Ginecologia

ALCOL IN GRAVIDANZA: 6 DOMANDE AL GINECOLOGO

Il consumo di alcol fra le donne in età fertile è un problema in crescita. Il dottor Maurizio Podestà, specialista in ginecologia, parla della diffusione del fenomeno e spiega i rischi in cui possono incorrere una donna in gravidanza e il suo bambino.

 L’abuso di alcol è un problema che coinvolge molte donne?

Si tratta di un problema sottostimato ma in enorme crescita fra le donne e fra le donne giovani, in età fertile. Basti pensare che negli anni Ottanta a consumare alcolici era il 43% del sesso femminile, oggi la percentuale ha raggiunto il 70%.

 Quali sono i rischi per la donna?

Le bevitrici aumentano, ma pochi sanno che la donna è maggiormente a rischio di danno e dipendenza rispetto all’uomo per ragioni polmonari, per attività enzimatica differente (con riferimento all’enzima responsabile dell’eliminazione dell’alcol) e per composizione corporea.

Come reagisce il corpo all’assunzione di alcol?

Appena assumiamo alcol il corpo si mette in moto per distruggere la sostanza tossica. L’alcol deidrogenasi è l’enzima responsabile dell’eliminazione dell’alcol ma nelle donne è meno attivo rispetto all’uomo, perché gli estrogeni femminili ne rallentano la funzione. L’alcol, dunque, rimane per un periodo di tempo più lungo all’interno del corpo ed è più facile che venga assorbito dall’organismo.

 Alcol in gravidanza: quali rischi?

Gli effetti negativi sul feto sono diretti: l’alcol passa la barriera placentare, quindi dalla madre arriva immediatamente al feto. L’alcol ha un effetto direttamente tossico e crea apoptosi, ovvero morte cellulare, colpendo elettivamente i neuroni e altri tipi di cellule del sistema nervoso. L’alcol agisce anche in maniera indiretta causando un danno placentare che può portare una serie di problemi diversi, fra cui il ritardo della crescita.

 Quali conseguenze sul feto?

I disturbi neonatali derivati dall’abuso di alcol sono eterogenei. Fra le situazioni più gravi ricordiamo la sindrome feto alcolica, ma ci sono casi molto più sfumati, che alla nascita è difficile ricondurre con sicurezza all’abuso di alcol. Spesso la diagnosi è difficile, a meno che non sia la madre ad ammettere di avere consumato alcolici durante la gravidanza.

 Alcol in gravidanza: è concesso in piccole quantità?

La questione è dibattuta, non esiste infatti una soglia minima entro la quale sia dimostrato che mamma e figlio non subiscono danni. Il messaggio che è importante trasmettere alle future mamme è quello di non assumere alcuna bevanda alcolica durante i mesi di gravidanza, nonché durante l’allattamento.

L’intervista è andata in onda su Salute88, canale 88 del digitale terrestre.

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perdite vaginali: bruciore e prurito

Molte donne lamentano spesso bruciore, prurito alla vagina, perdite liquide o semiliquide bianche, giallognole, verdastre a volte maleodoranti e purulente, dolore durante i rapporti sessuali fino a quadri piu’ gravi di ulcerazioni, vescicole.
Sono i sintomi classici della Vaginite, uno stato infiammatorio in fase attiva del tessuto vaginale che coinvolge frequentemente i genitali esterni per cui viene definita anche vulvovaginite.
E’una condizione molto comune, il 75% delle donne va incontro a vulvovaginite nel corso della vita, molte di esse raccontano anche più episodi durante l’anno.

Cause
Più frequenti sono le forme legate al contagio con varie specie di microrganismi:
Funghi come la Candida albicans (candidosi);
Batteri come la Gardnerella vaginalis (vaginosi);
Protozoi come il Trichomonas vaginalis;
Neisseria gonorrhoeae (gonorrea),
Bacterium coli,
Herpes simplex.

Alcuni forme di patologie sistemiche provocano ulcerazioni e aderenze vaginali (tifo, scarlattina, difterite). Gli stimoli chimici (reazioni allergiche, liquido seminale, detergenti troppo aggressivi) o stimoli fisici-meccanici (come il trauma che si crea con un rapporto sessuale, l’uso di profilattici, gli assorbenti interni, l’uso di indumenti troppo attillati) possono predisporre la mucosa alla comparsa di infezione. Sessualmente è possibile anche trasmettere in modo diretto il microrganismo. Frequenti sono le forme di vaginiti in menopausa per l’atrofia dei tessuti da calo degli estrogeni, forma che si può presentare anche dopo il parto e in gravidanza dove le modificazioni delle condizioni dei tessuti vaginali portano alla comparsa di infezioni irritative. L’uso prolungato di antibiotici altera la flora microbica vaginale causando un’ infezione opportunista. Alcuni agenti infettivi possono essere introdotti nella zona vulvo-vaginale da cattiva igiene; in particolare il Bacterium coli normalmente presente nelle feci può essere trasportato dall’ano alla vagina con una pulizia effettuata da dietro verso avanti. Una vaginite che viene trascurata o malcurata può portare ad una forma cronica, alcune di queste dannose per la capacità riproduttiva dell’apparato genitale femminile.

Prevenzione
Una corretta igiene intima aiuta a evitare le infezioni, questo include la corretta igiene delle mani durante la pulizia. Evitare di portare le infezioni anali a livello vaginale con una corretta igiene intima. Inoltre non bisogna usare prodotti aggressivi che possono danneggiare la flora batterica normalmente presente nella vagina e che aiuta a mantenere pulita la zona e a prevenire le infezioni. Il profilattico aiuta a prevenire le malattie trasmissibili sessualmente. Occorre evitare l’uso di indumenti intimi troppo stretti.

Diagnosi
I sintomi clinici orientano sulla diagnosi ma la diagnosi di certezza si ha analizzando le cellule contenute nei secreti prelevati dalla vagina, mediante tamponi vaginali, Pap Test (striscio vaginale) che permette altresì la prevenzione oncologica del tumore del collo dell’utero.

Terapia
La terapia è volta alla cura specifica dell’infezione in corso: somministrazione locale o generale di antibiotici o antimicotici. Alcune infezioni sono a trasmissione sessuale e dunque anche il partner deve essere sottoposto a trattamento per prevenire recidive. Nelle forme da reazione allergica può essere indicato l’uso di cortisone e antistaminici; Nelle vaginiti atrofiche causate da un ridotto apporto di estrogeni può essere indicata l’applicazione locale di sostanze ormonali e l’uso di un lubrificante vaginale idrosolubile per alleviare il dolore durante il coito.

