Terza età

LA PERIARTRITE DI SPALLA

La limitazione dolorosa dei movimenti della spalla veniva in passato indicata generalmente come periatrite. Nella seconda metà del secolo scorso, studi legati alla medicina dello sport, ed in particolare al trattamento delle lesioni procurate dagli sport di lancio e soprattutto al migliore inquadramento diagnostico ottenuto direttamente con la tecnica artroscopica hanno permesso di suddividere la “periartrite” in vari capitoli di patologia della spalla: -la sindrome da conflitto subacromiale, -la lesione della cuffia dei rotatori, -l’instabilità e la lussazione, -la capsulite adesiva, -l’artrosi della spalla, oltre naturalmente alle fratture osteocartilaginee.

La spalla è un complesso articolare molto dinamico: deve permettere all’arto superiore ed alla mano di muoversi nello spazio con la massima libertà e rapidità. E’ formata infatti da più strutture ossee: testa dell’omero, scapola, clavicola, superficie toracica e da un sistema neuromuscolare estremamente organizzato per consentire tutti i tipi di movimento.
E’ quindi la perdita della complessa coordinazione motoria del dinamismo della spalla che innesca meccanismi di lesione a carico delle diverse strutture ed indirizza verso una patologia specifica. I recettori capsulolegametosi e muscolotendinei modulano e controllano il movimento; per questo l’allenamento sportivo ma anche l’esercizio motorio quotidiano rappresentano una risorsa di stabilità e sicurezza ma anche una forma di sovraccarico se le strutture della spalla iniziano a presentare indebolimenti o lesioni e particolarmente dopo affaticamento.

La sindrome da conflitto sottoacromiale è causata dal risalimento della testa omerale contro il tetto osseo dell’acromion-claveare. La riduzione di questo spazio crea usura da conflitto delle strutture capsulari articolari che sono rinforzate dalla cuffia dei muscoli rotatori adibiti al movimento della testa omerale e costituiti da 4 unità muscolotendinee: sovraspinoso, sottospinoso, sottoscapolare e piccolo rotondo. La cuffia tende ad usurarsi ed in particolar modo il tendine del muscolo sovraspinoso associato ad una reazione con ispessimento della borsa di guarnizione ed all’usura del tendine del capo lungo del muscolo bicipite. Oltre al sovraccarico ripetuto anche episodi acuti traumatici dovuti a caduta con braccio allargato a protezione del corpo od a braccio esteso possono lesionare la cuffia dei rotatori ed i legamenti che proteggono la stabilità della spalla.
Il movimento della spalla si riduce sia direttamente per la lesione della cuffia che per il dolore causato dalla borsite. Il dolore può presentarsi acutamente, talora durante la notte nella regione anteriore o laterale della testa dell’omero e talora associato ad aumento della temperatura locale. Il movimento di alzare il braccio e ruotare la spalla si riduce notevolmente fino anche a bloccarsi.
Un accurato esame clinico associato ad esami strumentali (Rx, ecografia, risonanza magnetica) permettono di chiarire il tipo ed il grado di lesione e valutare il trattamento che in reazione alla gravità sarà di tipo riabilitativo o chirurgico artroscopico.
La tecnica artroscopica, cioè con l’ausilio di fibre ottiche mediante piccoli accessi chirurgici, ha il vantaggio, rispetto alla chirurgia aperta convenzionale, di offrire una visione più ampia e dinamica e di essere meno invasiva senza danneggiare strutture muscolari e capsulari importanti.
La rieducazione e la terapia fisica locale sono fondamentali per il recupero delle lesioni iniziali e meno gravi e richiedono costanza e precisione di esecuzione sotto il controllo e guida del fisioterapista.

L’instabilità e la lussazione di spalla possono essere di tipo traumatico o di tipo idiopatico, cioè senza una causa accidentale importante ma legata alla costituzione eccessivamente elastica del soggetto nelle strutture articolari.
Nel caso delle lussazioni traumatiche è molto importante il trattamento che viene eseguito dopo il primo episodio di lussazione, in quanto un insufficiente inquadramento e cura della lesione può portare al verificarsi di nuovi episodi di sublussazione o lussazione che diventa così abituale con aggravamento della instabilità e dei sintomi dolorosi.
Gli accertamenti con immagini di Risonanza magnetica servono a far diagnosi precisa sulla lesione del cercine glenoideo, dei legamenti e della capsula che insieme stabilizzano la testa dell’omero e così programmare la riparazione in artroscopia con suture e reiserzioni dirette o mediante l’uso piccole viti o ancorette di fissaggio.
Le persone con lassità costituzionale della spalla devono, in caso di traumi o comparsa di disturbi dolorosi da sovraccarico, dedicarsi soprattutto alla fisioterapia e rieducazione della articolazione senza alterare chirurgicamente la struttura particolarmente elastica della propria spalla.

La capsulite adesiva o spalla congelata determina la perdita della mobilità attiva e passiva della spalla associata al progressivo aumento del dolore nel tentativo di movimento e poi anche a riposo. E’ dovuto al progressivo crearsi, su base infiammatoria, di aderenze nella capsula articolare con la testa omerale riducendone lo spazio di scorrimento soprattutto nel recesso posteroinferiore.
Molto spesso non vengono riferiti traumi precedenti all’insorgenza dei sintomi di dolore e rigidità. Talvolta sono predisposti coloro che sono in trattamento per malattie endocrine o dismetaboliche. Anche traumi modesti associati ad un quadro di osteoporosi possono creare una marcata reazione edematosa della testa omerale e reattiva della capsula e della sinovia della articolazione.
La valutazione clinica è naturalmente molto importante per fare precocemente diagnosi e indirizzare al trattamento medico del dolore localizzato con infiltrazioni ecoguidate e farmaci per via generale ed alla tempistica della riabilitazione che non va mai eseguita in fase acuta. In questi casi non è indicato il trattamento chirurgico artroscopico se non per il trattamento degli esiti della malattia e della rigidità.

