LE ALLERGIE PROFESSIONALI

Questo dato è spiegabile con il fatto che apprendisti e neoassunti sono più spesso destinati a mansioni che comportano una maggiore esposizione a detergenti, sostanze chimiche aggressive ed acqua (lavaggio, tintura e pulizie dell’ambiente), rispetto ai professionisti più esperti, impiegati in attività a minor contatto con agenti irritanti ed allergizzanti (taglio e piega). Nei primi anni di lavoro, inoltre, vi è una minor consapevolezza dell’importanza dell’utilizzo costante di misure di protezione individuale come i guanti. 

Nei parrucchieri sono frequenti sia le dermatiti eczematose da contatto irritante (DIC), che le dermatiti allergiche da contatto (DAC) delle mani.
Le prime sono indotte dalle frequen­tissime esposizioni ad acqua, shampoo e balsami. Lo sviluppo di una DIC delle mani è pertanto di solito il risultato di una esposizione cronica e cumulativa a deboli irritanti piuttosto
che ad irritanti forti. II “lavoro bagnato”, quando si protrae per oltre 2 ore, è ritenuto il principale fattore di rischio per DIC. Inoltre, il contatto con i tensioattivi presenti negli shampoo, compromettendo I’organizzazione dei lipidi cutanei, modifica la permeabilità e le capacità di barriera della cute.
Clinicamente la DIC si manifesta con una dermatite caratterizzata da arrosamento, desquamazione e fissurazioni soprattutto nelle aree di flessione delle articolazioni delle mani; con il tempo possono insorgere profondi spacchi ragadiformi tanto dolorosi da compromettere le normali capacità lavorative. La DAC si verifica solo in coloro che si allergizzano a qualche sostanza (allergene). , più comuni allergeni responsabili di DAC nei parrucchieri sono le amine aromatiche presenti nelle tinture permanenti per capelli, come la parafenilendiamina (responsabile del colore nero) e la paratoluendiamina (colorazione più rossastra). II 17-58% dei parrucchieri sottoposti a patch test mostra una reazione positiva alla parafenilendiamina e il 14-25% alia paratoluendiamina. Altri importanti allergeni professionali dei parrucchieri sono l’ammonio persolfato presente in prodotti decoloranti e il gliceril monotioglicolato in prodotti per permanenti. Sono frequenti anche allergie a coloranti azoici (Disperso arancio 3), che possono dare reazioni crociate sia con la parafenilediamina che con la paratoluendiamina.
Clinicamente la DAC si manifesta in modo simile alla DIC e i due quadri, che possono coesistere, sono spesso difficilmente distinguibili. Nelle DAC sono più accentuati gli aspetti infiammatori e nelle forme acute sono talora evidenti piccole vescicole che, rompendosi, comportano fenomeni essudativi. Nelle forme croniche si apprezza cute secca, ispessita e fissurata. Più intensa è di solito la sintomatologia pruriginosa. Gli estetisti sono esposti agli stessi rischi dei parrucchieri essendo a contatto sia con agenti irritanti (lavoro umido, detergenti … ) che con allergeni come oli essenziali, profumi e conservanti dei cosmetici .Una recente fonte di allergia professionale osservata negli estetisti è rappresentata dalla attivà di ricostruzione delle unghie.
Le lavoratrici sono esposte a resine acriliche altamente allergizzanti durante il processo di costruzione dell’unghia. In questo caso sembrano essere agenti responsabili delle allergie soprattutto i monomeri liberati durante il processo di polimerizzazione delle resine (idrossietilmetacrilato, metil metacrilato .. ). La dermatite interessa le falangi distali delle dita per estendersi poi a tutte le dita e al dorso delle mani. Sono possibili anche localizzazioni a distanza (volto, collo) per diffusione aerotrasmessa degli allergeni. Per una diagnosi corretta delle dermatiti delle mani, sia in parrucchieri che in estetisti, è fondamentale l’esecuzione dei test epicutanei a lettura ritardata (patch test) da eseguirsi anche con le specifiche serie professionali di allergeni (Serie Parrucchieri, serie Profumi e serie Cosmetici). Spesso, specie negli estetisti, è utile eseguire i test anche con i prodotti commerciali utilizzati in ambiente lavorativo, testati come tali.