Dr. Massimiliano Giardina
Ginecologo Ostetrico
Via Conca D’Oro 300, Roma
Tel.327.7929379 – 06.8102765
www.massimilianogiardina.com

PARTO INDOLORE: POSSIBILITA’ E LIMITI

Per procedere con sicurezza all’espletamento del parto in analgesia è necessario che la gestante si trovi in buone condizioni generali accertate tramite una scrupolosa visita anestesiologica e l’esecuzione di prove di laboratorio (elettrocardiogramma, ecografia, esami del sangue e delle urine). Devono essere state escluse anomalie statiche e dinamiche del canale del parto (per es. alterata motilità uterina) e malformazioni del bacino materno. Eventuali sproporzioni fra le dimensioni del bacino della madre e il feto devono essere attentamente valutate dall’ostetrico e dall’anestesista che sceglieranno la tecnica più adatta o la rinuncia al parto indolore. Un accertato stato di sofferenza fetale intrauterina impone l’astensione dal procedimento o la sua sospensione se già avviato.
L’organizzazione del reparto di maternità riveste notevole importanza ai fini della sicurezza della madre e del bambino durante l’esecuzione del parto indolore. Deve essere garantita la presenza continua dell’ostetrico e dell’anestesista la cui collaborazione ed affiatamento sono condizione imprescindibile per una attuazione routinaria del parto in analgesia. È parimenti indispensabile la sorveglianza strumentale continua delle fasi contrattili dell’utero e dell’attività cardiaca fetàle: ciò si ottiene per mezzo di apparecchi denominati cardiotocografi che registrano su nastro i valori di questi due parametri.
Un altro apparecchio, l’emogasanalizzatore, permette di controllare ripetutamente lo stato di ossigenazione e l’equilibrio metabolico del feto che sta per venire alla luce. Tale importante controllo strumentale permette di ridurre al minimo le possibili complicanze del parto indolore che sono sempre, se tempestivamente diagnosticate, ovviabili. Queste possono essere essenzialmente ricondotte a due ordini di fattori: un rallentamento delle fasi di espletamento del parto stesso e uno stato incipiente di sofferenza fetale. Tali evenienze, molto rare, rendono necessaria l’interruzione della tecnica di analgesia e un’estrazione più rapida del feto, se necessario anche con l’ausilio di strumenti quale la ventosa ostetrica o il forcipe.

Metodi di analgesia al parto
Farmacologici.
Sono attualmente a disposizione dell’anestesista diversi farmaci capaci di determinare un sufficiente stato di analgesia e sedazione materna senza ostacolare il normale decorso del travaglio.
Anestetici generali ad azione rapida: propanidide, alfadione, tiopentone, metoexithone, acido gammaidrossibutirrico, ketamina.
- Tranquillanti: diazepam
- Analgesici maggiori: petidina, fentanyl
- Anestetici per inalazione: metossiflurano, etrano, protossido d’azoto. L’uso di questi farmaci per via generale determino sempre un certo grado di obilamento della coscienza della partoriente.

Anestesia loro-regionale (locale).
Blocco periduale continuo segmentario, epidurale sacrale, pracervicale, blocco dei nervi pudenti, rachianestesia: tutte queste diverse tecniche consistono nell’interruzione funzionale con anestetici locali dei nervi o tronchi nervosi che conducono la sensibilità dell’utero, del perineo e del bassoaddome. Tali strutture vengono infiltrate con l’anestetico locale per mezzo di un sottile ago o di un cateterino introdotto in vicinanza di esse.
Un vantaggio considerevole di tali tecniche è il mantenimento della piena integrità della coscienza della partoriente pur permettendo un’ottima analgesia. È quindi resa possibile la più completa partecipazione, anche se emotiva, della partoriente alle vane fasi del parto a fronte di una assente o trascurabile influenza della metodica analgesica sulle funzioni vitali del neonato.
In conclusione possiamo affermare che i progressi compiuti dalla anestesiologia e dalla ostetricia anche per mezzo della tecnologia uniti a criteri di funzionalità dei reparti di maternità e alla fattiva collaborazione di anestesisti e ostetrici rendono oggi possibile partorire senza dolore e in sicurezza. Ciò rende realizzabile anche in questo campo uno degli obiettivi più importanti e spesso trascurati della medicina: il sollievo dal dolore.

Dotto. Massimo Franco
Anestesista

Pubblicazione dell’Ottobre 1982

QUANDO SOSPETTARE UNA VERA STERILITA’

Questo a livello sociopolitico ed in una simile visuale del problema delle coppie con zero figli risulta latentizzato, socializzato, manifesto.
Quante sono le coppie senza figli (pur desiderandone)? Perché? C’e la soluzione?
Capita sempre più di frequente al ginecologo di ricevere coppie con questo problema, anche se non sempre del tutto reale.
Si valuta in circa il 15% il numero di coppie che non riesce ad avere figli, e questa percentuale è forse in aumento in confronto ai tempi passati, anche se mancano dati obiettivi di confronto.
Certamente ragioni per un aumento della frequenza delle coppie sterili non mancano e sono per lo più immodificabili.
I famosi «ritmi della vita moderna» comportano matrimoni in età sempre più avanzata (e con fertilità ridotta, essendo essa massima intorno ai 18-20 anni) e «programmazione» di un figlio dopo intervalli anche lunghi, in relazione ai problemi del lavoro, delle abitazioni troppo ristrette (o introvabili), del desiderio di vivere spensieratamente la gioventù (che grazie al cielo non scompare né dopo i 20 anni né dopo i 30) senza pesanti responsabilità.
Ma quando si può dire sterile una unione? E perciò quando e come si deve intervenire per curare il problema?
La fertilità umana è, contrariamente a molte apparenze, piuttosto bassa, infima in confronto a quella di alcuni animali (un rapporto sessuale dà alla coniglia una possibilità di gravidanza superiore al 90%, alla donna di circa 8%) cosicché su 100 coppie fertili, dopo 6 mesi una gravidanza è in corso in poco più di 60 e in 90 dopo 12 mesi, mentre le 10 gravidanze mancanti saranno raggiunte spontaneamente solo nel secondo anno.
E’ pertanto giusto considerare sterile una coppia solo dopo due anni di tentativi
Questa affermazione scientificmente corretta, è per altro fuori della realtà quando le coppie in questione non più giovanissime (ed e il caso più frequente nella casistica di noi «sterilologhi») e mi sembra perciò corretto, previo colloquio chiarificatore, sottoporre ad alcuni esami relativi alla fertilità coppie prive di prole anche solo dopo 6-12 mesi; anzi il mio consiglio usuale, quando ho la opportunità di esporlo, è di inserire questi controlli nel novero degli esami prematrimoniali.
Si tratta peraltro di valutazioni del tutto innocue, economiche e facili: per l’uomo un esame del liquido seminale, per la donna il rilievo della temperatura basale e possibilmente, la contemporanea annotazione delle «perdite» mucose intermestruali secondo Billings.
Questi semplici rilievi sono spes­so in grado di dare una sufficiente valutazione per discriminare già casi in cui conviene semplicemente lasciar passare il tempo (ricordando che la «gravidanza è un risultato statistico» nella maggior parte dei casi, cioè senza certezza positiva o negativa) o passare ad una più accurata diagnosi e conseguente terapia, che devono peraltro essere sempre personalizzate ai problemi fisici della coppia ed ancor più alle problematiche psicologiche.
Nevrotizzare una sterilità, vera o presunta è sempre il miglior modo per non riuscire ad ottenere il figlio desiderato.