L’artrosi della spalla si presenta con una progressiva perdita della mobilità articolare associata ad episodi dolorosi. In genere fa seguito ad episodi traumatici importanti di frattura e di lussazione articolare che alterano il profilo della testa dell’omero e ne determinano la sua risalita contro il tetto osseo acromion-claveare. In tal caso è importante valutare la eventuale lesione associata della cuffia dei rotatori e la buona funzione dei tessuti muscolari residui, mediante la Risonanza magnetica, dopo aver eseguito le tradizionali radiografie.
Molta attenzione deve essere dedicata alla rieducazione sopratutto nelle persone più attive per verificare il grado massimo di risultato ottenibile. Va associata a terapia medica generale per la cura di una concomitante osteopenia od osteoporosi e di flogosi adesive.
In casi selezionati può essere indicata la terapia locale infiltrativa intrarticolare con acido ialuronico ed in casi particolari con il concentrato piastrinico (PRP) .
Nei casi di rigidità dolorosa più marcati si deve valutare la necessità del trattamento chirurgico che consiste nella sostituzione protesica della articolazione della testa omerale e della glena scapolare con protesi diretta od inversa .

L’acido ialuronico è il principale costituente della cartilagine e del liquido sinoviale che la nutre e la lubrifica. Se somministrato per infiltrazione articolare migliora lo scorrimento articolare e la protezione del tessuto cartilagineo.
I prodotti con peso molecolare medio-alto sono quelli che sembrano dare migliori risultati, reintegrando la riduzione di formazione naturale di glicosaminoglicano, come avviene in caso di artrosi.
Il concentrato piastrinico PRP (Platelet Rich Plasma) viene prodotto dal sangue e contiene le proteine dei fattori di crescita di vari tessuti fra cui il tendine, il muscolo e la cartilagine ed anche le citochine che attivano i processi riparativi.
Dal prelievo di circa 40 cc di sangue venoso si ottiene, con sola centrifugazione e concentrazione e nessuna manipolazione del sangue, un concentrato da cui si può isolare la parte dedicata alla crescita del tessuto cartilagineo, che può essere immediatamente infiltrato nelle zone di cartilagine danneggiata, o conservarlo in provetta a -30°.
La zona di lesione tendinea o muscolare o cartilaginea deve essere circoscritta e non su due versanti articolari contemporaneamente per poter offrire le maggiori possibilità di riparazione del tessuto articolare o periarticolare della spalla.

In conclusione, le varie patologie della spalla sono tutte legate dai sintomi del dolore e della limitazione del movimento. Risulta sempre più importante il concetto di sovraccarico articolare: stabilire il limite tra carico di attività e di allenamento e sollecitazione dannosa non è facile finchè non compaiono il dolore e la ridotta mobilità.
Dall’analisi accurata di questi sintomi e nel rispetto della biomeccanica articolare e dei meccanismi biologici di riparazione dei tessuti si deve creare una sinergia tra paziente, medico e fisioterapista per arrivare prima di tutto alla diagnosi precoce e quindi al migliore e piu efficace trattamento possibile.