Ovviamente tali test devono essere eseguiti in centri dermatologici specializzati. Una volta che la dermatite da contatto si è instaurata è spesso difficile ottenerne la guarigione se persiste l’esposizione agli irritanti ed agli allergeni, cioè se l’operatore continua la mansione. E pertanto di fondamentale importanza l’attuazione di misure di prevenzione come l’utilizzo di guanti per evitare il contatto con allergeni ed irritanti, “uso di creme emollienti ed idratanti appropriate, ma soprattutto istituire corsi informativi ed educativi sulla pericolosità delle sostanze manipolate. E’ ora dimostrato che i guanti, anche di diversi materiali (latice, vinile, nitrile), se appropriatamente usati, sono una valida barriera verso i principali allergeni di parrucchieri ed estetisti. Bisogna però evitare di ri-indossare o riciclare guanti già usati che, se indossati a rovescio, potrebbero essere contaminati e potrebbero addirittura, data l’occlusione, facilitare la penetrazione di allergeni.

DERMATITE ALLERGICA DA CONTATTO DA COSMETICI
Dr.ssa Rosella Gallo
Sezione di Dermatologia – Di.S.E.M.
I prodotti cosmetici possono causare diversi tipi di reazioni avverse, la cui prevalenza sembrerebbe relativamente bassa se rapportata all’ampio uso di questi prodotti. Si ritiene che il fenomeno sia in realtà sottostimato perchè molte reazioni da irritazione, soprattutto se di lieve entità, non giungono all’attenzione dei dermatologi e non vengono segnalate dai consumatori che risolvono il problema semplicemente sostituendo i prodotti in causa.
Ben diverso è il caso delle ermatiti allergiche da contatto (DAC) che, qualora non vengano riconosciute e correttamente diagnosticate, possono causare notevoli disagi e quadri clinici anche gravi. La prevalenza di DAC da cosmetici nella popolazione generale è bassa (0.4%), ma sale al 10% circa tra i pazienti sottoposti a test epicutanei, i test diagnostici utilizzati dai dermato-allergologi per identificare gli allergeni causa di DAC (1). Tali test, detti anche “patch test”, consistono nella applicazione sulla cute del dorso di speciali cerotti contenenti una serie dei più comuni allergeni da contatto integrati eventualmente da allergeni supplementari sospettati in base all’anamnesi. I cerotti vengono rimossi dopo 48 ore con un secondo controllo dopo 72 ore per verificare se uno o più allergeni hanno dato reazione positiva. Molti ingredienti dei cosmetici, in particolare fragranze e conservanti, sono potenziali allergeni da contatto e la serie standard dei test epicutanei comprende ben tre sostanze rivelatrici di allergia a fragranze (Profumi mix, Balsamo del Peru e Lyral) e quattro conservanti (Kathon, Parabeni, Formaldeide, Metildibromo, Glutaronitrile). Altri comuni allergeni correlati ai cosmetici so no la Paraenilendiamina, (il principale allergene delle tinture per capelli) gli Alcoli della Lanolina (una sostanza emolliente) e la Colofonia (una sostanza resinosa ricavata dalle conifere, i cui derivati si possono trovare soprattutto in prodotti da trucco come mascara e matite per occhi). La legislazione Italiana sui cosmetici, in conformità con quella CEE, contiene norme specifiche volte a limitare il rischio di reazioni allergiche da contatto e a facilitare l’identificazione dei prodotti che contengono potenziali allergeni. In particolare, il Dig n. 50 del 15-2-2005 riporta indicazioni e restrizioni riguardanti fragranze e conservanti. Per esempio il Kathon non può essere usato in concentrazione superiore allo 0,0015 %, mentre la normativa ha di recente proibito l’impiego nei cosmetici del Dimetildibro-moglutatronitrile, un conservante fortemente allergenico fino ad ora consentito, a basse concentrazioni, solo nei prodotti a risciacquo. A partire dall’ 11 marzo 2005, inoltre, vige l’obbligo per i produttori di indicare in etichetta