitano l’infiammazione.

Questo microbiota dalla composizione squilibrata e dalla scarsa variabilità induce un aumento dei livelli circolanti di citochine infiammatorie, che predispongono alla formazione della placca ateromatosa e favoriscono l’aggregazione piastrinica; fattori questi che a loro volta predispongono allo sviluppo di eventi cardiovascolari nel medio-lungo termine. Avere il fegato grasso (cioè le cellule epatiche piene di trigliceridi) va dunque considerato un campanello d’allarme non tanto per oggi, quanto per gli anni futuri. Secondo stime americane, entro il 2030 il fegato grasso sarà la principale causa di cirrosi e la prima causa di ricorso al trapianto di fegato, superando le epatopatie croniche da virus dell’epatite B e C (che grazie alle nuove terapie e al vaccino sono destinate a ridursi nel tempo) e la cirrosi alcolica.

La dieta mediterranea

Ma il modo per contrastare questa epidemia di malattie epatiche e cardiovascolari dei prossimi decenni esiste. “La dieta mediterranea – afferma Abenavoli – è una nostra caratteristica culturale e la nostra ricchezza, anche da un punto di vista economico. Investire in dieta mediterranea significa avere un importante ritorno in salute per la società. La dieta mediterranea, bilanciata e facilmente accessibile, non determina quegli squilibri nutritivi tipici delle diete vegetariane o peggio di quella vegana, che a lungo andare possono avere importanti ripercussioni sulla salute (anemia, problemi neurologici, possibile predisposizione dei vegani all’Alzheimer). Allo stesso tempo ci consente di ‘coltivare’ il nostro amico microbiota intestinale che è molto importante, ci accompagna per tutta la vita e ci protegge da una serie di malattie”.

Di recente si è visto che la dieta vegana può influenzare la salute di un individuo, agendo sul suo microbiota intestinale. Ma non si può certo affermare che questa sia una dieta ideale. “Dieta mediterranea o dieta vegetariana/vegana – afferma Abenavoli – hanno effetti simili per quanto riguarda il microbiota intestinale, anche se gli studi pubblicati non hanno fatto confronti diretti tra queste tre diete, ma tra dieta vegana-vegetariana o dieta mediterranea e dieta occidentale, piena di grassi e cibi da fast food.

Posto che dieta vegetariana, vegana e mediterranea hanno tutte un effetto positivo sulla composizione del microbiota intestinale, esistono tuttavia grandi differenze tra questi tre regimi alimentari per quanto riguarda il deficit di alcuni nutrienti. Una dieta mediterranea bilanciata non determina deficit nutritivi, cosa che invece è possibile osservare nei soggetti che seguono una dieta vegetariana e ancor di più in quelli a dieta vegana. Non consumare carne determina un deficit di vitamine del gruppo B e di ferro. Nei vegani stretti si possono verificare deficit di vitamine del gruppo B, D, ferro, zinco e altri micronutrienti.

IMPOTENZA E GASTROENTEROLOGIA

Il paziente con problemi di impotenza si rivolge quindi più spesso all’urologo-andrologo o agli specialisti in sessuologia clinica che, attraverso una accurata indagine anamnestica, una visita completa, e gli opportuni accertamenti, ricercano i segni suggestivi di patologie dell’apparato genitourinario, della sfera psico-sessuale ma anche di altri apparati distanti allo scopo di impostare il programma terapeutico più appropriato. 