Prurito senile

Il prurito è definibile come una fastidiosissima sensazione soggettiva che induce al trattamento o alla confricazione. In quanto sensazione soggettiva, non vi è apparecchiatura biomedicale in grado di valutarne intensità, durata, tipo, in maniera oggettiva. Vissuto secondo la sensibilità individuale, può alterare in maniera anche drammatica la qualità della vita del soggetto colpito (ma, di riflesso, anche quella di tutto l’ambito familiare).
L’insorgenza del prurito è un evento molto frequente in entrambi i sessi ed in ogni fase della vita, dall’epoca neonatale all’età più avanzata (prurito senile), ma la sua frequenza e distribuzione per fasce di sesso e/o età non è statisticamente valutabile poiché troppo spesso sottovalutato dal paziente e quindi trascurato, automedicato, trattato dal farmacista, dal medico di base, da qualsiasi altro specialista, sfuggendo così all’osservazione dermatologica e ad ogni tipo di indagine statistica.
Diverse sono le varietà cliniche del prurito: prurito sine materia, prurito senile, prurito acquagenico, prurito psicogeno, prurito patofobico, prurito venereofobico, malattia di Ekbom. In tutti questi casi la sensazione soggettiva può essere di tipo puntorio o urente; l’andamento può essere acuto, accessionale, continuo, cronico, cronico ricorrente; la localizzazione può aversi su tutta la superficie corporea o limitarsi ad un singolo distretto cutaneo (volto, capillizio, genitali, ecc.); le fasi di acuzie o di riacutizzazione possono essere indotte da assunzione di cibi o bevande calde e/o piccanti, alte temperature, stress emozionali, assunzione di farmaci (eritromicina, aspirina, fenotiazine, steroidi anabolizzanti, ecc.), alimenti quali cioccolata, pere, mele, albume d’uovo, latte, ecc. (per reazione allergica o pseudoallergica), abbigliamento incongruo (lana, fibre sintetiche, ecc.).
In tutte le sue varianti cliniche, e quindi anche nella forma senile, il prurito può essere il primo sintomo di patologie cutanee e/o sistemiche (alcune delle quali particolarmente frequenti in età senile) non ancora manifestatesi in maniera eclatante quali: diabete mellito, amiloidosi, anemia sideropenica, dermatite atopica, scabbia, pediculosi, linfoma di Hodgkin, ipo o ipertiroidismo, policitemia vera, sensibilizzazioni allergiche, neoplasie di vario tipo, parassitosi intestinale, ecc., o anche patologie di tipo psicologico o psichiatrico o, molto più semplicemente, dovuto al tipo di cute (cute seborroica, ad esempio) o allo stato di gravidanza. Il riconoscimento di queste situazioni è determinante nella scelta della strategia terapeutica.
Da quanto detto appare quindi del tutto ingiustificato, in particolare nel soggetto anziano, l’approccio terapeutico spesso effettuato in maniera semplicistica prescrivendo antistaminici e/o cortisonici per via generale e/o locale tout court, in assenza di una accurata indagine anamnestica e di indagini bioumorali e strumentali atte ad individuare l’eventuale patologia sottostante.
Per quanto riguarda il “Prurito Senile” va chiarito che tale diagnosi può essere applicata solo al soggetto in età avanzata che si gratti in assenza di patologie cutanee e/o sistemiche (un soggetto anziano diabetico non ha dunque un prurito senile ma un prurito diabetico, se soffre di carcinoma gastrico avrà un prurito paraneoplastico non un prurito senile!) e non presenti squilibri elettrolitici, carenze nutrizionali, anoressia senile. Quest’ultima troppo spesso misdiagnosticata e/o sottovalutata.
Il vero “ prurito senile” è provocato dallo stato della cute che in questa epoca della vita si presenta grinzosa, diselastica, ruvida, finemente desquamante, secca, sottile, pallida, disidratata (povera d’acqua) e alipica (povera di sebo per riduzione quali-quantitativa dell’attività delle ghiandole sebacee; negli uomini ciò avviene in maniera graduale dopo i 70 anni, nelle donne in maniera brusca dopo i 50). A volte, per controllare il prurito senile anche feroce, basta la semplice applicazione di un olio (olio di vaselina, olio di mandorle dolci o anche quello da cucina), fornendo quindi alla cute un po’ di quei lipidi che fisiologicamente le mancano. Ma per migliorare (e nei limiti del possibile ripristinare) lo stato di eutrofismo cutaneo, e quindi controllare il prurito, è necessario procedere in maniera più razionale e meno estemporanea. La prima tappa, e spesso l’unica e fondamentale, per ottenere il risultato voluto è intervenire sulle modalità di detersione cutanea, a cui fare seguire l’applicazione di prodotti reidratanti, nutrienti, elasticizzanti e l’assunzione di integratori alimentari che mantengano ed amplifichino i risultati ottenuti già con la semplice detersione.
La detersione, in particolare nel soggetto anziano, non deve essere intesa come semplice e banale rimozione dello sporco dalla superficie corporea, ma come vero e proprio intervento terapeutico. Nell’affrontare il problema della detersione cutanea bisogna partire dalla considerazione che già l’acqua di per sé, e quella calda in particolare, asporta in circa l’80% dei lipidi di superficie della cute mentre i detergenti asportano soprattutto i lipidi intercorneocitari con danneggiamento delle membrane cellulari ed aumento della perspiratio insensibilis (l’evaporazione acquea transcutanea). Il risultato di una detersione mal fatta, soprattutto nel soggetto anziano, non può dunque essere altro che l’accentuazione della secchezza cutanea e, conseguentemente, l’aumento del prurito. Da quanto detto si evince che sarà preferibile praticare una rapida doccia con acqua non troppo calda piuttosto che un prolungato bagno in vasca, utilizzando per la detersione prodotti non troppo aggressivi e preferendo le forme liquide (personalmente le preferisco alle forme in saponetta), gli olii o le creme detergenti, poiché meno irritanti. In esse, inoltre, è più facile incorporare idratanti, umettanti, ecc. per limitare la secchezza ed il senso di stiramento della cute, conseguente alla detersione. Tutto ciò è più facile da ottenersi con i syndet (essenzialmente miscela bilanciata di tensioattivi e additivi; in acqua mantengono il pH iniziale) rispetto al sapone naturale (sale sodico o potassico di acidi grassi insaturi; una volta disciolti in acqua si osserva il viraggio del pH verso l’alcalinità, e ciò anche nel caso del così detto sapone neutro). Il problema del mantenimento pH su valori moderatamente acidi è importante giacché l’alcalinizzazione provocata dai normali saponi può indurre nuovi danni alla cute, tra cui favorire l’attecchimento di flora microbica patogena. Per inciso, vale qui ricordare che nei moderni prodotti per l’igiene potere detergente e potere schiumogeno non sono strettamente correlati, dipendendo la schiumosità dal tipo di tensioattivi utilizzati: il prodotto che produce più schiuma non è detto che abbia maggiore potere detergente.
Dopo la detersione, e nei giorni eventualmente intervallari tra una doccia/bagno e l’altro, bisogna ridare alla cute i lipidi persi con essa e che, soprattutto la cute senile, non ha già di per sé, applicando creme/latti/mousse idratanti contenenti prodotti quali collagene, acido ialuronico, urea, glutammato di sodio, ecc. o cold cream, olii, mentolo, ecc., stando però attenti a non provocare allergie da contatto. Da notare che il mentolo, che notoriamente provoca una sensazione di freschezza sulla pelle, può provocare crisi anche violente di orticaria nei soggetti che soffrano di orticaria a frigore (orticaria da freddo). Buona norma è evitare i prodotti alcoolici quali profumi o dopobarba, che accentuano la disidratazione cutanea, e l’applicazione locale di prodotti contenenti antistaminici o anestetici per il rischio di allergie o, in estate, di fotoallergie. Trattamenti alternativi possono essere rappresentati da prodotti a base di capsaicina, antagonisti degli oppioidi, alfaidrossiacidi.
Un qualche ausilio allo stato nutrizionale della cute dell’anziano, e quindi al controllo del prurito, può derivare dall’assunzione di integratori alimentari ricchi di vitamine ed anti radicali liberi (ma senza eccedere e consigliandosi con il proprio dermatologo).
Circa i cortisonici per applicazione locale va detto che, pur essendo possibile un loro prudente utilizzo, essi sono molto spesso inutili giacché i trattamenti già citati possono ottenere i risultati desiderati senza il rischio di effetti collaterali da steroidi quali assottigliamento della cute, smagliature cutanee, ecc.
La somministrazione di antistaminici, cortisonici, ecc. e/o la terapia locale potranno solo cooperare a tenere sotto controllo il sintomo prurito ma non risolvere alla base il problema.
Un aspetto, in fine, da non ignorare o sottovalutare nell’affrontare il problema del prurito senile è la sua possibile origine psicosomatica, spia cioè di un malessere interiore dell’anziano che deve essere adeguatamente affrontato nelle sedi opportune e dal personale competente. Infatti, la perdita del ruolo sociale (in particolare dopo il pensionamento o la perdita del posto di lavoro), l’isolamento sociale la solitudine per la perdita del coniuge e/o la lontananza e l’abbandono (reale o presunto che sia) da parte dei figli troppo assorbiti dalla propria quotidianità (sindrome del nido vuoto), la riduzione sino alla perdita della propria autonomia fisica, l’ossessiva ripetizione dai e sui mass media “… i giovano devono lavorare per pagare la pensione ai vecchi…” (ma loro la pensione se la sono pagata con anni e anni di contributi !), portano l’anziano a sentirsi un essere inutile, un peso per la società, un reietto. Di qui la facile insorgenza di uno stato depressivo che può sfociare, associato ai citati cambiamenti della cute senile, all’acuirsi della sensazione pruriginosa ed al grattamento anche feroce: autococcolamento, autopunizione della propria inutilità o di pregressi “scheletri nell’armadio”, o anche una ricerca spasmodica di attenzione, di ritorno al centro della scena. In tal caso solo l’intervento della famiglia e/o dello psicologo potrà portare a soluzione; la terapia somministrata (qualunque essa sia) potrà almeno lenire il senso di isolamento e di abbandono, in quanto espressione, comunque, di attenzione prestata alla sua persona.
In alcuni casi, in fine, il grattamento può assumere il ruolo di masturbazione vicaria (il vecchio che si masturba o cerca appagamento sessuale è solo un vecchio sporcaccione, secondo una vecchia e stantia accezione comune che fortunatamente inizia ad essere superata), ricordando che la cute è una zona erogena per eccellenza. L’appagamento di tali pulsioni, naturali e del tutto fisiologiche, è l’unica terapia possibile in tali casi.