pubblicazione del 1985

IL COITO DOLOROSO: IL PUNTO SULLA DISPAREUNIA

Si era soliti distinguere scolasticamente una dispareunia esterna da una interna, e una primaria da una secondaria: attualmente si preferisce mantenere una più netta separazione tra dispareunia e vaginismo anche in considerazione del fatto che il vaginismo (contrazione spasmodica involontaria dei muscoli perineali) si innesta più spesso su personalità disturbate e che si verifica a prescindere dal fatto che la condizione negativa sia reale o immaginaria o che la donna ne sia più o meno consapevole. Per ciò che riguarda la dispareunia invece, se è vero da un lato che si ricercano e spesso si ritrovano una serie di fattori psicogeni corre­lati con i conflitti della paziente riguardanti la propria femminilità, il proprio partner, il proprio ruolo sociale ecc., d’altro canto molteplici osservazioni confermano che il dolore durante il rapporto è, nella maggioranza dei casi, dovuto a una lesione organica, magari difficilmente diagnosticabile, che acquisisce una diversa fenotipizzazione sintomatologica a seconda della personalità della donna, della sua sessualità, dei suoi conflitti.
Insomma, la causa organica, anche se non riconoscibile non può mai essere esclusa (Bocci & Coll.).
Se vogliamo esaminare tutte le cause organiche di dispareunia, possiamo affermare che non esiste una sola affezione pelviperineale che non sia in grado di provocare rapporti sessuali dolorosi: e non solo cause ginecologiche, ma anche disturbi di tipo gastroenterico, come il colon irritabile, la diverticolite, o di tipo urologico, come cistiti, calcolosi ureterali, ptosi re­nali ecc.
E’ quindi indispensabile ricercare accuratamente tali noxe patogene ed è stato più volte suggerito di completare lo studio clinico di queste pazienti in più sedute per poter confermare le prime impressioni. Si ricordi infine che anche in assenza di ogni più piccolo reperto patologico, non si può non tenere conto che la maggior parte degli Autori sono concordi nell’affermare che i disturbi circolatori, specie la congestione passiva, sono fattori importanti nella dispareunia e nel dolore pelvico cronico. La congestione sanguigna dell’utero aumenta la tensione delle pareti uterine ed è in grado di determinare dolore.
La tendenza a ricercare una causa psicologica quale spiegazione della dispareunia si basa appunto sull’assenza di cause organiche ben evidenziabili e sugli scarsi risultati ottenuti dall’esame clinico di queste pazienti: ma quando non vi sia alcun disordine della personalità o un comportamento particolarmen­te nevrotico è più probabile che la causa sia organica, anche se al momento il meccanismo del dolore non è ancora chiarito.
Insomma se da un lato è inutile colpevolizzare la paziente dicendo che si tratta soltanto di un sintomo nervoso, è altrettanto inutile spaventarla con strane dia­gnosi di lesioni o gravi infiammazioni. La genesi multifattoriale della dispareunia ci impone quindi di affrontare il problema da più ango­lazioni in un lavoro di equipe. Spetta al ginecologo ricercare e rimuovere le cause organiche della dispareunia, spetta alla sessuologia clinica rimuovere gli ostacoli non strettamente organici che impediscono una piena realizzazione di una vita sessuale soddisfacente e gratificante.

Vittorio Azzarini -ginecologo
pubblicazione del 1982

SESSO SICURO

Non sempre il nostro agire risponde ad una logica di scelta razionale così come spesso diamo più ascolto all’altro che a noi stessi; d’altronde anche i valori culturali cambiano e noi con loro, così come a volte capita che ci si metta in contrapposizione, in posizione di sfida di questi. Tutto ciò ci riporta ad una condizione di rischio e comunque di disagio psicofisico. Pensiamo infatti che i rischi connessi all’agire sessuale non siano solo quelli relativi ad un concepimento indesiderato o al contrarre una malattia sessualmente trasmessa, ma che molto danno possono fare all’individuo anche quei rapporti sessuali nei quali la componente affettiva e quella fisica siano troppo separate. Il rischio è infatti quello di aderire ad una visione della vita troppo meccanicistica, di freddo uso e consumo di sé e dell’altro. Questo non può non avere ricadute sullo sviluppo emozionale dei giovani già fin troppo preda di un ritmo di vita frenetico, dominato dalla logica della competizione, della prevaricazione, del consumismo, dell’individualismo sfrenato. Non può esserci una sessualità serena al di fuori di un rapporto di conoscenza di sé e dell’altro, di rispetto reciproco di tale conoscenza. Nella sessualità umana gli aspetti del piacere, della relazione e della procreazione si intrecciano tra loro in modo inestricabile. Ciò nonostante è possibile porsi di fronte all’atto sessuale in modo consapevole di quelli che sono i bisogni di ciascuno, di quello che sono i possibili passi in una posizione di rispetto dei valori e delle esigenze connesse alle varie fasi della vita che ciascuno sta attraversando. Per controllare la valenza procreativa della sessualità già da millenni l’uomo utilizza metodi contraccettivi più o meno validi. La ricerca scientifica in questo campo ha dato risultati molto validi sul piano dell’efficacia contracettiva al punto che oggi la gravidanza non può essere più un evento ineluttabile da accettare passivamente. Ciò nonostante spesso capita che la gravidanza sia inconsciamente ricercata come tentativo di colmare un vuoto esistenziale o il modo per confermare una propria capacità procreativa; a volte diventa il modo per affermare il proprio ingresso nel mondo “adulto”. Spesso si respira una cultura diffusa che vede in modo separato e diverso il momento dell’agito sessuale, lo stato di gravidanza da quello che da essa consegue: il figlio. Si hanno percezioni distinte e non sovrapponibili all’interno di un continuum naturalmente dato dell’atto sessuale a sé, del momento del concepimento, del percorso gestazionale e dell’esito di tale processo, la nascita di un nuovo individuo diverso da sé. Per altro è ancora molto radicata la credenza che al primo rapporto non può succedere nulla e soprattutto si tende a pensare che a noi non può succedere. Questo è tanto più valido quanto più siamo giovani e “invincibili”. Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per le malattie sessualmente trasmesse (MST) che sicuramente sono legate anche ad una condizioni di vita particolare, ma possono comunque essere contratte già nel corso dei primi rapporti, quando ancora l’agito sessuale non è inserito all’interno di una scelta di vita a due, ma risponde più al bisogno di conoscere se stessi anche in termini di potenzialità seduttive. Riteniamo che la conoscenza rivesta una funzione determinante nell’orientare le esperienze verso canali più sicuri e rispettosi di sé e dell’altro. Conoscere i metodi contraccettivi e mettere in atto strategie per prevenire le malattie sessualmente trasmesse può essere di aiuto nel far vivere la sessualità più sicura e consapevole.
Come prevenire la gravidanza
Analizziamo quindi le metodiche di prevenzione di una gravidanza, cioè quali caratteristiche devono avere i contraccettivi per essere accettabili il più possibile, pur consapevoli che non basta il sapere per orientare l’agire. La contraccezione, che ha lo scopo di controllare la fecondità evitando il concepimento, deve possedere alcuni requisiti fondamentali: – essere innocua, cioè non deve arrecare danni all’organismo – essere efficace, cioè prevenire in maniera sicura il concepimento – essere accettabile nel senso di una facilità d’uso senza interferenza con l’attività sessuale e i valori ad essa connessi – essere reversibile e quindi in grado di ripristinare la fecondità alla sospensione del trattamento. La scelta del metodo più idoneo dovrebbe essere il frutto di una decisione della coppia, dopo una attenta valutazione dei metodi che la scienza ha messo a disposizione negli anni, dei loro vantaggi e degli eventuali inconvenienti, ricorrendo comunque sempre al consiglio del medico. La contraccezione interferisce in diverse maniere sui vari momenti della fecondazione: impedendo che lo spermatozoo venga in contatto con l’ovulo, contrastando i fattori che ne assicurano l’annidamento una volta fecondato, agendo a livello ormonale sulla maturazione del follicolo nell’ovaio o in maniera più naturale cercando di capire qual’é il periodo fertile del ciclo. Si parlerà cioé di metodi contraccettivi ormonali, meccanici, di barriera, comportamentali e naturali. Uno dei requisiti fondamentali di un contracettivo, come abbiamo già detto, é l’efficacia che in maniera matematica é stata espressa dagli studiosi con un indice numerico (indice di Pearl): più basso é questo indice più il metodo é sicuro,cioé efficace. In realtà questo numero indica il numero di gravidanze indesiderate rilevate su 100 donne che hanno utilizzato quel metodo per 12 mesi.Quindi non risponde a verità assoluta. Nella tabella successiva sono riportati gli indici di insuccesso per i principali metodi contraccettivi.