Possono emergere così alterazioni o segni di una malattia sistemica (diabete mellito, ipertensione arteriosa, malattie vascolari, alterazioni endocrinologiche complesse) o di organi ed apparati apparentemente non strettamente collegati con la sfera sessuale quali l’ apparato digerente ed il fegato, fino ad allora ignoti al paziente e di cui si rende necessario stabilire la precisa responsabilità nel determinare il disturbo oggetto delle indagini.
E per quanto concerne i disturbi riferibili alla patologia dell’ apparato digerente, del fegato e del pancreas, tipicamente di competenza dello specialista gastroenterologo, va tenuto presente che questa è molto frequente e figura, nelle statistiche, tra le principali cause di morte e di inabilità potendo costituire perciò, nel paziente affetto da impotenza, un reperto solo “occasionale”.
Infatti i dati epidemiologici indicano che il 7% della popolazione “sana” accusa rigurgiti acidi (sintomo tipico della malattia da reflusso gastroesofageo) tutti i giorni, ed il l5 % almeno una volta al mese; dal48 al 79% delle donne in gravidanza presenta questo disturbo. Circa il 25-30% della popolazione soffre di “cattiva digestione” (dispepsia) per periodi prolungati nell’arco della propria vita ed il 10% dell’umanità sofrirà durante la propria esistenza di ulcera. Fino al 50% ed oltre dei soggetti che vivono nei paesi industrializzati è portatore dell’Helicobacter Pilori, che viene attualmente considerato uno dei principali fattori di rischio per la gastrite cronica, l’ulcera duodenale e forse per le neoplasie dello stomaco. Almeno il 2% soffre di stitichezza cronica severa ed il 14% delle donne soffre di “colite spastica”.
L’elenco potrebbe continuare, con dati che lascerebbero sicuramente stupiti molti Poiché la frequenza della patologia gastroenterologica è così elevata, l’associazione con patologie o fenomeni a prima vista non collegati, come l’ impotenza maschile, è possibile e può essere del tutto casuale, ma comunque “degna” di attenzione e di approfondimenti. D’ altra parte malattie internistiche che non interessano primitivamente l’ apparato gastro-enterico, o neurologiche in grado di provocare secondariamente impotenza maschile (il diabete, le lesioni dell’ encefalo e del midollo spinale), possono comprendere, tra i loro sintomi, disturbi riferibili al tubO digerente (nausea, vomito, disturbi dell’ alvo e dei meccanismi dell’ evacuazione, ecc) di cui si rende necessario un corretto inquadramento.
Inoltre è noto il ruolo svolto dallo stress e dai fattori psicologici nella patologia del tubo digerente: gli stessi elementi possono costituire lo sfondo e la causa comune dei disturbi digestivi e dell’impotenza.
Spesso, infine, poiché la patologia dell’apparato digerente ha un andamento cronico, con periodi di remissione e di riacutizzazione, oppure un andamento progressivo ed invalidante, non è infrequente che, per il deterioramento delle condizioni generali, o per l’innesco di serie problematiche neuropsichiatriche (ansia, depressione ecc) il paziente gastroenterologico subisca interferenze di tipo aspecifico con funzioni diverse da quelle digestive, comprese quelle della sfera sessuale e riproduttiva, che, nel maschio, possono comprendere la perdita di libido o l’impotenza.
Fin qui si è detto delle associazioni casuali tra la patologia dell’apparato digerente e la sfera sessuale. Ma è anche possibile che il disturbo sessuale o riproduttivo sia effettivamente secondario ad una malattia dell’apparato digerente.
Ciò si può verificare per interferenze con i processi di digestione e assorbimento dei precursori delle sostanze ormonali deputate al mantenimento delle funzioni sessuali, peralterazioni del loro metabolismo nel fegato, o per la difettosa sintesi epatica delle proteine vettrici degli ormoni sessuali nel circolo ematico, o per effetti secondari di terapie farmacologiche o chirurgiche di malattie gastroenteriche, o per lesioni che anatomicamente si estendono dall’ apparato digerente agli organi genitali attigui.
La consulenza gastroenterologica risulta quindi, a volte, indispensabile per la corretta gestione di problematiche sia della sfera riproduttiva femminile (disturbi gastroenterici collegati con il ciclo mestruale, epatopatie coincidenti o esclusive della gravidanza. diagnosi e trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali in gravidanza. infertilità nel corso di patologie croniche epatiche e gastrointestinali) che di quella maschile (impotenza e infertilità nel corso di epatopatie croniche e di malattie del tubO digerente).
E’ noto da molto tempo che i soggetti affetti da grave insufficienza epatica secondaria alla cirrosi alcolica e all’ emocromatosi, ed i soggetti dediti all’abuso di alcool pur in assenza di significative lesioni epatiche, presentano un complesso di alterazioni ormonali dell’ asse ipotalamo- ipfisi- gonadi che provocano, nei maschi, ginecomastia (aumento di volume delle ghiandole mammarie), ipotrofia testicolare, alterazioni della spermiogenesi, riduzione della libido e impotenza. Tali alterazioni possono essere presenti fino nel 70-80% dei pazienti con epatopatia cronica alcolica.