Anche gli anziani fanno sport

 

A partire tra la quarta e la quinta decade di vita si registra una sensibile flessione delle capacità di forza e resistenza; le cause sono da ricercare nella perdita fisiologica della massa muscolare, nella perdita di unità motorie di tipo veloce FT (fast twitch fibres) unitamente ad un rallentamento della capacità del SNC di condurre stimoli nervosi e conseguentemente di produrre risposte motorie atte al mantenimento della forza. A tutto ciò bisogna aggiungere un aumento del grasso sottocutaneo una diminuzione nella sintesi delle proteine e abitudini di vita sedentaria. L’allenamento non può fermare questi processi fisiologici, ma può indurre modificazioni che riescono a rallentare l’impatto che l’età ha sulle performance e sulla qualità di vita del soggetto. L’ipotesi che l’adattamento muscolare al lavoro sia ancora possibile e significativo non può nascondere il fatto che avvenga con maggiore lentezza, per cui prima di iniziare un programma di esercizi alla forza nell’anziano è importante una sua graduale introduzione che lo porti molto prudentemente alle forme di allenamento tradizionali. Tale periodo può includere nelle fasi iniziali carichi bassissimi o a corpo libero progressivamente crescenti.


Macchine isotoniche

È importante avere una progressione molto graduale degli esercizi fra quelli che attivano le masse muscolari principali e che abbiano un’escursione regolare, prevedibile, lineare come è possibile con le macchine isotoniche. L’ordine degli esercizi non differisce dalle indicazioni generali per gli adulti dando priorità agli esercizi che impegnano le masse muscolari più grandi, perciò inizieremo con esercizi agli arti inferiori per continuare con i muscoli del tronco e finire con le braccia. Il numero delle ripetizioni è tendenzialmente simile a quello classico,8-16, ma bisogna evitare uno sforzo molto elevato I recuperi fra le serie devono consentire di svolgere, senza alcuno stress, il lavoro proposto. Il carico di lavoro corretto viene calcolato facendo riferimento al peso che è possibile sollevare soltanto una volta con il movimento-esercizio che abbiamo deciso di far effettuare (1 RM). Il protocollo di lavoro viene impostato intorno al 30% del massimale (1 RM) per le esercitazioni iniziali, fissando un numero di ripetizioni che non portino all’esaurimento muscolare. Dopo circa due-tre settimane il carico può essere incrementato sino ad un massimo del 70% di 1 RM.

Allenamento alla resistenza

 Per allenare la resistenza dovremo far lavorare gli anziani ad una frequenza cardiaca variabile dal 65 al 80% di Fcmax. Si consideri che, per anziani nella terza fase della riabilitazione della cardiopatia ischemica dopo infarto del miocardio, vengono consigliate attività con valori tra il 65 e 70% della Fcmax da realizzare autonomamente al proprio domicilio. La durata dell’allenamento deve variare tra i 20-60 minuti, alcune ricerche hanno evidenziato l’efficacia anche di periodi più brevi, ripetuti più volte nel corso della giornata, in particolare per soggetti poco allenati.

Le attività consigliate sono:

Attività all’aperto 

▪ cammino

▪ corsa

▪ bicicletta

▪ sci di fondo

▪ ballo

Attività in palestra

▪ circuiti e percorsi con esercizi diversificati a bassa intensità

▪ esercizi coordinativi

▪ aerobica a basso impatto

▪ tapis roulant, cyclette
Attività in piscina

▪ nuoto

▪ aquagym

▪ ginnastica in acqua sia alta che bassa

In Acqua

Le attività in acqua rispondono al meglio alle esigenze motorie dell’anziano che può eseguire esercitazioni graduate secondo le sue necessità e senza stress fisici, sfruttando le componenti fisiche proprie dell’elemento acquatico: la spinta idrostatica, il galleggiamento indotto e la pressione.

La resistenza idrostatica può dar luogo a contrazioni muscolari prodotte in modo quasi del tutto isocinetico, quindi sforzi muscolari graduali e costanti per quasi tutta la lunghezza del movimento effettuato, a garanzia di un più completo rafforzamento dell’apparato muscolare. Le attività natatorie rientrano quindi in un contesto salutista utile sia al benessere psicofisico sia all’aggregazione sociale. Il gruppo costituito in questo ambito, trova obiettivi comuni fortemente motivanti, come la socializzazione, il rafforzamento della propria identità, e spesso determina un’aumentata attenzione verso problemi quali l’alimentazione, il fumo e l’alcool, migliorando sensibilmente lo stile di vita.