gli ingredienti con il loro nome INCI (International Nomenclature Cosmetic Ingredients), una terminologia, prevalentemente in lingua inglese, stabilita dalla COLIPA per dare uniformità internazionale all’etichettatura dei cosmetici. II Kathon, per esempio, è riportato in etichetta come Methylchloroisothiazolinone/Methylisothiazolinone. Per quanta riguarda le fragranze, a tutt’oggi la più frequente causa di DAC da cosmetici, la legge prescrive che le sostanze profumate siano segnalate in etichetta con il termine generico “parfum” o “aroma”, salvo che nel caso di 26 sostanze specifiche, a riconosciuto potere sensibilizzante, che devono essere elencate singolarmente, con il loro nome INCI, se presenti in concentrazione superiore ai 0,01% nei prodotti a risciacquo e 0,001% nei prodotti che non vengono risciacquati (creme, lozioni, fondotinta ecc). La concentrazione consentità è piu alta per i prodotti a risciacquo in quanto questi, non restando a lungo a contatto con la pelle, comporterebbero teoricamente un minor rischio di sensibilizzazione. Tuttavia saponi e detergenti in genere, se vengono poco e mal risciacquati, possono facilmente causare irritazione ed eventualmente anche allergia. L’etichettatura INCI è molto utile da un punta di vista dermato-allergologico perché consente di identificare i cosmetici contenenti l’uno o l’altro allergene, ad eccezione di eventuali impurezze che non si ritrovano ovviamente tra gli ingredienti. Per quanto riguarda il nichel, la più nota tra queste impurezze, la legge sottolinea il fatto che nessun cosmetico può contenere nichel se non in tracce inevitabili dovute ai processi di lavorazione. Grazie all’ottimizzazione di tali processi i consumatori allergici al nichel possono utilizzare oggi senza rischi la grande maggioranza dei prodotti in commercio e la DAC da nichel nei cosmetici può essere considerata ormai un evento raro, se non eccezionale. Sebbene tutte queste misure contribuiscano a limitare l’incidenza di DAC causata dagli allergeni più comuni, nessuna formulazione cosmetica è del tutto esente dal
rischio di indurre sensibilizzazione allergica e la letteratura è ricca di segnalazioni di DAC da “allergeni emergenti”. Di fronte al sospetto clinico di reazione allergica da contatto da cosmetici è importante rivolgersi
al dermatologo e sottoporsi ai test epicutanei. In caso di negatività dei patch test standard, è importante sospendere i cosmetici sospetti ed eventualmente testarli come tali con la metodica del test ripetuto in aperto (ROAT). II ROAT consiste nell’applicare il prodotto sospetto alla piega del gomito, mattino e sera, fino alla comparsa di una reazione eczematosa o per un massimo di 10 giorni, qualora non si verifichi nessuna reazione.
Una volta individuato con certezza il prodotto o i prodotti responsabili, sarà possibile effettuare test più approfonditi per identificare il/i componenti allergenici. Fino a quando non si siano identificati gli allergeni o, quantomeno, i prodotti in causa, sarebbe opportuno utilizzare pochi prodotti cosmetici, a composizione molto semplice e con basso numero di componenti. Ciò può, da un lato, favorire la guarigione clinica, riducendo il rischio di reazioni avverse, dall’altro facilitare l’identificazione dell’allergene, qualora si verifichi una reazione avversa ai prodotti scelti.

DERMATITI DA CONTATTO ALLERGICHE IN ETA’ PEDIATRICA
Serena Lembo, Nicola Balato
Clinica Dermatologica
Università di Napoli Federico II
Le dermatiti da contatto allergiche dei bambini sono ritenute, oggi, essere molto più comuni di quanto si pensasse in precedenza, rappresentando circa il 20 % delle dermatiti dell’età pediatrica. In passato si credeva che
i bambini fossero meno esposti a sostanze chimiche e che il loro siste­a immunitario non fosse stimolato alla produzione di anticorpi specifici.