nessun metodo
55-65
ogino-knaus
26-40
billings
15-30
coito interrotto
10-18
temperatura basale
8-15
spermicidi
7-15
profilattico
7-15
diaframma
5-14
spirale
1-3
pillola
0.02-0.8

Dalla tabella si può vedere come, non usando alcun metodo contraccettivo, si ha un alto indice di Pearl, mentre se si usa la pillola questo é molto basso. Notevoli passi in avanti sono stati compiuti dagli anni 60 ad oggi in campo contraccettivo e molti debbono ancora essere fatti per una contraccezione anche al “maschile”, ma non é stato ancora scoperto il contraccettivo infallibile. Prendiamoli comunque in considerazione un po’ tutti singolarmente:

METODI ORMONALI

Pillola:
E’ sicuramente il metodo contraccettivo più efficace per prevenire le gravidanze non desiderate, ha comunque un piccolissimo margine di fallimento che può essere legato ad un uso scorretto (per esempio le dimenticanze) e/o per l’assunzione contemporanea di farmaci che ne riducono l’efficacia. E’ però proprio la pillola il metodo che é stato più studiato e che ha subìto più trasformazioni, passando da confezioni caratteristiche da alti dosaggi ormonali a quelle di ultima generazione, molto più simili come dosaggio a quello che naturalmente é prodotto durante il ciclo mestruale di una donna (per es. le pillole trifasiche) o a basso dosaggio di estrogeni o con progestinici differenti rispetto al passato. Tutte queste novità hanno permesso una migliore tollerabilità in termini di effetti collaterali e indirettamente hanno contribuito ad avvicinare a questa metodica un numero maggiore di donne rispetto agli anni precedenti. L’utilizzo di preparati a basso dosaggio ha permesso anche di rivedere le indicazioni all’uso della pillola da parte delle giovani e delle meno giovani (in passato era sconsigliata la pillola alle donne sopra i 35 anni come anche alle giovanissime). Naturalmente per la pillola bisogna escludere patologie che ne controindichino l’uso, per cui alcuni accertamenti medici sono necessari prima della sua prescrizione, come pure durante il suo utilizzo. 
Minipillola
: rispetto alla pillola classica (composta da due sostanze: estrogeni e progestinici), la minipillola é costituita unicamente da un progestinico ed ha una minore efficacia contraccettiva (indice di Pearl 0.9 e 3), perché non inibisce l’ovulazione, ma esplica la sua azione agendo prevalentemente a livello del muco cervicale, in modo da renderlo ostile alla penetrazione degli spermatozoi. Spesso é accompagnata dalla comparsa di irregolarità mestruali e perdite ematiche intermestruali durante la sua assunzione che ne limitano l’uso oppure comportano un basso indice di continuazione. Pur non esistendo controindicazioni assolute per questo tipo di contraccezione (che può essere una valida alternativa in caso di controindicazioni all’uso della pillola classica) non é comunque un metodo utilizzato per la difficoltà a volte di reperirla e per le perdite ematiche intermestruali di cui si diceva.
Pillola “del giorno dopo”: Con questo termine si intende un preparato ormonale (pillola od altri composti) che é usato per l’intercezione post coitale; può succedere che ci siano rapporti sessuali occasionali e non previsti senza l’uso di alcun metodo contraccettivo. Il rischio di insorgenza di una gravidanza per un rapporto sporadico é stato calcolato tra il 2% ed il 14%. Irrigazioni con soluzioni chimiche o con svariate altre sostanze sono inutili perché già dopo pochi secondi dall’eiaculazione in vagina gli spermatozoi sono presenti nel muco cervicale e quindi sono irraggiungibili ed inattaccabili da qualsiasi sostanza chimica introdotta in vagina. Vari composti sono stati utilizzati come contraccettivi post coitali con variabili risultati.L’intercezione post coitale deve comunque essere considerata una metodica contraccettiva di emergenza e ristretta all’intervallo di tempo compreso tra l’ovulazione e l’annidamento; inoltre bisogna ricordare che, per ottenere l’effetto voluto, devono essere utilizzati alti dosaggi ormonali e quindi la possibilità di effetti collaterali é alta, senza per contro che ci sia una sicurezza assoluta del risultato. L’indice di Pearl é variabile a seconda del preparato usato.

METODI MECCANICI

Dopo la pillola, come sicurezza cotraccettiva, si colloca lo IUD (spirale) dispositivo che viene inserito all’interno dell’utero impedendo così l’annidamento di un ovulo eventualmente fecondato. Anche per la spirale sono stati fatti passi importanti per migliorarne la tollerabilità e la sicurezza, ma questo non é un metodo indicato per tutte le donne. Per inserire lo IUD occorre infatti una normalità dell’apparato ginecologico (per esempio non é indicato in caso di malformazione dell’utero o di un suo iposviluppo o in presenza di fibromatosi). Nelle donne che non hanno mai partorito il dispositivo potrebbe non essere tollerato, potrebbe causare difficoltà all’inserimento e determinare patologie infiammatorie della pelvi. Tutte queste ragioni ne hanno limitato, rispetto al passato, il suo utilizzo. Gli ultimi dispositivi introdotti sul mercato hanno cercato di ridurre al massimo gli effetti negativi di questa metodica oltre ad aumentare la durate contraccettiva (fino a cinque anni).

