Ortopedia

COLPO DI FRUSTA, DOLORI CERVICALI, NAUSEA, CEFALEE…

Prima di presentarvi il caso di un paziente che mi è sembrato particolarmente idoneo a questo articolo, fra le centinaia che presentano tale patologia, desidero rendere più comprensibile la particolarità della mia indagine professionale. Quale chinesiologo e posturologo, infatti considero sempre il paziente sotto varie angolature: ne osservo i limiti del movimento (visione chinesiologica) valuto le alterazioni funzionali della struttura (visione posturologica); e infine valuto il paziente sotto il punto di vista del recupero funzionale e strutturale (visione fisioterapica e posturologica). L’itegrazione di questi diversi punti di vista mi permette di avere un’osservazione più critica ed imparziale, più vantaggiosa, mettendomi in condizioni di avere maggiori possibilità di risultati.
Come ho avuto modo di esprimere in articoli precedenti, il paziente non dovrebbe mai venire osservato con una “visione bidimensionale”, ma “multidimensionale”. Egli non è solo, dal punto di vista anatomico, un insieme di ossa e muscoli organizzati al fine di muoversi, mangiare, dormire, etc., ma esprime anche una serie di reazioni autonome innate, che hanno come scopo quello di mirare ad una maggiore sopravvivenza, come i meccanismi antalgici.
I meccanismi automatici antalgici sono quelli che il corpo escogita e mette in atto pur di non soffrire: si piega, si storta, si irrigidisce, non si flette più… perchè così non soffre più, o quanto meno non soffre nel presente. Poi, però dato che tale sistema è relativamente intelligente, nel corso del tempo succederà che le storture e le posture adottive adottate per non soffrire comporteranno un “prezzo da pagare”, legato proprio all’usura che tali cattive posture (“adattive”) hanno imposto ad altre parti del corpo. Classico è l’esempio della caviglia dolorante che, non venendo più appoggiata a terra per camminare, di fatto impone un super lavoro all’altra gamba e all’anca. Ecco allora che non basta far sparire il dolore alle persone: il dolore deve lasciare il corpo a determinate condizioni e con modalità ben precise. Anche la morfina può far sparire il dolore, ma ciò non sighifica che il problema da cui scaturiva il dolore sia stato risolto solo perchè momentaneamente anestetizzato!
Esiste poi anche un’altra dimensione, che è quella delle emozioni, degli sati d’animo; oggi sappiamo che una condizione emozionale negativa e cronica (ad es. tristezza, preoccupazine, disagio, antagonismo in ambiente di lavoro, paura di non essere all’altezza, dolore per scomparsa di un amico o di un familiare, complesso di inferiorità ect,) , è capace di alterare un sistema biologico, endocrinologico, digestivo, dei neurotrasmettitori, e come conseguenza finale di creare delle patologie, fra cui anche i dolori al sistema muscolo-scheletrico. Vanno aggiunti anche altri fattori, letti in chiave posturologica: sistemi informatori/formatori complessi come la lingua, l’occhio , i denti , l’articolazione temporo-mandibolare, il vestibolo, l’orecchio, il piede, la pelle , l’intestino, etc., che sono in grado di modificare ed alterare il sistema posturale.
La Posturologia “branca trasversale della medicina”, nel corso deglia anni ha cercato di arricchire le conoscenze sulle relazioni esistenti fra i vari sistemi di informazione e la condizione della nostra salute. Nella persona, infatti, tutto è in relazione con il tutto, ed ogni singola parte (pensieri, emozioni, corpo e ciascun distretto corporeo, etc.) influenza il tutto! Ecco perchè se un trauma come il colpo di frusta colpisce una persona già sofferente, il problema diventa molto più complesso e difficile. In genere con buona tenacia, perseveranza e tanta professionalità, si dovrebbe riuscire a dare “sollievo” quasi ad ogni patologia, soprattutto se si interviene in tempo utile. Adesso posso presentarvi il caso del nostro paziente.
Nel mese di novembre 2004 si presentò in studio il signor Luca, 27 anni, insegnante, lamentando un forte blocco a tutta la zona del collo e fastidiose emicranie che a volte gli impedivano di svolgere le sue lezioni. Durante la raccolta dei dati iniziale mi informò che un mese e mezzo prima un incidente in auto gli aveva causato un forte trauma al collo, per cui era stato costretto ad utilizzare il collarino per circa 23 giorni. Dall’analisi posturale e dai test chisiologici appariva discreta limitaizione del collo nella rotazione a destra e a sinistra, imposta dalle tensioni e dai dolori. Il suo collo era come stretto da una morsa fatta di muscoli tesi e corti. Per inciso, ormai sono ben note le strette relazioni fra tensoni dei muscoli del collo, compressioni delle vertrebe e ancor peggio delle radici nervose, le