Numerosi studi ed analisi retrospettive di database italiani ed internazionali hanno dimostrato che si tratta, invece, di un problema di frequente riscontro. II picco di incidenza di tale patologia, secondo alcuni autori, è riferibile a bambini di età inferiore ai 3 anni, secondo altri, invece, sembra i essere l’adolescenza il periodo più rappresentativo. La cute del bambino è più sottile di quella dell’adulto, la matrice cementante extracellulare è spesso deficitaria, per cui l’incompleta adesione tra i cheratinociti non garantisce la perfetta impermeabilità
della barriera cutanea rispetto agli agenti esterni irritanti. Inoltre si deve considerare che al di sotto degli 8 anni l’aumento del rapporto superficie cutanea/volume corporeo predispone i bambini ad assorbire maggiormente le sostanze chimiche applicate sulla cute, rispetto all’adulto. Anche le sostanze chimiche a cui sono esposti i bambini differiscono da quelle degli adulti: basta pensare all’ industria cosmetica di prodotti per l’igiene dei bambini, come creme, detergenti e shampoo specifici, preparazioni associate ai pannolini, o, ancora, alle sostanze contenute nei giocattoli, o in alcuni medicinali e vaccini specifici. E’ compito del dermatologo saper riconoscere i segni di una dermatite da contatto ed indirizzare i genitori dei “giovani” pazienti attraverso specifiche procedure diagnostiche, terapeutiche e preventive.
Sui territorio nazionale sono numerosi i centri di dermatologia allergologica collegati con la Socieàa Italiana di Dermatologia Allergologica, Professionale ed Ambientale (SIDAPA) che propone linee guida sempre aggiornate nel settore. Quando il dermatologo sospetta una dermatite da contatto invita i genitori del piccolo ad effettuare test allergologici chiamati test epicutanei o patch test: attraverso l’applicazione cutanea diretta di una serie specifica di sostanze, si riesce ad individuare quella eventualmente responsabile del problema cutaneo. Esiste per l’appunto una serie “pediatrica” di apteni da testare, risultati dalla selezione di quelli più frequentemente responsabili di dermatiti dell’età infantile. Questa serie di sostanze viene periodicamente aggiornata e talora integrata, secondo le condizioni ambientali e le abitudini comportamentali che potrebbero portare nuovi componenti dannosi a contatto con la pelle dei bambini. I più recenti studi italiani, in accordo con quelli internazionali, indicano i metalli come responsabili più comuni delle dermatiti allergiche da contatto in età pediatrica: tra questi il Nichel solfato ed il Cobalto contenuti nei monili, nelle monete, nelle sedie di scuola, negli apparecchi ortodontici. Anche alcune fragranze e conservanti, come il Timerosal o le Cocamidopropilbetaine componenti di bagnoschiuma, shampoo e creme, sono frequentemente responsabili di dermatiti. Da non sottovalutare inoltre il potere irritante ed allergizzante di alcuni componenti delle scarpe, di coloranti tessili e di alcuni principi farmaceutici contenuti nelle creme che vengono prescritte per curare la stessa dermatite. I cortisonici topici, ad esempio, possono essere responsabili di dermatiti da contatto.
Per una corretta diagnosi e indispensabile rivolgersi al dermatologo e praticare le indagini adeguate.
Se non si individua e non si allontana l’agente causale, la dermatite assumerà andamento recidivante o cronico a dispetto di ogni terapia. E’ inoltre fondamentale saper consigliare i genitori su come evitare i prodotti contenenti la sostanza responsabile, fornendo schede informative su che cosa può, o non può, essere usato dal piccolo paziente.

LE FOTO DERMATITI ALLERGICHE
Paolo Daniele Pigatto
Dipartimento di Tecnologie per la Salute Ospedale R Galeazzi & Università degli Studi di Milano
Nella pratica dermatologica stanno aumentando i casi di dermatiti indotte dal contatto con alcune sostanze
ambientali e dall ‘esposizione alla radiazione ultravioletta ; queste forme vengono diagnosticate come fotodermatite allergica da contatto (fotoDAC) rappresentano circa il 10 % del totale delle fotodermatiti.