La ginnastica in acqua può migliorare:

• le capacità motorie

• le capacità sensoriali

• la coordinazione dinamico-generale

• l’efficienza muscolare e articolare

• le capacità respiratorie e cardiocircolatorie

• la socializzazione

• l’autostima

BALLO

Attività ideale a tutte le età che aiuta a coordinare l’azione fra mente e corpo e combatte l’invecchiamento precoce. La pratica del ballo, sia a livello sportivo-ricreativo, che a livello competitivo-amatoriale richiede l’osservanza di regole di igiene comportamentale alla salvaguardia della salute che, nel caso degli anziani, sono di fondamentale importanza per evitare lesioni sia alla struttura scheletrica che al sistema cardiocircolatorio. La danza-movimento-terapia non è soltanto una modalità specifica di trattamento di una pluralità di manifestazioni della patologia psichica, somatica e relazionale ma si occupa inoltre di favorire una positiva ricerca del benessere e di un’evoluzione personale. Il messaggio è dunque favorire lo sviluppo delle risorse umane verso la prevenzione del disagio psicosociale promuovendo il benessere dell’individuo attraverso la ricerca di un’unità psicofisica e spirituale.

TAI CHI CHUAN

Inserito in varie nazioni nei protocolli terapeutici e nei programmi di prevenzione sanitaria. La pratica del tai-chi non solo prevede il lento movimento di tutti i muscoli e di tutte le articolazioni, ma richiede anche una respirazione e un movimento del diaframma conformi al ritmo dell’esercizio, mantenendo rilassato il corpo e restando contemporaneamente vigili con la mente. Questi accorgimenti permettono che si produca un effetto riequilibrante sul sistema nervoso centrale, il quale a sua volta è stimolato ad attivare o a migliorare le funzioni di altri sistemi. Nell’esecuzione del tai-chi si richiede che il praticante sia rilassato, pienamente concentrato e capace di dirigere la sua completa attenzione su qualsiasi parte del proprio corpo, laqualcosa è già di per sé un’ottima disciplina per la mente.

È necessario possedere un appropriato controllo del corpo e un adeguato senso dell’equilibrio, requisiti che si possono ottenere attraverso un’intensa attività cerebrale; ciò attiva di conseguenza, in misura elevata, i meccanismi e i processi fisiologici del sistema nervoso centrale e di tutti gli altri sistemi e apparati dell’organismo. Infine, per l’aspetto più importante nella terza età, vale a dire la prevenzione delle cadute, questa disciplina sembra effettivamente contribuire a una diminuzione del rischio.

 

ANEURISMI ARTERIOSI

Sopratutto non è così immediato percepire la gravità di una malattia le cui complicanze possono essere disastrose.
Definizione
L’aneurisma e’ una dilatazione localizzata, abnorme e permanente di un’arteria, dove le pareti del vaso abbiano perso il loro naturale parallelismo. In particolare si può parlare di aneurisma nel caso di un’ arteria che presenti una dilatazione localizzata il cui diametro superi almeno della metà il valore del diametro di settori normali. Se l’aorta addominale di un soggetto presenta un diametro di 2 cm. un settore dilatato si dice aneurismatico se il rispettivo diametro supera i 3 cm. Dilatazioni di calibro minore sono dette “ectasie”

ANATOMIA & FISIOLOGIA
Le arterie sono condotti dotati normalmente di pareti robuste in grado di resistere alle pressioni generate dalla pompa cardiaca. Sono costituite da tre strati (”tonache”) sovrapposte.
La più interna si chiama “intima” ed e’ a diretto contatto con il sangue , la più esterna si chiama “avventizia” ed aderisce ai tessuti e agli organi vicini alle arterie. Lo strato principale delle arterie di grosso e medio calibro e’ la tonaca ”media” che è formata da fibre elastiche e cellule muscolari lisce.
Grazie alle proprietà elastiche di questo strato l’arteria si distende sotto l’impulso di ogni battito cardiaco, e riprende poi il suo calibro iniziale contribuendo così alla progressione e alla velocità del sangue ricco in ossigeno che scorre verso le cellule di tutti gli organi.
Se nella parete arteriosa si verifica un mancamento, un cedimento delle caratteristiche elastiche, la pressione vigente all’interno del condotto tenderà ad aumentarne il diametro.
E’ la stessa cosa che si verifica nelle camera d’aria dei pneumatici difettosi o troppo compressi. Un settore del condotto tende a rigonfiarsi in modo più vistoso (adesso abbiamo imparato che si potrebbe dire “aneurismatico”). Quando questo fenomeno si verifica basta un piccolo aumento di pressione per aumentare sempre più il diametro del settore bozzoluto, dove la parete si assottiglia vieppiù, fino all’inevitabile scoppio.
Esistono leggi fisiche che stanno alla base di questi eventi, come ad esempio la legge di Laplace o il teorema di BemouIli che fanno comprendere come l’equilibrio tra pressione, diametro dell’arteria e tensione sviluppata dalle caratteristiche elastiche della parete possa modificarsi per il variare anche di uno solo di questi parametri. Questo spiega come un aneurisma tenda inesorabilmente a crescere di diametro progressivamente nel tempo, come la sua parete tenda a resistere sempre meno a pressioni interne, assottigliandosi sino alla inevitabile rottura.