METODI DI BARRIERA

Al terzo posto come sicurezza contraccettiva si trovano i metodi di barriera (diaframma e preservativo). Questi metodi hanno il vantaggio di essere più utili dei precedenti nella prevenzione anche delle malattie sessualmente trasmesse (MST).
Diaframma: é una calotta di materiale plastico che viene inserita in vagina prima di un rapporto e serve per impedire che gli spermatozoi raggiungano l’ovulo. Oltre ad essere una barriera meccanica, con il diaframma si consiglia l’utilizzo di creme spermicide, le quali svolgono una sorta di barriera chimica nei confronti degli spermatozoi, e ne aumentano la sicurezza come contraccettivo. Inoltre alcune sostanze chimiche come il Nonoxinolo 9, contenuto negli spermicidi, sembrano avere una notevole efficacia anche contro i virus, come nel caso dell’HIV che determina l’AIDS. Quest’ultimo aspetto ha contribuito a rivalutare l’utilizzo di questa metodica che rispetto al preservativo presenta alcuni vantaggi: é costituito da materiale più “robusto”, nel senso che é più difficile una sua rottura, può essere inserito in qualunque momento prima di un rapporto (anche ore) e può essere riutilizzato varie volte se ben conservato. Per il suo utilizzo é necessaria una visita medica e un tempo adeguato per l’addestramento all’uso.
Profilattico o preservativo: é tra i metodi sopracitati l’unico di pertinenza al sesso maschile. E’ uno dei metodi anticoncezionali più antichi. Era usato dagli Egizi, ma probabilmente solo a scopo decorativo; più tardi attorno al 1500 il suo uso fu descritto quale mezzo utile a prevenire le malattie veneree allora molto diffuse e difficilmente curabili. Nonostante sia ancora oggi il metodo consigliato per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, non viene ampiamente utilizzato. Probabilmente il suo impiego viene collegato all’amore mercenario e risente comunque di troppe pregiudizievoli critiche. Non necessita di particolari accertamenti o istruzioni d’uso per essere utilizzato eccetto la raccomandazione di essere ben conservato (lontano da fonti di calore che potrebbero alterarlo) e maneggiato con cura per prevenire alterazioni che potrebbero causarne la rottura.

METODI CHIMICI

Questa ampia categoria di contraccettivi comprende creme, gelatine, schiume, ovuli, films solubili, ecc. che hanno lo scopo di immobilizzare gli spermatozoi il più rapidamente possibile dopo la loro eiaculazione in vagina e di ostacolarne il passaggio a livello del muco cervicale. Queste sostanze devono essere introdotte in vagina all’inizio del rapporto sessuale (15 – 30 minuti prima) e la loro applicazione deve essere ripetuta ad ogni successivo rapporto in quanto la loro efficacia é limitata ad un periodo di 30 – 60 minuti. Anche se gli effetti collaterali sono rari, a parte alcune forme di allergia, ed i vantaggi sono rappresentati da un basso costo ed un libero acquisto, gli spermicidi sono insufficienti se usati da soli sul piano dell’efficacia, rispetto al solo diaframma o profilattico. Queste metodiche dovrebbero servire ad aumentare l’efficacia di altri sistemi contraccettivi, quali il diaframma, lo IUD o il profilattico.

METODI NATURALI

I metodi naturali si basano sull’individuazione del momento dell’ovulazione, per cui richiedono una preventiva determinazione del periodo fecondo del ciclo per una astensione dai rapporti sessuali in quel periodo.
Ogino-Knaus: é stato sviluppato e proposto da due ricercatori che hanno considerato come “sicuro” ai fini contraccettivi astensione dai rapporti sessuali tre giorni prima e un giorno dopo l’ovulazione, che avviene sempre quattordici giorni prima delle mestruazioni. Questo calcolo teorico dovrebbe essere fatto analizzando in un arco di dodici mesi il ciclo mestruale più corto e quello più lungo onde farne una media più attendibile. Molti fattori esterni perciò possono far variare il giorno dell’ovulazione e molte donne non hanno cicli regolari, per cui questo calcolo é risultato empirico e quindi poco sicuro.
Metodo Billing: é detto anche metodo del muco cervicale. Si basa sull’analisi del muco cervicale che viene prodotto sotto lo stimolo degli estrogeni. Questo durante l’ovulazione, si modifica diventando più fluido e filante per facilitare il cammino degli spermatozoi attraverso la cervice. L’ultimo giorno in cui il muco mantiene queste caratteristiche corrisponde al periodo di massima fertilità (“giorno del picco”). Come periodo a rischio si considera l’arco di tempo compreso tra l’inizio della secrezione di muco ed i quattro giorni seguenti “il giorno del picco”. I limiti della metodica sono dati dalla soggettiva capacità di ogni donna di valutare le variazioni di muco.
Temperatura basale: si basa sul rilevamento della temperatura di base misurata tutte le mattine a riposo. Dopo l’ovulazione si assiste infatti ad un innalzamento della temperatura di base misurata tutte le mattine a riposo. Dopo l’ovulazione si assiste infatti ad un innalzamento della temperatura corporea di circa mezzo grado rispetto ai rilevamenti precedenti. Dopo tre giorni da questo innalzamento della temperatura non dovrebbero esserci più rischi di incorrere in una gravidanza. I limiti di questo rilevamento sono dati dalle ampie variabilità individuali di questo parametro oltre che da possibili interferenze con stati febbrili. Oggigiorno queste metodiche sono comprese in quella che viene chiamata regolazione naturale della fertilità con il metodo sintotermico. Questa metodica si propone di dare alla donna la capacità di conoscere le modificazioni che avvengono nel suo organismo durante il ciclo mestruale, riconoscendo qual é il periodo fertile del suo ciclo per permetterle di adottare precauzioni solo nei periodi fertili. In questa maniera si sono notevolmente ridotti i rischi di una gravidanza non desiderata nelle coppie che si attengono correttamente agli insegnamenti di personale appositamente preparato.

METODI COMPORTAMENTALI

Coito interrotto: l’efficacia di questa metodica dipende esclusivamente dal partner maschile. Spesso questa metodica é quella usata per prima dalla coppia, anche se é caratterizzata da un alto livello di fallimento. Gli spermatozoi infatti, possono venire emessi dall’uretra maschile prima dell’eiaculazione ed indipendentemente dalla sua consapevolezza. Inoltre la retrazione del membro maschile dalla vagina deve essere tempestiva, in modo che il liquido non sia depositato troppo vicino all’orifizio vaginale e, in caso di ripetizione del rapporto a breve distanza, bisogna ricordare che nell’uretra maschile possono trovarsi ancora spermatozoi della precedente eiaculazione. L’impiego di questa metodica pertanto, per dare risultati accettabili richiede un notevole controllo da parte del partner maschile.