quali possono diventare fronte di disturbi tra i più impensati – alla testa ma anche ad altre parti del corpo – per colpa di compressioni che si trasmettono al midollo spinale. Infatti il midollo spinale del tratto cervicale (collo) ha in sè tutto il passaggio delle vie di comunicazione dalla testa fino ai piedi! E infatti in alcuni casi capita che una protusione, un’ernia o una semplice costante pressione midollare arrivi a disturbare le gambe, il dorso, i visceri, le braccia, la testa con tutte le sue funzioni complesse e delicate. Infatti, molto di frequente i pazienti che hanno subilto un colpo di frusta importante lamentano le più strane reazioni: cefalee , emicranie, capogiri, disiorentaamento, amnesie, sonnolenza, insonia, perdita parziale della memoria, assenze, parestesie al viso o alle braccia, nervosismo, irriquietezza, etc.
Il signor Luca, oltre ad evidenziare il problema al collo, che gli scatenava dei fastidiosi mal di testa, avvertiva anche nausea, dolore agli occhi (soprattutto al mattino) e fortissime tensioni nella parte posteriore delle gambe e della schiena.
Data la delicatezza della sua situazione, le prime sedute furono estremamente leggere e mirate soprattutto a diminuire le tensioni muscolari attraverso un lavoro di rilassamento e di respirazione, sempre tenendo conto dell’insieme delle catene muscolari. Tutto il lavoro di rilassamento, di respirazione e di elongazione muscolare avveniva infatti in postura globale decompensata.
Subito il signor Luca percepì qualche miglioramento, fatto che fece ben sperare per le sedute successive, durante le quali continuammo a decontrarre i muscoli del dorso e della zona lombare. Non era ancora il momento di agire sul collo, punto molto delicato e suscettibile di probabili reazioni indesiderate.
La strada che stavamo percorrendo era valida, prova ne era il fatto che il paziente stava un pò meglio: il mal di testa era diminuito, provava meno fastidio alla luce del sole ed in generale si sentiva più alleggerito. Luca aveva una gran voglia di continuare questo trattamento. Verso la settima/ottava seduta, le condizioni del paziente mi permisero di agire sul collo. Avevo già valutato la situazione del collo: alla palpazione delle cervicali si avvertiva che le vertebre erano disallineate ed era presente una rettificazione della curva fisiologica in direzione dell’inversione della curva stessa. Questo è un atto molto importante, da prendere seriamente in considerazione: le inversioni di curva per tensione muscolare antalgica (contrattura) tendono nel tempo a produrre protusioni ed ernie discali. Il signor Luca riferì che i primi due/tre giorni dopo la seduta il miglioramento era stato netto, ma poi nei giorni successivi il disagio al collo era tornato, se pur in misura inferiore rispetto a prima.
La strada era buona, ma ancora prematura. Così, nelle successive terapie, ci concentrammo sulla respirazione applicando un metodo meno invasivo, che cercava di far prendere coscienza al paziente delle tensioni al collo attraverso una respirazione particolare. Sappiamo che ad ogni trauma il corpo risponde con tensioni e blocchi del muscolo diaframma(il muscolo principale della respirazione, situato nel busto a dividere il torace dall’addome).
Tale situazione, stabilizzandosi, comporta poi inetavibilmente problemi al collo a causa dei muscoli respiratori accessori (collocati proprio nel collo).
E’ come dire che se il diaframma è in blocco o in parzile blocco, la persona respira grazie ai muscoli del collo: Ciò è tollerabile se avviene per qualche ora o al massimo per un paio di giorni, ma se continua nel tempo accade che le tensioni muscolari “si fissano” permanentemente. Quindi il collo ovvero le vertebre, rimangono semptre “compresse”, vittime dei mucsoli del collo stesso. E tale condizione nel tempo e negli anni può portare a processi artrosici.
L’approccio terapeutico appicato portò un 20% di miglioramento, ma ora finalmente il collo era pronto ad essere trattato a fondo, e così facemmo. Il signor Luca, alla sedua successivasi presentò con un sorriso radioso: “Adesso ci siamo!”. Era molto felice mentre ci comunicava che, per tutta la settimana successiva al trattamento, al mattino non aveva più avvertito i soliti giramenti di testa con emicranie, e che durante le ore in università era riuscito a svolgere le lezioni con minor fastidio.
Contemporaneamente anche la flessibilità del corpo aveva iniziato a migliorare. Ripetemmo un ttrattamento simile per le sucessive quattro terapie: Luca percepiva miglioramenti netti e crescenti in direzione di una sempre maggiore libertà tanto che alla quindicesima seduta arrivò addirittura a toccare al terra con le mani, con sua grande gioia (in genere arrivava a 30 cm da terra)!