CLASSIFICAZIONI
La classificazione di una malattia consente di interpretarla con maggiore precisione, analizzarne le cause e le localizzazioni. Nel caso della malattia aneurismatica delle arterie e’ adottato questo schema:
CLASSIFICAZIONE ANEURISMI ARTERIOSI

 

Degenerazione
Aneurismi arteriosclerotici
Necrosi cistica della tonaca media
Fibrodisplastici
In corso di gravidanza

Infiammazione
Micotici
Batterici

Da cause meccaniche
traumatici
post stenotici
anastomotici

Congeniti
Sindrome di Marfan
Ehlers – Danlos

 

 

Forma
Sacculare
Fusifome

 

 

Localizzazione
Centrale (aorta)
Periferica
Renale
Splacnica
Cerebrale

 

 

Struttura
Veri aneurismi
Falsi Aneurismi

 

La maggioranza degli aneurismi ha cause degenerative, imputabili alla malattia arterioscIerotica. Per quanto riguarda l’aorta il 95 % dei casi di aneurisma è riconducibile a questa malattia
E’ dimostrata in questi casi una predisposizione ereditaria, con una maggiore probabilità di sviluppare la malattia tra consanguinei, fratelli e sorelle.
A determinare la comparsa dell’aneurisma concorrerebbero fattori biomeccanici (progressivo deterioramento con debolezza della parete arteriosa) e fattori congeniti geneticamente determinati come è il caso di particolari enzimi attivi contro il collagene e l’ elastina.
I pazienti colpiti presentano nella loro maggioranza un’ età superiore ai 60 – 65 anni, rappresentano il 2 -10% della popolazione di quell’età e sono prevalentemente maschi.
Gli aneurismi degenerativi non arterosclerotici sono molto rari.
Quelli legati alla gravidanza riconoscerebbero come causa l’aumento nel sangue di un enzima elastolitico, la relaxina, che potrebbe determinare maggiore cedevolezza di alcune arterie viscerali ed in special modo dell’arteria splenica.
Gli aneurismi infiammatori possono essere di natura sifilitica per distruzione delle tonache dell’aorta da parte del Treponema Pallidum. Sono forme attualmente molto rare.
Nei pazienti immunodepressi o portatori di endocardite batterica si possono avere emboli settici (materiale con colonie di batteri che viene trasportato dal flusso del sangue) e infiammazione della parete arteriosa (“arterite”) con distruzione parziale della media e relativo sfiancamento della stessa.
Anche cause traumatiche possono danneggiare le arterie e portare a queste manifestazioni. Tipico è il caso di gravi traumi che coinvolgono il torace e l’aorta, determinando la comparsa di aneurismi anche a distanza di tempo.
Gli aneurismi congeniti dipendono da una debolezza della parete arteriosa presente sino dalla nascita per anomalie importanti e molto rare del tessuto connettivale.
Per quanto riguarda la forma l’aneurisma può manifestarsi come una “sacca” per cedimento di una limitata porzione di arteria. Si presenta come una bozza talvolta sferiforme con un limitato colletto di comunicazione con l’arteria più sana. Oppure la degenerazione si estende longitudinalmente per estesi tratti e quindi l’aneurisma si presenta come un fuso aumentando progressivamente di diametro dai settori meno ammalati via verso i settori più alterati che presentano diametro maggiore per maggiore debolezza.
Nella maggioranza dei casi l’aneurisma colpisce l’aorta sia nella sua porzione toracica che in quella addominale. Quest’ultima localizzazione è la sede dell’80% di tutti i casi di aneurisma, con interessamento di una o di entrambe le arterie iliache.
Meno frequentemente si verificano aneurismi nelle arterie periferiche degli arti e in questi casi le sedi più tipiche sono le arterie poplitee e le arterie femorali comuni e superficiali.
Molto rare sono le localizzazioni delle arterie viscerali (arteria epatica, renale, splenica) o alle arterie a destino cerebrale (carotide comune, interna ed esterna e vertebrale)
Gli aneurismi delle arterie dell’arto superiore (arteria ascellare e succlavia) sono anch’essi rari e spesso secondari a compressioni od esiti traumatici.
La distinzione tra Vero e Falso Aneurisma distingue tra la dilatazione di un tratto di arteria ove sono presenti tutte e tre le tonache del vaso (aneurisma vero) e aspetti dilatativi in esiti di puntura o trauma dove la tumefazione non e’ altro che la reazione infiammatoria o cicatriziale senza che i costituenti della parete siano chiaramente riconoscibili (falso aneurisma o ematoma pulsante).

SINTOMI E COMPLICANZE
Tratteremo inizialmente l’aneurisma aorto-iliaco, il più frequente nella popolazione E’ abbastanza frequente il riscontro di questa malattia in soggetti assolutamente privi di ogni sintomo.
Solo una piccola parte degli aneurismi viene riconosciuta durante una visita medica. Infatti la palpazione dell’addome permette al medico attento di riconoscere aneurismi di dimensioni già cospicue ,almeno 4-5 centimetri di diametro.
In soggetti poco collaboranti oppure obesi la palpazione non e’ significativa.
Talvolta è il paziente stesso che avverte una abnorme pulsazione addominale all’inguine oppure al cavo popliteo e si presenta per questo al Chirurgo.
E’ molto frequente che l’ aneurisma venga incontrato occasionalmente durante l’ esecuzione di un esame ECOGRAFICO o di una TAC dell’addome eseguiti per valutazione di sintomi non correlati o per il controllo di malattie concomitanti (problemi urologici o calcolosi biliare ad esempio ). Talvolta la radiografia della colonna lombosacrale o dell’addome mette in evidenza calcificazioni aortiche che fanno sospettare la presenza dell ‘aneurisma.
Purtroppo molto spesso il riconoscimento dell’aneurisma coincide spesso con l’accadere della sua più temibile complicanza: la rottura.
La quota di aneurismi che si presentano con la rottura varia dal 10 al 30%. La rottura dell’aneurisma causa emorragia più frequentemente verso lo spazio retroperitoneale (posteriormente ai visceri addominali) o nel cavo peritoneale. In questo caso la perdita di sangue è massima, ed il paziente può giungere a morte in pochi minuti.
Se la rottura è limitata e l’emorragia tende a Iimitarsi il paziente può sopravvivere, lamentando tuttavia dolore violento alla regione dorso lombare o al fianco. Si verifica ipotensione, pallore, anemia, tachicardia e spesso sudorazione profusa. Il malato si presente intensamente sofferente ed angosciato.