Malattie a trasmissione sessuale
Per tornare al tema generale della pericolosità insita in un rapporto sessuale, non si può trascurare di parlare ancora della malattie a trasmissione sessuale. Per quanto ci sia già il rischio di contrarle nel corso di un unico rapporto sessuale, anche se fosse il primo, bisogna puntualizzare che sono in larga parte malattie curabili e, se la diagnosi é tempestiva, non danno luogo a sequele a distanza. Si consiglia quindi, in caso di secrezioni anomale dai genitali, ulcerazioni o piccole escrescenze sull’apparato genitale o anche solo quando si hanno dei dubbi sui rapporti sessuali avuti, di ricorrere ad una consulenza con il proprio medico o con lo specialista. Il medico é senz’altro in grado di fare diagnosi o suggerire gli accertamenti indispensabili per farla e consigliare poi la terapia più opportuna. In ogni modo é opportuno ricordare che le malattie sessualmente trasmesse riguardano entrambi i partner ed é quindi la coppia che deve essere trattata per una eradicazione della malattia impedendone così l’ulteriore diffusione. Le uniche malattie per le quali la guarigione é in dubbio ed a maggior rischio di evoluzione sono quelle a trasmissione virale. Tra queste l’AIDS é sicuramente quella più conosciuta, ma per la quale non esiste ancora un rimedio efficace. Quindi l’unica maniera per evitarla consiste nella prevenzione dei comportamenti a rischio. Concludendo le metodiche contracettive ed i comportamenti sessuali non a rischio sono sicuramente in grado di far vivere la sessualità in una maniera più tranquilla e serena all’interno delle coppie, tenendo in considerazione le esigenze di ognuno e salvaguardando la propria integrità, anche nel rispetto delle proprie credenze religiose. Qualora si volesse proprio rischiare, almeno l’uso del profilattico dovrebbe essere preso in considerazione. In ogni modo esistono strutture sanitarie, i Consultori Familiari, dove é possibile effettuare, con l’aiuto del medico, la scelta del contracettivo più idoneo per la coppia o avere chiarimenti in merito alle malattie sessualmente trasmesse. Con la consulenza dello psicologo inoltre, é possibile sostenere l’individuo nell’acquisizione di un comportamento sessualmente consapevole e rispettoso di sé e dell’altro. Inoltre, per i giovani che sono forse le persone più a rischio sia di incorrere in gravidanze premature o, per via della più frequente occasionalità dei rapporti, di contrarre malattie a trasmissione sessuale, esiste in alcune realtà, un servizio specifico, il Consultorio Giovani, che può essere di aiuto per queste problematiche. Gli operatori di questi servizi incontrano i ragazzi anche nelle scuole e nei luoghi di naturale aggregazione, per trasmettere loro conoscenze mirate e favorire il confronto sui temi della sessualità e del rapporto tra i sessi al fine di divulgare una cultura del rispetto di sé e dell’altro.

Enzo SAVIOTTI -ginecologo
Consultorio Giovani A. USL di Ravenna
pubblicazione del 1999

L’ESAME DEL MUCO CERVICALE

Nel periodo ovulatorio, a causa dell’elevata concentrazione degli estrogeni circolanti, la secrezione delle ghiandole cervicale uteri ne aumenta notevolmente e il muco che queste secernono diventa poco vischioso, filante, solo nel periodo ovulatorio si può osservare il fenomeno della cristallizzazione del muco cervicale, rappresentato da un “aspetto a foglia di felce” che assume il muco quanto é disteso su un vetrino da laboratorio e, dopo essicazione, viene esaminato al microscopio. Durante il periodo ovulatorio il muco diventa più abbondante, più fluido, meno vischioso tutto ciò ha la funzione di facilitare la penetrazione degli spermatozoi attraverso il muco stesso e la loro risalita attraverso l’utero e le tube per fecondare l ‘ovocita femminile. Durante il periodo ovulatorio il muco cervicale fuoriesce dai genitali esterni. Questo, insieme alle variazioni della temperatura basale corporea e del monitoraggio ecografico dei follicoli ovarici, permette alle donne di venire a conoscenza del loro periodo fertile e di poter praticare un metodo contraccettivo naturale basato sulla astensione dai rapporti sessuali in questo periodo. Questo metodo contraccettivo presenta vantaggi (assenza di costi e assenza di effetti collaterali negativi) e svantaggi (mancanza di una sicurezza totale).
Questo metodo presuppone un ciclo femminile molto regolare, di 28 giorni. Purtroppo molte donne hanno cicli mestruali molto irregolari più lunghi o più corti di 28 giorni.
Il muco cervicale forma un tappo con funzione di difesa contro i germi che, localizzati nella vagina, potrebbero risalire nella cavità uterina .
Il muco tuttavia può diventare infetto nei processi infiammatori del collo uterino e presentare caratteristiche alterate. G l i agenti infettivi più comuni sono il gonococco, il trichomonas, candida albicans e altri germi banali. L’esame del muco cervicale é molto importante nella diagnosi delle infezioni vaginali e uterine. Per poter attuare una corretta terapia bisogna eseguire un tampone vaginale con prelievo delle secrezioni e del muco cervicale. Una piccola parte del materiale prelevato con il tampone vaginale viene strisciato e fissato su un vetrino da laboratorio; il vetrino viene colorato con vari metodi (colorazione gram, o con blu di metilene) e viene osservato al microscopio. Il materiale prelevato con il tampone vaginale viene seminato in terreni colturali e in caso di crescita di germi, viene eseguito un antibiogramma (cioé viene ricercato e testato l’antibiotico più adatto per quel tipo di germe).
La terapia consiste nella somministrazione di antibiotici e/o antimicotici per via locale e per via generale. In alcuni casi é utile estendere la terapia anche al partner, anche in assenza di sintomi clinici, perché spesso queste patologie sono silenti. L’esame del muco cervicale é anche molto importante nella diagnostica dell’infertilità di coppia. Le caratteristiche quantitative e qualitative del muco cervicale cambiano a seconda del periodo del ciclo mestruale.
La quantità del muco cervicale aumenta molto nel periodo periovulatorio (12°-15° giorno del ciclo), diminuisce nella fase postovulatorio e nella fase premestruale. L’esame del muco nel periodo periovulatorio valuta alcune delle principali caratteristiche:
l) la quantità: normalmente é aumentata
2) la viscosità: é diminuita
3) il pH: diventa leggermente alcalino
4) il muco strisciato su un vetrino da laboratorio, lasciato essiccare e osservato al microscopio, presenta un aspetto a forma di foglia di felce.
Sono state stabilite tabelle con vari punteggi inerenti ai quattro punti sopracitati. In base a questi punteggi il muco cervicale può venire definito: ottimo, buono, favorevole, sfavorevole riguardo alla penetrazione degli spermatozoi. Il muco può essere scarso e di scadente qualità: in questi casi per migliorarlo e normalizzarlo si usano terapie a base di estrogeni dal 3° al 9° giorno del ciclo. Il muco può presentare caratteristiche alterate anche perché infetto: in questo caso, come già detto sopra, va instaurata una adeguata terapia antibiotica.
Il “post-coital test” (P.C.T .= test post coitale) é un test molto importante per la diagnosi di infertilità di coppia: studia la interazione tra gli spermatozoi e il muco cervicale, una corretta esecuzione del test prevede alcune avvertenze:
l) test di penetrazione in vitro
2) test di penetrazione su vetrino.
Il primo test consiste nell’esaminare al microscopio la capacità di penetrazione degli spermatozoi attraverso una colonna contenente muco cervicale situata dentro un capillare (un sottilissimo tubicino di vetro). Il secondo test consiste nel porre a contatto su un vetrino da laboratorio una goccia di muco cervicale e una goccia di liquido seminale: si coprono le due gocce con un vetrino copri oggetto e si esamina il vetrino al microscopio; dopo 15 minuti si contano gli spermatozoi penetrati nel muco e validamente mobili.
Il risultato negativo o sfavorevole del P.C.T. e dei test in vitro può essere attribuito a cause cervicali: il muco può essere scarso quantitativamente e scadente qualitativamente, ciò può essere dovuto sia a fattori infettivi sia a fattori ormonali, come già sopra menzionato.
Cause seminali: in alcuni casi abbiamo un P.C.T. negativo in presenza di muco cervicale normale e con spermatozoi assenti o scarsi e poco mobili con mobilità non valida, non progressiva. In questi casi bisogna pensare ad una infertilità maschile o ad una causa di infertilità immunologica. In questi casi può trattarsi di cause seminali: azoospermia (assenza totale di spermatozoi nel liquido seminale), oligoastenospermia (spermatozoi scarsi e poco mobili).
Quando siamo in presenza di un P.C.T. con risultato negativo pur avendo un muco cervicale normale e un liquido seminale con parametri normali, dobbiamo pensare ad una causa immunologica di infertilità.
La causa immunologica di infertilità consiste nella presenza di anticorpi antispermatozoi. Sono particelle che aderiscono agli spermatozoi impedendo la loro mobilità efficace e quindi la loro progressione attraverso l’utero e le tube. Spesso gli anticorpi, localizzati sia sulla testa sia sulla coda degli spermatozoi, causano delle agglutinazioni (sono piccoli ammassi di spermatozoi).
Gli anticorpi antispermatozoi possono essere presenti nella donna nel muco cervicale e nel sangue; a volte questi anticorpi non sono presenti nella donna, ma nell’uomo sia nel liquido seminale, sia nel sangue; in questo caso si parla di autoanticorpi. In questi casi con particolari tecniche é possibile evidenziare gli anticorpi e procedere alle idonee terapie.