Prof. Daniele Raggi
Posturologo, Chinesiterapista, Mézièrista
Docente Master in Posturologia
c/o presso la I Facoltà di Medicina e Chirurgia,
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Patologia,
Università “La Sapienza” di Roma
Docente c/o l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano.
Facoltà di Scienze della Formazione, Scienze Motorie.
Pubblicazione Dicembre 2005

MALFORMAZIONI CONGENITE DELLA MANO

Dal momento che la differenziazione degli arti avviene secondo un ordine sequenziale costituito e che le componenti cellulari sono particolarmente sensibili alle modificazioni introdotte, la comparsa di un difetto formativo sarà una conseguenza inevitabile. L’alterazione di quello sviluppo armonioso e rapido, che in breve tempo conduce alla formazione dell’arto superiore, da origine a quadri patologici caratteristici che vanno in parallelo all’esatto periodo dell’embriogenesi che viene interessato.
La maggior parte delle deformità degli arti si manifesta durante la fase embrionaria della differenziazione tra la 3a e l’8a settimana dal concepimento).
Altre cause malformative che intervengono più avanti nella gravidanza sono quelle fetali legate ad anomalie di posizione o alla presenza di briglie amniotiche.
A causa dell’estrema variabilità di aspetti clinici, negli anni molti Autori hanno stilato proprie classificazioni, facendo uso di terminologia greca e latina che ha creato però incomprensioni e discordanze. Attualmente la classificazione delle malformazioni congenite della mano universalmente seguita e quella di A.B. Swanson, che si basa sull’aspetto descrittivo conseguente al mancato sviluppo embriologico del segmento interessato. Essa identifica 7 gruppi principali di difetti congeniti con relativi sottogruppi:
1) Difetti di formazione:
a) difetti trasversali (amputazioni di braccio, avambraccio, dita ecc.)
b) b) difetti longitudinali (focomelia, difetti radiali, difetti centrali, difetti ulnari, dita ipoplasiche)
2) Difetti di differenziazione:
a) sinostosi
b) lussazione del capitello radiale
c) c) sinfalangismo
d) d) sindanilia
e) e) rigidita delle parti molli (artrogriposi multipla congenita, ipoplasia del pollice, camptodattilia ecc.)
f) d) rigidità dello scheletro(cIinodattilia. ossa a delta ecc.).
3) Duplicazioni:
a) polidattilie
b) trifalangismo
c) mano a specchio.
4) Iperplasia: (gigantismi)
5) Ipoplasia.
6) Sindrome congenita delle bande amniotiche.
7) Anomalie scheletriche generalizzate: (es.displasia diastrofica, acondroplasia etc.)