I segni clinici che possono far sospettare la presenza di una patologia epatica correlata all’ abuso di alcool sono il colorito itterico (giallo) della cute, delle mucose, degli occhi e delle urine, il prurito generalizzato con le conseguenti lesioni da grattamento, l’ eritema palmare (arrossamento del palma delle mani), la presenza di ectasie capillari cutanee prevalenti al volto ed al tronco (spider naevi), la tendenza al facile sanguinamento gengivale e cutaneo anche spontaneo (ematomi ed ecchimosi spontanee o per traumi di lievi entità con manifestazioni che vanno sotto il nome di porpora), le alterazioni degli annessi cutanei (unghie, peli), la riduzione del pannicolo adiposo e delle masse muscolari, l’ aumento di volume e di consistenza del fegato e della milza, il versamento di liquido nella cavità peritoneale (ascite) e la ritenzione idrica delle estremità.
In presenza di questi segni alcuni tests principali di laboratorio possono confermare il sospetto di epatopatia e precisarne la causa (determinazione del volume eritrocitario, conta delle piastrine, transaminasi sieriche, gamma GT – tipicamente alterate anche negli stadi iniziali dell’ epatopatia alcoolica -fosfatasi alcalina, bilirubina totale e frazionata, elettroforesi delle proteine seriche, test della coagulazione, determinazione del ferro, della transferrina satura e della ferritina, marcatori virali delle epatiti B e C, dosaggio di alfa-1-antitripsina, cupremia, ceruloplasmina e degli autoanticorpi-antinucleo, -antimitocondrio, -antimuscolo liscio antiantigene comune fegatorene – dosaggio di alfa feto proteina).
L’ ecotomografia addominale, l’ eco-doppler del fegato, ed eventualmente la biopsia epatica possono confermare ulteriormente la diagnosi e fornire preziose informazioni anche prognostiche. Confermata la diagnosi esistono possibilità terapeutiche la cui discussione esula gli scopi di questa trattazione, in grado di migliorare la prognosi e la qualità di vita del paziente.
I pazienti affetti da morbo celiaco o da altre sindromi di malassorbimento (patologie di natura complessa con alterazioni dell’ epitelio assorbente intestinale) possono manifestare disturbi della sfera riproduttiva (amenorrea e infertilità nella femmina, impotenza e infertilità nel maschio), sia per gli effetti della grave denutrizione, sia per probabili alterazioni, secondarie alla malattia stessa, dell’asse ormonale ipotalamo-ipofisi-gonadi. Il morbo di Crohn (malattia infiammatoria cronica intestinale che può colpire segmenti del tenue o del colon o di entrambi e che provoca diarrea, occlusioni intestinali, sanguinamenti dal retto, febbre, dolori addominali, calo di peso, e manifestazioni extra intestinali), può complicarsi con lesioni perianali e pelviche che possono provocare disturbi della sfera genitale sia nella femmina che nel maschio (impotenza per lesione delle strutture nervose preposte all’erezione).
Anche le amputazioni chirurgiche del retto, ed in generale gli interventi della pelvi possono interessare le strutture nervose deputate alle funzioni sessuali e possono comportare problemi psicologici (dovuti al confezionamento di ano artificiale) al compimento dell’ atto sessuale. Talvolta anche alcuni farmaci utilizzati nel trattamento di affezioni dell’apparato digerente e del fegato possono provocare, nel maschio, impotenza o riduzione della libido. Disturbi di questo tipo sono stati meriti in soggetti che assumevano farmaci antiulcera (anti-H2 secretori), antidispeptici (domperidone, metodopramide, levosulpiride), diuretici (spironolattone), interferone (in conseguenza degli effetti depressivi del tono dell’umore).
Reciprocamente, i farmaci eventualmente utilizzati per il trattamento di forme organiche (terapie ormonali a base di androgeni) o funzionali (neurolettici ed antidepressivi) di impotenza maschile possono provocare significativi effetti secondari a carico del fegato, rendendo necessario un monitoraggio laboratoristico (test di funzionalità epatica) e strumentale (ecotomografia dell’addome superiore) durante il loro impiego. Si può concludere affermando che, nel corso delle indagini e degli accertamenti cui viene sottoposto il paziente con problemi di impotenza, è opportuno ricercare anche i segni di una possibile associazione con malattie gastroenterologiche, non sottovalutando la possibilità che il paziente possa giovarsi, per la soluzione del suo problema di impotenza di una corretta gestione terapeutica della concomitante affezione gastroenterica od epatica.
E’ da tener presente infine, che la prevenzione delle complicanze delle malattie gastroenterologiche passate in rassegna, possa ridurre il rischio in questi soggetti di soffrire di disturbi come l’impotenza.