Luciana CASTAGNOZZI – androloga
pubblicazione del 2001

QUANDO LA COPPIA SI RIVOLGE AL GINECOLOGO

Ecco perché nel titolo si fa riferimento alla coppia; queste infezioni, infatti, riguardano spesso entrambi i partners, per cui sempre più frequentemente é il ginecologo lo specialista di riferimento in questi casi.
In ogni caso, si tratta di malattie molto diffuse ma anche facilmente aggredibili sul piano terapeutico e la cui prevenzione dipende molto dalle norme igieniche e dai controlli medici periodici che ognuno di noi deve o dovrebbe fare.
Per maggiore chiarezza espositiva sarò necessariamente schematico.
INFEZIONI DA MICETI (MICOSI)
Si tratta di infezioni molto diffuse, tanto che si considera che il 75% delle donne adulte va incontro almeno una volta durante la vita ad un’infezione di questo tipo. Non tutti i casi di micosi vulvovaginaIe sono correlate ai rapporti sessuali, infatti si calcola che soltanto nel 50-60% dei casi esse riconoscano una tale origine: in questo caso, abbastanza frequentemente é coinvolto anche il partner che é
bene sia, dunque esaminato. In circa il 90% dei casi l’agente causale più spesso coinvolto é laCandida albicans che si può considerare fondamentalmente un commensale dell’ambiente vaginale (cioè vi può soggiornare normalmente) ma che, in condizioni di variazioni dell’ambiente vaginale a causa di vari fattori (infettivi, ormonali, immunitari, farmacologici), può espletare la sua azione patogena dando luogo ad un quadro clinico abbastanza caratteristico.
La paziente incomincia ad avvertire – talvolta in modo anche repentino – prurito vulvare, bruciori, vulvovaginiti associati in genere a dispareunia (cioè fastidio doloroso in occasione di rapporti sessuali) associati in genere, nei casi caratteristici, a perdite vaginali bianche, dense, inodori, di aspetto che ricorda la ricotta, piuttosto abbondanti – anche se non sempre il quadro clinico é così chiaro e completo.
Anche il partner, se interessato, può presentare arrossamento e prurito localizzato al glande, alla corona del glande, al prepuzio; a volte, si può osservare la presenza di desquamazione sul glande e la comparsa di una modesta secrezione biancastra intorno ad esso.
La terapia consiste nell’uso di farmaci ad azione antimicotica che é opportuno somministrare, oltre che localmente (creme, ovuli, irrigazioni), ance per via orale (ad esempio il traconazolo) perché questo consente di “bonificare” soprattutto l’intestino che rappresenta una fonte di inquinamento molto importante. Infatti é molto utile, specie nei casi non rari di ricorrenze, cercare di ripristinare a livello intestinale e vaginale la flora normale – saprofita – che é quella che garantisce un’adeguata protezione.
Quindi anche l’alimentazione ha la sua importanza: mangiare, ad esempio, molto yogurt senza dubbio aiuta ma occorrerebbe assumerne molto nell’arco della giornata, per cui si preferisce associare la somministrazione di fermenti lattici e di vitamine del gruppo B.
Infine, riguardo al partner si dovrà valutare caso per caso la necessità di trattarlo o meno.
INFEZIONI DA PROTOZOI
Ci si riferisce pressoché esclusivamente al Trichomonas vaginalis che rappresenta l’agente infettivo non virale a trasmissione sessuale più diffuso nel mondo, anche se in Italia, negli ultimi dieci anni, si é verificata una progressiva riduzione della sua frequenza. Esso si può trovare sia nel tratto genitourinario della donna che in quello dell’uomo, anche se nel 50% circa dei casi può essere assolutamente asintomatico. Quando vi é invece sintomatologia. questa é rappresentata nella donna da perdite vaginali abbondanti, maleodoranti, schiumose, giallo­verdastre, bruciori e prurito, talvolta dispareunia ed eritema vulvo-vaginale. Nell’uomo, ma più raramente, può dar luogo ad uretriti e prostatiti. E’ importante identificarlo durante la gravidanza (tramite l’esecuzione di periodici tamponi vaginali) data l’associazione che é stata manifestata con la rottura prematura delle membrane, parto pretermine e basso peso alla nascita.