Dal momento che la causa di molti di questi deficit è sconosciuta, al Chirurgo della mano si richiede estrema cautela nella valutazione del difetto e nella comunicazione con l’ambiente familiare. E’ importante in primo luogo stabilire un rapporto. di fiducia con i genitori. Questi si vengono a trovare di fronte ad una realtà prima non conosciuta , che spaventa per il futuro del figlio e che frequentemente crea dei sensi di colpa.
Le prime attenzioni vanno rivolte perciò ai genitori, ai quali va spiegato, anche in occasione di più incontri, il tipo di malformazione congenita, vanno illustrate le possibilità terapeutiche e si deve rispondere ai dubbi che sorgono sulle cause del difetto e sulla terapia.
E’ importante cogliere le motivazioni che portano all’intervento e le aspettative, dei genitori nel piccolo paziente o quelle proprie, nel paziente più grande.
La valutazione clinica del paziente deve essere estremamente accurata sia dal punto di vista generale che da quello strettamente locale in quanto la malformazione della mano può essere associata con difetti congeniti presenti in altre sedi (es. cardiologici, renali, neurochirurgici, etc.).
Gli evidenti limiti di questo articolo impediscono una trattazione dettagliata di ogni singolo aspetto della patologia malformativa della mano, ma è importante sottolineare che esistono molti livelli di gravità per ciascuno di essi.
Ad esempio nelle sindattilie (mancata separazione delle dita, si va da quadri di semplice fusione cutanea a quadri più complessi. in cui sono interessati diversi elementi digitali per fusione dei segmenti scheletrici ed ovviamente il trattamento deve adeguarsi alla complessità del quadro clinico.
Analogamente nelle polidattilie (presenza di dita in più) i segmenti in eccesso si possono presentare sotto forma di abbozzo di dito o manifestare un completo sviluppo.
La sindrome delle briglie amniotiche, gia citata, è causata dall’azione compressiva e costrittiva di bande presenti nell’utero gravidico. L’ostacolo circolatorio. che la costrizione causa. determina l’amputazione per necrosi da parte degli arti, fino a giungere all’amputazione. La cicatrice che si viene a creare a seguito della necrosi comporta l0 sviluppo di pseudosindattilie tra gli elementi digitali.
Compito del chirurgo sarà quello di risolvere le briglie cicatriziali che creano la costrizione e di separare le pseudosindattilie per fornire al paziente una mano funzionalmente utile.
II terzo elemento da valutare è perciò quello del trattamento. Questo deve raggiungere la sintesi tra correzione funzionale, correzione estetica e potenziale evolutivo proprio del paziente pediatrico.
Considerando l ‘importanza della mano ai fini della vita di relazione, la correzione chirurgica attuata in tempi corretti è importante per raggiungere uno sviluppo psico-motorio adeguato. E’ fondamentale creare quantomeno una pinza efficace della mano per svolgere le funzioni della vita quotidiana.
E’ comunque da ricordare che frequentemente si assiste alla costruzione di compensi spontanei della mano malformata che, in alcuni casi. sono del tutto soddisfacenti dal punta di vista funzionale. nonostante la compromissione anatomica. Si può giungere infatti al paradosso di ricreare una mano che viene esclusa. perchè si sono eliminati i compensi spontanei creati in precedenza.
Esistono casi poi in cui si impone l’adozione di protesi adeguate. sia dinamiche che statiche, in quanto la soluzione chirurgica trova scarsa indicazione. Frequentemente però la correzione chirurgica facilita l’applicazione protesica.
La necessità di intervenire si pone quindi se si può raggiungere un miglioramento di funzione oppure quando lo sviluppo del paziente può condizionare un peggioramento funzionale, o ancora per evitare la strutturazione di atteggiamenti anomali acquisiti secondariamente.
Un ulteriore elemento da considerare e
che il miglioramento dell’aspetto estetico-funzionale può consentire un adeguato inserimento sociale, annullando la “diversità” .
II momento riabilitativo con manipolazioni atte a correggere atteggiamenti viziati e con apparecchi ortopedici e il primo passo verso il trattamento chirurgico.