La frequenza è in aumento sia perchè vengono utilizzati molti prodotti cosmetici e aumenta il contatto con materiali presenti in alcune lavorazioni ma soprattutto per l’aumentata esposizione a fonti di radiazioni UV sia naturali che artificiali. Molte sostanze sono state definite fotoallergizzanti, ma l’esatto meccanismo d’azione con il quale si instaura la sensibilizzazione allergica rimane ancora non completamente chiarito. Infatti il trattamento UV appare interferire direttamente con l’induzione e l’espressione della ipersensibilità da contatto, senza deprimere invece alcune reazioni immuni cellulomediate. Lo sviluppo di cloni T linfocitari citolitici e il rigetto di tessuti allogenici non è alterato dalla esposizione animale a radiazioni UV. Al momento attuale non sembra invece possibile stilare dei dati conclusivi sugli altri tipi di immunità cellulomediata e saranno necessari altri studi per valutare il comportamento delle risposte immuni di tipo ritardato ad antigeni proteici e la risposta alle infezioni da microorganismi intracellulari.
I soggetti affetti da fotoDAC rappresentano una minoranza di soggetti esposti a sostanze immunogene forse legata alla loro costituzione genetica. La prevalenza della FotoDAC è variabile negli anni legata probabilmente all’introduzione e l’uso di nuove sostanze nei cosmetici e nei farmaci. Esistono pochi studi significativi pubblicati (Am.J.Cont.Derm. 7: 158-163, 1996) e solo lo scorso anno è stato pubblicato un lavoro frutto di
un lungo studio di standardizzazione delle metodiche diagnostiche e di una rilevazione dei risultati a livello nazionale (Contact Dermatitis 2008: 59: 103-108). I centri che hanno partecipato all’indagine sono stati numerosi e distribuiti in modo omogeneo a livello nazionale (tab1). Lo studio è state condotto in modo retrospettivo multicentrico per determinare la prevalenza di fotoallergica dermatite da contatto in Italia. La procedura prevedeva l’ applicazione di una doppia serie di apteni tenuti in situ per 48 ore. Dopo questo periodo entrambe le serie venivano rimosse e una soltanto veniva ricoperta con materiale opaco. Si procedeva alla fotoirradiazione con una dose variabile in relazione al fototipo da 3 a 5 Jcm2 (precedentemente 5-10 J cm2) di luce UVA ottenuta da 6 lampade Philips TLK 40 /09 N in grado a 20 cm di distanza di emettere 5 mW/cm2. I tempi di irradiazione variavano pertanto da 10 a 17 minuti. I pazienti venivano osservati a 10 minuti e a 24 e 48 ore dopo la fotoirradiazione.
L’ allergia da contatto fotoallergica veniva diagnostica quando la sola zona fotoirradiata era positiva mentre l’altra non mostrava alterazioni. Infine per la valutazione della rilevanza il paziente positivo veniva reinquadrato in base alla storia clinica , la effettiva presenza dell’aptene e un nesso temporale valido tra foto-esposizione e comparsa della dermatite. Sono stati valutati un totale di 1.082 pazienti con storie e caratteristiche cliniche suggestive
di dermatite da contatto fotoallergica Tutti i pazienti erano stati sottoposti a photopatch test con allergeni proposti per l’Italia, nonchè con altre sostanze suggerite dalla storia personale di ciascun paziente. 234 pazienti (21,6%)
sono risultati positivi ad almeno una sostanza al photopatch test standard con un totale di 290 reazioni positive. 204 delle reazioni sono state vere reazioni fotoallergiche; 68 reazioni sono state di tipo allergico semplice; 18 le reazioni sono state considerate fototossico. Lo sforzo unificativo e di selezione sia dei pazienti che dei centri operanti sui territorio nazionale che si estende in senso verticale dal 46° al 38° parallelo ha dovuto tenere conto di condizioni di esposizioni solari e d’abitudini di vita molto differenti. Il gruppo predominante dei fotoallergeni era quello dei farmaci, seguita dai filtri UV e dagli agenti antimicrobici. II gruppo merceologico più cospicuo è costituito dai farmaci con il chetoprofene leader indiscusso del gruppo topico di impiego tipicamente mediterraneo per la piccola traumatologia e la terapia domestica del dolore . II chetoprofene è ora giunto al primo posto tra i fotoapteni sempre più autosomministrato in Italia mentre molto meno frequenti appaiono gli
altri farmaci arilpropionici come ibuproxam e ibuprofene. Recentemente si è aggiunto l’etofenamato con un numero cospicuo di fotoallergie già precedentemente segnalato dai colleghi spagnoli come importante fotoaptene della realtà iberica. Facendo un confronto con il nostro primo studio vediamo che non abbiamo notato nessun nuovo caso di fotoDAC da additivi dei cosmetici e da piante. Rispetto alla nostra precedente indagine stanno acquistando una certa rilevanza numerica i casi dovuti a topici protettori solari che sono saliti al secondo posto assoluto dopo i farmaci. La campagna di difesa dall’ esposizione sconsiderata al sole sta sortendo i suoi effetti.