Ettore Vallarino -gastroenterologo
pubblicazione del 1996

LA STIPSI, UN PROBLEMA SEMPRE PIU’ COMUNE

La definizione stessa di stipsi é difficile, in quanto l’evacuazione é un atto fisiologico complesso, con standard diversi a seconda delle zone geografiche e delle abitudini dietetiche, influenzata dall’ambiente familiare e sociale. Inoltre spesso non é facile, per il paziente, valutare il suo funzionamento intestinale, né, per il medico, interpretarlo correttamente. La defecazione va infatti inquadrata in base alla frequenza, completezza, difficoltà e ricorso a lassativi; vanno inoltre considerati forma, peso e consistenza delle feci. In generale, in soggetti sani, nel mondo occidentale, si ritiene che la frequenza media sta compresa tra 3 evacuazioni/die e 3 evacuazioni/settimana. La stipsi é un fenomeno universale, ampiamente variabile per aree geografiche, dieta, fattori socio-economici, età, sesso, farmaci. E’ un problema molto diffuso, che interessa dal 2 al 20% della popolazione generale. Spesso questi soggetti non interpellano il medico e ricorrono preferibilmente ad automedicazioni con un consumo elevatissimo di lassativi, con costi e rischi talora elevati. Il colon, deputato principalmente all’assorbimento di acqua e sali ed alla propulsione del contenuto intestinale, ha una propria attività motoria, controllata in via nervosa, neuroendocrina e ormonale, estremamente variabile (pasti, sonno, emozioni, età, attività fisica). Il retto é invece deputato al deposito delle feci e alla loro espulsione con l’atto della defecazione, in cui intervengono recettori e riflessi nervosi, sistemi sfinterici e muscolari. La stipsi pertanto può dipendere da un rallentato transito del colon, da un alterato meccanismo evacuatorio anorettale o dalla combinazione di entrambi i fattori. L’inquadramento clinico della stipsi presuppone, da parte del medico, un’attenta anamnesi ed una visita accurata, eventuali esami strumentali, per escludere patologie organiche (ecografia, clisma doppio contrasto, colonscopia) vanno riservati a soggetti con sintomi di allarme (perdita di peso, proctoraggie ecc…). In assenza di sintomi di allarme é inizialmente giustificato un periodo di prova con apporto di acqua e fibre in quantità adeguata, correzione di stili di vita non corretti, rassicurazione. In caso di fallimento si consigliano indagini funzionali (tempo di transito del colon, defecografia, manometria ano-rettale…), anche per orientare meglio la terapia che oltre alle suddette norme generali, prevede l’uso di lassativi “fisiologici” come fibre artificiali, lattulosio, procinetici, soluzioni idroelettrolitiche bilanciate. Lassativi più energici e clisteri vanno riservati a situazioni particolari e comunque usati con moderazione. I programmi terapeutici vanno in ogni caso personalizzati e monitorati periodicamente dal curante. Esistono infine tecniche e terapie chirurgiche da utilizzare esclusivamente in casi selezionati.
Paolo MICHETTI Dirigente 2° livello
U.O. Gastroenterologia
Servizio Endoscopia Digestiva E.O
Ospedale Galliera