La correzione chirurgica va valutata in base al tipo di difetto, sia per quanto riguarda l’epoca di inizio del trattamento che per la pianificazione chirurgica. che spesso richiede anche più interventi.
II trattamento chirurgico non è generalmente richiesto nei primi mesi dalla nascita (prima del 6°). ad eccezione di particolari quadri come nella sindrome delle bande amniotiche o in alcune polidattilie, ma va preferibilmente intrapreso tra il 1° ed il 2° anno di vita. L’intervento precoce offre le migliori garanzie per una valida ripresa funzionale e favorisce lo sviluppo psicomotorio del paziente. Quello che caratterizza la chirurgia della mano del bambino rispetto all’adulto sono le ridotte dimensioni delle strutture da trattare, la presenza di un’anatomia spesso anomala, l’obbligo di rispettare il potenziale evolutivo del paziente, le difficoltà dell’eventuale programma riabilitativo post-operatorio.
A titolo di esempio, la separazione delle dita di una sindattilia deve prevedere la copertura plastica della porzione che viene separata. Ciò può avvenire con la preparazione di lembi cutanei disegnati sulla cute delle dita adiacenti, i quali vengono fatti appositamente ruotare a coprire le zone separate.
Dal momento che la cute mobilizzata è sempre insufficiente, si provvede a coprire le zone ancora scoperte con piccoli innesti cutanei (frammmenti cutanei prelevati in altre sedi). E’ sempre sconsigliabile la separazione di più dita adiacenti. Uno dei rischi operatori da calcolare è infatti la sofferenza circolatoria dei tessuti, che può condurre in casi estremi alla necrosi.
In molti casi è necessario percib effettuare un accurato studio preoperatorio della vascolarizzazione della mano con i moderni metodi di diagnostica per immagini, quali l’angiografia digitale di sottrazione, che ci dona efficaci immagini del circolo.
II trattamento deve adeguarsi alla complessità del quadro clinico, per cui l’uso di mezzi ottici di ingrandimento (occhiali di ingrandimento e microscopio operatore) durante l’intervento diventa indispensabile. L’applicazione delle tecniche di microchirurgia permette un maggior rispetto delle strutture anatomiche, permette di effettuare interventi più completi e consente di diminuire il numero degli interventi, spesso molteplici, che questi pazienti devono affrontare.
II trasferimento di elementi digitali dal piede alla mano in determinate simbrachidattil ie (brevità o assenza di più dita ad espressività variabile) può rappresentare una realtà ormai costituita.
Gli interventi apportati sui segmenti scheletrici richiederanno sempre un’adeguata pianificazione radiografica.
L’utilizzo di mezzi di sintesi a minima si afftiancherà all’uso di fissatori esterni di dimensioni ridotte (minifissatori esterni).
Non ultimo va attuato un programma di recupero che deve tendere a far acquisire al paziente la massima destrezza, forza, abilità, resistenza e coordinazione possibile. Gli esercizi vengono proposti sotto forma di gioco di complessità variabile a seconda dell’età del paziente o dalla sua limitazione funzionale.
Sulla base dei principi enunciati, nell’ambito dell’ambulatorio superspecialistico per lo studio ed il trattamento della patologia della mano infantile appositamente istituito presso la I a Divisione di Ortopedia e Traumatologia dell’lstituto Gaslini, viene stabilito il primo indirizzo diagnostico e terapeutico per i nuovi casi di malformazioni congenite della mano.
I casi che lo richiedono, vengono quindi convogliati al Reparto di degenza per gli opportuni accertamenti (clinici, radiografici etc.)
La collaborazione multidisciplinare offerta dall’Istituto Gaslini (ortopedica, pediatrica, fisiatrica, neurologica, radiologica e psicologica etc.), permette di condurre l’iter clinico-diagnostico fino al momento delle necessarie procedure chirurgiche e segue poi il paziente anche dopo l’intervento.
In conclusione la Chirurgia della Mano Infantile consente alla mano malformata di raggiungere un alto potenziale funzionale ed estetico, ma parallelamente richiede un particolare impegno in termini di bagaglio tecnico e di scelte chirurgiche, in un campo in cui l’improvvisazione non trova posto.