Tabella 1 . Centri che hanno
preso parte nello studio
Genova
Verona
Roma
Bologna
Firenze
Bari
Milano
Napoli

“UPDATE” SULLA DERMATITE DA CONTATTO DA NICHEL
Colombina Vincenzi, Antonella Tosti
Dipartimento di Medicina Interna, dell’Invecchiamento e Malattie Nefrologiche
Gruppo di Ricerca in Clinica Dermatologica, Alma Mater Studiorum Universita di Bologna

II nichel rappresenta la causa più frequente di dermatite da contatto nella popolazione generale (incidenza di sensibilizzazione 15% per le donne e 3% nei maschi), sia nei bambini che negli adulti, e anche in campo professionale è la causa più frequente di dermatite da contatto cronica delle mani. II nichel si trova in moltissimi prodotti sia industriali che di uso comune come l’acciaio inossidabile, parti metalliche di abbigliamento (bottoni, fibbie, ganci), bigiotteria, orologi, monete di metallo, ect, ed è pertanto quasi impossibile evitarne il contatto nella vita quotidiana. La principale fonte di sensibilizzazione al nichel è rappresentata dal “piercing” cioè dalla foratura dei lobi auricolari o di qualsiasi altro distretto cutaneo; l’81.5% delle donne che sono allergiche al nichel avevano fatto il “foro” all’orecchio. L’allergia al nichel è favorita anche dalla sudorazione, infatti il sudore aumenta il rilascio di ioni liberi di nichel dagli oggetti di metallo. II rischio di sensibilizzazione al nichel aumenta quano più nichel viene rilasciato dagli oggetti metallici a contatto con la cute e da quanta più è prolungato il contatto dell’oggetto con la superficie cutanea. Nel tentativo di ridurre l’incidenza della dermatite da contatto da nichel, nel 1994 l’Unione Europea emanava una direttiva (94/27 ICE) in cui inseriva il nichel fra le sostanze ed i preparati pericolosi, limitandone l’impiego in alcuni oggetti destinati ad entrare in contatto diretto e prolungato con la cute (limite di 0.5 ug/kg/week) . Nonostante questa direttiva il nichel continua ad essere al “primo” posto come prevalenza di causa di allergia fra i soggetti sottoposti a patch test, raggiungendo picchi del 30% fra le donne e 8% fra i maschi; e frequente anche nei bambini (15%) e nei soggetti più anziani (13%). Sono stati descritti anche casi di allergia al nichel in neonati e bambini molto piccoli e in questi casi le fonti di sensibilizzazione sono diverse fra cui, oltre agli orecchini, i gioielli usati dalla madre, culle di metallo, bottoni e ganci delle tutine, giocattoli di metallo, maniglie delle porte e altro. Anche gli apparecchi ortodontici possono essere causa di allergia al nichel, manifestandosi con cheilite, dermatite periorale e stomatite, anche se si è visto che la frequenza di sensibilizzazione al nichel è più bassa fra i bambini che, prima di effettuare il piercing, hanno usato un apparecchio con il nichel. E’ invece ancora da stabilire quanto una protesi ortopedica di metallo possa indurre o esacerbare una dermatite da contatto da nichel; l’allergia al nichel non viene comunque considerata una controindicazione all’applicazione di una protesi. In ambito professionale, soprattutto fra coloro che lavorano nelle industrie che producono acciaio inossidabile, materiali elettrici, batterie, monete etc, il contatto con il nichel è alquanto significativo e quindi è alto il rischio di sviluppare non solo una dermatite da contatto da nichel ma anche problemi respiratori come l’asma allergico. Non si conosce però la prevalenza di allergia da nichel dovuta esclusivamente all’ambiente lavorativo, in genere chi è già sensibilizzato al nichel può sviluppare secondariamente una dermatite da contatto, in genere delle mani, che è difficile prevenire anche con l’utilizzo di guanti di gomma in quanto il nichel è in grado di penetrare anche attraverso la