Un altro sintomo legato alle complicanze dell’aneurisma è la comparsa di ischemia(“mancanza di sangue”) alla periferia.
All’interno della sacca aneurismatica tende ad accumularsi sangue trombizzato che si deposita progressivamente. Frammenti di trombo parietale possono staccarsi ed essere trasportati dal flusso ematico sino in periferia.
Si verificano cioè embolie.
Accade anche che aneurismi in arterie di calibro più piccolo (arterie femorali o poplitee) si occludano per trombosi. In entrambi i casi il paziente accusa dolore alle estremità. Il piede o un dito di questo si presentano pallidi e freddi, qualche volta si apprezza anche un colore bluastro (cianosi).
Come in tutti i casi in cui l’apporto di sangue non e’ sufficiente può verificarsi la necrosi dei tessuti con gangrena.

DIAGNOSI
Di fronte ad un sospetto di aneurisma con i seguenti esami strumentali si ottiene una diagnosi di certezza e la definizione delle caratteristiche della malattia.
ECOGRAFIA
E’ l’esame strumentale forse meglio conosciuto e diffuso in molti campi della Medicina. Gli uItrasuoni possono penetrare nei tessuti ed essere riflessi dalle strutture del corpo. Opportune sonde ed apparecchi permettono cioè di “guardare ” all’interno del corpo umano. Il Medico si addestra a riconoscere i vari organi e a capirne la consistenza, i limiti e le forme osservando le immagini ottenute su un monitor.
Non e’ necessaria alcuna manovra cruenta ed è un esame ripetibile senza disagio e con bassi costi. La tipica immagine ottenuta in caso di aneurisma è una dilatazione dell’ arteria che presenta pareti più o meno ispessite. E’ bene individuabile la presenza di trombi. Ovviamente possono essere effettuate misurazioni dei diametri massimi.
Con gli apparecchi dotati di analisi Doppler con codici di colore (ECO COLOR DOPPLER) si possono visualizzare i flussi di sangue all’interno delle vene e delle arterie e quindi sono possibili migliori definizioni delle trombosi e dei rapporti con le arterie e le vene che sono vicine aIl’aneurisma. L’esame Ecografico può essere effettuato in pochi minuti, direttamente sul lettino del Pronto Soccorso anche in pazienti con condizioni critiche e permette di diagnosticare la rottura dell’aneurisma e la presenza di emorragia interna.
Si tratta della metodica più affidabile che viene utilizzata sia in esami di screening della popolazione sia come monitoraggio nel tempo di piccoli aneurismi o di ectasie.

TOMODENSITOMETRIA
E’ un esame più complesso e costoso. Permette di definire con esattezza i rapporti dell’aneurisma con le strutture e gli organi vicini.
Ottiene precise misurazioni dell’aneurisma e della trombosi endoluminale .
E’ una tecnica insostituibile nello studio dell’aorta toracica dove gli ecografi non possono ottenere immagini di qualità per tutta la sua estensione.

RISONANZA MAGNETICA
E’ un esame che permette di visualizzare con precisione le strutture interne del corpo solo sfruttando ed amplificando i campi magnetici dei tessuti. Non sono normalmente necessari mezzi di contrasto. E’ un esame molto costoso, riservato a casi dubbi e complessi.

ANGIOGRAFIA
E’ un esame “invasivo” che prevede la puntura di una vena del braccio o di una arteria (normalmente l’arteria femorale all’inguine) e l’introduzione di un liquido radio-opaco (mezzo di contrasto) all’interno delle arterie da esaminare.
Vengono così a definirsi i contorni del lume delle arterie e la geometria del loro decorso.
Si evidenziano le occlusioni, le trombosi endoluminali e i settori di arteria non colpiti dalla malattia.
Le pareti non sono visualizzate, sono intuite .E’ come se si vedesse il liquido contenuto in una bottiglia senza vedere il contenitore. E’ un esame che viene riservato ai pazienti candidati all’intervento chirurgico. Nel caso di aneurismi toracici o addominali permette di identificare le arteria renali ed evidenziarne il loro coinvolgimento nel processo patologico o di lesioni stenosanti associate.

TERAPIA
La sola terapia possibile il caso di rottura dell’aneurisma è l’intervento chirurgico urgente, effettuato in Centri qualificati da equipes esperte. Secondo alcuni studi almenoiIl 50 % dei pazienti colpiti non giunge vivo in ospedale. La mortalità dei pazienti che arrivano vivi ma in condizioni critiche e che sono operati è del 50-70%. Il decorso post operatorio dei sopravvissuti è gravato da molte complicanze essenzialmente legate alla ipoperfusone di importanti organi determinatasi prima e durante l’intervento. Possono comparire ad esempio infarto miocardico e cerebrale, insufficienza renale, ischemia intestinale ed insuffilcienza respiratoria.
La rottura dell’ aneurisma dell’aorta addominale rappresenta l’1,2% delle cause di morte degli uomini che hanno superato i 65 anni. Negli Stati Uniti è la causa di morte al tredicesimo posto e dovrebbe essere la causa di almeno un terzo delle morti improvvise dell’uomo.
Come sappiamo ogni aneurisma è destinato a crescere di diametro sino alla rottura oppure può determinare complicazioni emboliche o ischemiche.
I risultati del trattamento chirurgico degli aneurismi addominali senza rottura sono molto validi con una mortalità inferiore al 5% (nelle casistiche più moderne è del 2-3%). Le complicazioni post operatorie sono infrequenti e normalmente bene controllare nelle sale di terapia intensiva post-chirurgica.
Da quanto detto appare evidente che il comportamento corretto è quello di trattare chirurgicamente tutti gli aneurismi diagnosticati, evitando al paziente il rischio della rottura.
Nella maggioranza dei Centri specializzati si tende a sottoporre ad intervento chirurgico tutti i pazienti che presentino un aneurisma dell’aorta addominale di diametro uguale o superiore a 4 cm. e gli aneurismi più piccoli che presentino ai ripetuti controlli strumentali una crescita superiore al 0,5 cm all’anno (considerata come valore “normale”).
I pazienti che incorrono in queste condizioni presentano un rischio di rottura statisticamente maggiore e quindi non appare logico e prudente procrastinare per essi la corretta terapia
Gli aneurismi, addominali e periferici, che siano divenuti sintomatici per ischemia dovrebbero essere trattati con urgenza, possibilmente dopo valutazione generale del paziente e dopo studio agiografico