Filippo M. Sénès
Ambulatorio superspecialistico “Paralisi ostetriche e patologia della mano infantile”
Ia Divisione Ortopedia e Traumatologia (Primario f.f..: Dott. S.Becchetti)
Istituto Giannina Gaslini
Genova
Tel. 010-5636203
Pubblicazione giugno 1997

SINDROME DOLOROSA CERVICALE

Gli agenti etiologici, che si osservano con maggiore frequenza sono:
Traumatismi: si tratta, in genere, di distorsioni del rachide cervicale, che si verificano in occasione di incidenti stradali, sportivi (tuffi) nell’ambito del lavoro, etc. Particolarmente frequenti i “colpi di frusta”, dovuti ad incidenti automobilistici (tamponamenti), con dislocazione brusca, e, talora violenta, in senso antero-posteriore, a livello delle faccette articolari, oppure, in altri casi, a movimenti in coordinati di rotazione.
Processi Infiammatori: trattasi di flogosi cronica delle strutture legamentose e muscolari, spesso ad impronta reumatica (tipico esempio è il morbo di Becterew).
Difetti di postura: atteggiamenti coatti in ipertensione oppure iperflessione del rachide cervicale, associati spesso ad inclinazione laterale e rotazione, durante l’attività lavorativa (uso continuo del computer e del cellulare).  Deviazioni assiali e torsionali: in presenza di cifosi e/o scoliosi, con lesioni disco articolari.
Processi degenerativi: la nucodiscoartrosi rappresenta la causa più frequente e, talora, anche invalidante; essa ha un’evoluzione cronica. Le lesioni anatomo patologiche risiedono a livello delle strutture articolari, nonchè dei dischi intersomatici, ed in particolare, in corrispondenza dell’anulus fibrosus e del ligamento longitudinale posteriore (strutture riccamente innervate).
Ernia del disco: sostenuta dalla protusione postero-laterale del nucleo polposo, secondaria alla fissurazione dell’anulus fibrosus e compressione della radice nervosa.
Neuropatie rientra nei deficit neurologici di varia eziologia. Di frequente riscontro la mielopatia spondiloartrosica.
Neoplasie, per la presenza di processi osteolitici somatici e somato-arcali e lesioni delle contigue strutture nervose.

Le manifestazioni cliniche
Si tratta di una sindrome rappresentata da dolore, contrattura muscolare, di difesa.
II dolore sarà continuo oppure intermittente, talora sordo, altre volte urente. Se sono interessate le radici nervose, il dolore può irradiarsi, per cui si avrà la cervicocefalalgia o la brachialgia mono o bilaterale, con parestesie e limitazione funzionale sia del rachide cervicale che degli arti superiori. Possono, altresì, verificarsi precordial-
gie, nel corso di una cervicobrachialgia.
Può associarsi cefalea occipitale con sindrome vertiginosa, ipoacusia, turbe della deglutizione, etc. (lesione irritativa ischemica dell’arteria vertebrale). Nel corso dell’evolutività la sindrome irritativa può regredire oppure trasformarsi in una compressione, con deficit motorio. Coesistono modificazioni dei riflessi osteotendinei, nonchè turbe della sensibilità.

Considerazioni conclusive
In una fase iniziale riesce poco agevole individuare l’agente etiologico.
La terapia farmacologica, fisica ed ortopedica incruenta può risultare efficace, anche se, a distanza di tempo si può verificare la ricomparsa della sindrome dolorosa. Se, viceversa persiste e talora, si accentuano i vari disturbi subiettivi, alla luce delle indagini strumentali (T.C, R.M.N, etc … )
Si dovrà ricorrere ad un intervento chirurgico particolarmente indicato in presenza di una sindrome compressiva. (tipo ernia del disco).
Ovviamente dopo una serena valutazione di diagnostica differenziale, un accurato esame clinico dovrà essere sempre prioritario e “mai” trascurato indipendentemente dai referti di particolari indagini strumentali.

Autore: Prof. Salvatore ARDITO
Prof. Associato di Ortopedia e Traumatologia
Università degli Studi di Catania
Pubblicato giugno 2010