gomma. II trattamento della dermatite da contatto da nichel , vista la sua ubiquitarietà, è molto difficile e quindi è importante una diagnosi precoce e attuare strategie sia preventive che terapeutiche. Per la diagnosi è importante valutare la sede della dermatite in quanto la dermatite da contatto da nichel è in genere localizzata nelle sedi di diretto contatto con gli oggetti metallici come il lobo delle orecchie (orecchini), il polso (orologio), il collo (collane) e la regione ombelicale (bottone dei jeans), ma anche il volto ed il cuoio capelluto possono essere interessati (telefoni cellulari, piercing, fermagli per capelli). In individui allergici al nichel è possibile anche l’’insorgenza di una dermatite da contatto generalizzata in seguito all’esposizione per altre vie come le vie respiratorie o orale. Anche la disidrosi delle mani, la cosiddetta”pompholyx”, è stata associata all’allergia al nichel ma però non c’e ancora una dimostrazione diretta della loro correlazione. I patch test rappresentano l’indagine diagnostica utile per confermare l’allergia al nichel che viene testato sotto forma di nichel “solfato” in vaselina alla concentrazione del 5% negli adulti e al 2.5% nei bambini, anche se secondo alcuni studi anche nei bambini può essere testato al 5%; una concentrazione inferiore è invece raccomandata in caso di reazione dubbia. In caso di reazione falsamente negativa, in presenza di un aspetto clinico fortemente suggestivo per allergia da nichel, è indispensabile ripetere il patch test utilizzando il nichel sotto forma di “cloruro” (5% in vaselina), forma che aumenta la concentrazione del nichel oppure utilizzare, prima di applicare il patch test, sostanze che favoriscono la penetrazione come il dimetilsulfossido o effettuare lo scratch cutaneo.
Per gli individui allergici al nichel è anche disponibile un test (spot-test alla dimetilgliossima) che serve ad identificare gli oggetti di metallo che contengono un’alta concentrazione di nichel. E’ un kit che contiene una soluzione alcolica a1l’1% di dimetilgliossima e al 10% di ammonio cloruro: si strofina con un cotton-fioc imbevuto di tale soluzione l’oggetto personale di metallo e se la punta del cot­ton-fioc diventa di colore rosa significa che l’oggetto contiene un’alta quantità di nichel e ne viene pertanto sconsigliato l’uso. Sopratttutto nei casi di dermatite da contatto delle mani di origine professionale può essere utile il test dell’immersione
del dito, che consiste nel fare immergere una o più dita del soggetto allergico in una soluzione contenente nichel per valutare a quale concentrazione di nichel la dermatite delle mani si riaccende.
E’ ben documentato che evitare il contatto con oggetti di metallo è il metodo migliore per evitare le recidive della dermatite da contatto da nichel. La strategia di ricoprire gli oggetti di metallo con smalto per unghie ocon adesivi e/o altre resine in realtà può essere rischioso in quanto esiste la possibilità di sviluppare un’allergia anche a queste sostanze. Anche alcuni cosmetici possono contenere il nichel; ad esempio il mascara e gli ombretti per occhi possono essere causa di allergia alle palpebre in soggetti allergici al nichel e per questo è utile consigliare l’utilizzo di cosmetici “nichel-free” che contengono cioè basse quantità di nichel (<1ppm). In alcuni casi si può consigliare l’uso di deodoranti antiperspiranti allo scopo di diminuire la sudorazione che, come già sottolineato, aumenta la liberazione di ioni di nichel dagli oggetti metallici a contatto con la cute. Anche il fumo rappresenta un rischio per i soggetti allergici al nichel in quanto in alcuni tabacchi può essere contenuta un’alta concentrazione di nichel (contenuto medio per sigaretta da 1 a 3 ug).