TECNICHE CHIRURGICHE
Il segmento di Arteria aneurismatico viene sostituito da un innesto, una protesi in materiale plastico che viene collegata ai settori di arteria sana. Il chirurgo isola l’arteria ammalata per tutta la sua estensione e nel caso dell’aorta addominale deve spostare molti visceri per arrivare alla sua sede.
Prima di sostituire l’arteria viene interrotto il flusso ai due capi con speciali pinze: l’arteria viene quindi sezionata senza importanti emorragie e sostituita da un tubo di calibro e forma adeguata.
Nel caso di rottura già in atto il chirurgo si trova nella necessità di isolare l’aorta in pochissimi minuti, ostacolato da una grande quantità di sangue già presente nell’addome e da una attiva emorragia dal punto di lacerazione del vaso.
Quando finalmente sono posizionate le pinze che interrompono l’emorragla si può procedere alla sostituzione come precedentemente iIIustrato.
Anche nel caso di aneurismi isolati delle arterie femorali o poplitee si procede con identica modalità: isolamento, sezione e sostituzione delle zone aneurismatiche. Quando è’ possibile viene utilizzata la vena safena prelevata dallo stesso individuo.
Recentemente sono state messe a punto protesi miniaturizzate che vengono collocate dall’interno delle arterie senza la necessità di incidere la parete addominale ed eseguire l’intervento chirurgico tradizionale.
Attraverso particolari strumenti è possibile praticare una piccola incisione o una puntura dell’arteria femorale all’inguine e così raggiungere l’interno dell’aneurisma aortico.
Qui viene dispiegata la particolare protesi, senza sostituire l’arteria ammalata, impedendone così la rottura. Sono procedure consigliate per pazienti ad alto rischio operatorio e con aneurismi piuttosto piccoli. Sono in corso di realizzazione protesi di questo tipo sempre più perfezionate ed è lecito attendersi importanti sviluppi di questa modernissima tecnica.

CONCLUSIONI
La malattia aneurismatica delle arterie e’ un evento relativamente frequente dopo il 65 anni, i sintomi sono quasi sempre assenti o molto modesti.
La diagnosi può essere facilmente ottenuta con esami ecografici che rendono possibili anche frequenti controlli periodici di iniziali dilatazioni.
La terapia razionale degli aneurismi è il trattamento chirurgico che in mani esperte e dopo adeguata preparazione del paziente presenta un rischio molto basso, sicuramente inferiore all’elevata probabilità di morte in caso di rottura.

Vittorio Villa -Specialista in Chirurgia Vascolare
pubblicazione 1996

I FIORI DI BACH E L’ETA’ DEL PENSIONAMENTO

E’ mia norma assoluta non generalizzare mai perciò ammetto che ci siano persone liete di smettere di lavorare.
In caso contrario, la fine dell’ attività lavorativa porta lo spettro del tempo futuro che a molti sembra di non saper come riempire e la paura della perdita di un certo riconoscimento sociale. Eppure l’uomo può essere “felice” a qualunque età intendendo per felicità la pace con se stessi, il raggiungimento di un equilibrio psichico, di una serenità mentale.
Nei momenti dei grandi cambiamenti come quello che si vive con il pensionamento, propongo ai miei pazienti il fiore di Bach di nome Walnut. Dà coraggio e determinazione, ci aiuta a essere liberi, svincolati da luoghi comuni.
Non più costretti a “timbrare il cartellino” riempiremo il tempo libero con ciò che ci piace.
Perché non uno sport? Assolutamente non agonistico in quanto non voglio più dimostrare, neppure ai miei coetanei, un’eventuale superiorità. Non amo più la differenza penalizzante tra i più bravi e i meno bravi, tra vinti e vincitori. Lascio tutto questo a chi é ancora e soltanto all’inizio di un cammino spirituale. “lo sono cresciuto, non invecchiato” dice il saggio che é maturato interiormente. Insieme a Walnut prescrivo sovente il farmaco omeopatico adatto a ognuno dei miei pazienti. Da questi ascolterò il racconto del loro passato ma non sempre lo ascolterò tacendo. Considero mio dovere da medico dare un consiglio, dire al paziente della necessità di trovare il senso della vita e la propria identità. Dare senso, dare significato, non separare il corpo dalla psiche.

 

Bach flower remedies
Necessario é quindi ricercare non soltanto quali sono i sintomi fisici ma anche quali i pensieri, le preoccupazioni che hanno provocato tali sintomi.
Ai demotivati prescrivo il fiore di Bach Gentian. Aiuta a ritrovare fiducia, ottimismo, voglia di crescere.
Il personaggio Gentian ha quel tipo di diffidenza che gli impedisce di aprirsi al mondo intero. Si isola per proteggersi da delusioni e ferite. Ogni disagio gli porta sensi di fallimento, di insicurezza, di pessimismo che possono, nei casi più gravi, sfociare in depressione.
Da non sottovalutare, soprattutto per migliorare il tono dell’umore, l’efficacia della “Pet therapy”. La presenza di un animale che ci ama e che ci chiede in cambio così poco, può dare serenità a persone sole o tristi.
Con tutte le risorse che l’uomo, creatura divina, ha in sé, con tutti i mezzi che la terapia medica sa usare, ci si può riaprire alla socialità, agli amici, al sole, all’ossigeno della natura e dell’ anima. Alla vita, in sostanza.

Maria Vittoria BRIZZI TESSITORE
Dott. in Medicina e Chirurgia
Dott. in Lingue e Letterature Straniere
Prof. in Materie Letterarie
Genova
pubblicazione del 2005