Per quanta riguarda il trattamento della dermatite da contatto da nichel varia in correlazione alla gravità delle manifestazioni: antistaminici orali se e presente intenso prurito (assolutamente da sconsigliare l’uso di antistaminici topici in quanta altamente sensibilizzanti); cortisonici topici di bassa potenza per aree cutanee come il viso e le braccia o anche di alta potenza per aree cutanee più spesse come il palmo delle mani e la pianta dei piedi; cortisonici per via orale da usare per periodi brevi in caso di dermatite più diffusa. Le creme cosiddette “barriera” possono essere utili in quanto, applicate sulla cute, possono agire come un “guanto invisibile” ed impedire la penetrazione del nichel grazie alla presenza in esse di sostanze in grado di legare il nichel; le sostanze più utilizzate nelle creme barriera sono l’EDTA (acido etilendiamino tetra-acetico), il cliochinolo (5-cloro-7-iodochionolin-8-olo), e i sili­coni. Alcuni cibi hanno un alto contenuto di nichel, ad esempio la farina integrale, l’avena, i legumi, le noccioline, la liquirizia e il cioccolato ma è ancora controverso quanto sia utile prescrivere una dieta a basso contenuto di nichel ai soggetti allergici, anche se alcuni pazienti ne hanno tratto beneficio. In particolare sarebbe utile seguire le cosiddette “linee guida di Veien” che consistono nel controllare l’efficacia della dieta nichel free per 1-2 mesi, dopo i quali decidere se continuare o meno.
Esiste anche la possibilità di utilizzare un vaccino orale allo scopo di indurre una tolleranza nei confronti
del nichel: è stato condotto uno studio in cui la somministrazione orale di 5.0 mg di nichel solfato 1 volta alla settimana per 6 settimane ha ridotto notevolmente le manifestazioni cutanee dell’allergia da nichel; in un altro studio si è invece utilizzata la metodica di somministrare il nichel solfato in quantità crescenti da 0.3 ng a 3000 ng associata ad una dieta nichel-free in 24 soggetti allergici e si è visto dopo 16 mesi una diminuzione dei sintomi in tutti e in 20 di essi la reintroduzione del nichel nella dieta non è stata seguita da alcuna manifestazione allergica. Nonostante questi studi l’efficacia dei vaccini per il nichel attualmente in commercio non è stata ancora provata.
La gestione dei pazienti con allergia da nichel di possibile insorgenza professionale richiede un’attenzione particolare in quanto sono più difficili sia la diagnosi che la prevenzione e il trattamento. Generalmente le pilù colpite sono le mani, che sono le più esposte al contatto con strumenti che rilasciano il nichel e la dermatite delle mani che ne con segue spesso porta ad invalidità lavorativa, essendo le mani fondamentali per la maggior parte delle attività. E’ necessario valutare l’effettiva esposizione al nichel nell’ambiente di lavoro e per questa sarebbe senz’altro utile un test che è in grado di quantificare il contenuto di nichel nelle unghie e nella cute che è stato descritto in uno studio ma che purtroppo non è ancora disponibile. Accertata la dermatite da nichel sarebbe necessario mobilitare il soggetto in un’altra mansione che non comporti il contatto con i metalli e comunque raccomandare a tutti misure protettive come l’utilizzo di guanti di PVC (polivinilcloride).

Tabella 2 . Risultati dei fotopatch tests
Farmaci antinfiammatori
Arilpropionici
Ketoprofen
Ibuproxam
Ibuprofen
Altri fotoallergici
Octocrylene
Piroxicam
Fentichlor
Benzophenone
Benzophenone- 3
Ethyhexyl
Prometazine
Buyl methoxydibenzoylmethane
Fragrance mix I
Drometrizole trisiloxane
Trichlorocarbanilide
Isoamy p-methoxycinnamate
Dichlorophene
Benzophenone
Bithionol
Chlorhexidine digluconate
PABA
Musk mix
Tribromasalicylanilide
Ethyhexyl triazone
Polyethylene glycol-25 PABA
Sesquiterpene lactone mix
4-methylbezylidene campphor
Ethylhexyl dimethyl PABA
Thiourea
Triclosan
6-methyl coumarin
Etofenamate
Homosalate
Phenybenzimidazone sulfonic acid
116
110
5
1

23
19
16
10
15
13
12
9
8
5
5
4
4
4
3
3
2
2
2
2
1
1
1
1
1
1
1
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0
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Pubblicazione gennaio 2010

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