La terapia: è possibile trattare abbastanza facilmente i casi di triconominasi tramite il ricorso a farmaci specifici (5nitrimidazoli) che possono essere somministrati sia oralmente che localmente.
INFEZIONI DA BATTERI
Si tratta do un gruppo mollo vasto di infezioni dovute a diverse specie di batteri tanto che, per quel che riguarda la donna, si é coniato in questi ultimi anni un neologismo scientifico che indica appunto questo ampio capitolo: VAGINOSI: In quest’ambito, mi limiterò a ricordare soltanto quei quadri di maggiore importanza clinica, proprio perché più diffusi.
GARDINELLA VAGINALIS
Si tratta di un bastoncello anaerobio che spesso agisce in associazione con altri anaerobi potenzialmente patogeni. La vaginosi da Gardinerella può colpire donne di tutte le età ma prevalentemente quelle in età fertile (per cui si ipotizza anche un ruolo degli ormoni sessuali); l’incidenza aumenta notevolmente in donne con numerosi partners e nelle portatrici di spirale e, frequentemente, colpisce anche l’uomo seppure con quadri clinici molto più sfumati.
La vaginite da G.V. si manifesta, nei casi più tipici, con modesti pruriti e bruciori vulvo-vaginali accompagnati da perdite vaginali spesso abbondanti, di colore grigiastro e di odore caratteristico (che la donna ben avverte) e che é stato paragonato a quello del pesce in putrefazione, sfruttabile a fini diagnostici: infatti, basta aggiungere al secreto raccolto su vetrino qualche goccia di idrossido di potassio (esistono soluzioni pronte che il ginecologo ha sicuramente a disposizione) per aumentarne l’intensità e porre quindi facilmente diagnosi.
Dial punto di vista terapeutico può essere utile trattare congiuntamente anche il partner, sia per via locale che generale.
CHLAMYDIA TRACHOMATIS
E’ un batterio Gram-negativo che mostra un particolare topismo (cioè una specificità) per le cellule cilindriche e metapalstiche del collo uterino – e, in particolare, del canale cervicale – ed ha una caratteristica molto tipica, cioè quella di essere un parassita intracellulare obbligato, rendendo così non agevole la sua identificazione.
La trasmissione avviene sicuramente per via sessuale tranne i casi di contagio da madre a figlio durante il passaggio attraverso il canale del parto. Tale patologia può essere più frequentemente associata all’uso di spirale, alla molteplicità dei partners (specie se affetti da uretrite), alla presenza di aree di ectopia sul collo uterino (cioè quelle zone disepitelizzate comunemente ed erroneamente denominate “piaghette”).
L’infezione può decorrere in modo assolutamente silente sul piano clinico – di qui la necessità di controlli periodici ogni anno o, addirittura, ogni sei mesi nelle condizioni sopra descritte – altre volte, invece, si manifesta con perdite vaginali di aspetto purulento o mucopurolento provenienti dal canale cervicale, spesse e di colore giallastro e, talvolta, con una sintomatologia uretritica con minzione frequente e fastidiosa. Anche nell’uomo la Chlamydia può dar luogo a quadri clinici, talvolta molto seri e di non facile e immediata risoluzione: uretriti, prostatiti, epidimiti. Anche le conseguenze a distanza non debbono essere sottovalutate; tra queste, per brevità di spazio, ricorderò il ruolo della C.T. nelle flogosi genitali alte (la cosiddetta malattia infiammatoria pelvica o PID) e nel determinismo della correlata sterilità da fattore meccanico, in seguito agli esiti di tipo cicatriziale di salpingiti (flogosi delle tube su base, appunto, infettiva).
MYCOPLASMI 
Li cito qui, nelle infezioni batteriche, anche se, in realtà, si tratta di piccoli microrganismi sprovvisti di parete cellulare e, quindi, con uno spiccato polimorfismo, Li ricordo molto brevemente soprattutto per la loro associazione con la PID – di cui sopra – e, quidi, con la possibile conseguenza di sterilità femminile ma, ancor di più, con la sterilità maschile data la loro possibilità di colonizzare l’uretra maschile e, a ritroso, le vie seminali. Tuttavia, i mycoplasmi sono sensibili agli antibiotici (tetracicline, eritromicina) sia per via locale che per via generale, consentendo una loro totale eradicazione.
INFEZIONI VIRALI
I quadri più importanti sono rappresentati dalle infezioni causate da: Herpes virus tipo II (che colpisce gli organi genitali sia femminili – vulva, cervice uterina – che maschili e si trasmette in modo decisamente prevalente per via sessuale) - Cytomegalovirus (specie per l’importanza che esso può rivestire durante la gravidanza) - PapiIlomavirus o HPV.
A questo ultimo gruppo di virus è dedicato un intero articolo “Sessualità e infezioni virali” (su questo portale, in questa sezione), però, data la loro diffusione, voglio ricordare che essi sono gli agenti causali della condilomatosi genitale che può colpire con notevole frequenta sia l’apparato genitale femminile che, con minore evidenza clinica, l’apparato genitale maschile. Non sempre il quadro clinico é caratterizzato dalla comparsa delle tipiche formazioni papiIlari, multiple, a forma di piccole creste che magari sono evidenti soltanto allo striscio colpocitologico, senza una sintomatologia evidente, o, addirittura, come avviene nell’uomo, clinicamente muti.
Poiché la presenza di questo virus é stata messa in relazione con il cancro del collo uterino, voglio chiarire che questo gruppo di virus comprende circa 70 tipi diversi e che soltanto 4-5 di essi sono stati chiamati in causa per il loro ruolo oncogeno (a questo scopo esistono tecniche di laboratorio che possono facilmente tipizzare il virus in questione).
Ricordo infine soltanto nominalmente ­ dato lo spazio che richiederebbero e che non é qui concesso – virus quali quello dell’epatite B e, con minore frequenza, quello dell’epatite C, nonché l’HIV agente causale dell’AIDS responsabili di quadri clinici assai più complessi e gravi di quelli fin qui menzionati.
Desidero, in ultima analisi, ricordare che esistono ancora altri quadri di malattie a trasmissione sessuale di importanza storica quali la sifilide, la gonorrea, la pediculosi, scabbia le quali, per quanto ridotte di incidenza rispetto al passato, sono tutt’altro che rare e sconfitte.
La considerazione finale vuole essere, però, un messaggio rassicurante e non allarmistico: la sessualità richiede di essere vissuta in modo libero e completo, senza paure ingiustificate. E’ però assolutamente necessario non dimenticare le più elementari norme igieniche e di vita, ricorrendo senza pericolose ritrosie alla consulenza dello specialista ogniqualvolta si verifichi una situazione di dubbio – anche solo psicologico – che potrebbe condizionare pesantemente, se non chiarito, la propria vita oltre che la propria sessualità.

Sandro VIGLINO -ginecologo
pubblicazione del 1997

PROCREARE RESPONSABILMENTE

Ecco perchè è bene essere “responsabili” quando si mette al mondo un figlio.
Quasi tutti i bambini nascono sani, è vero, però ci sono alcuni casi in cui “l’incidente”, la nascita di un bimbo malformato o con malattie congenite, può essere previsto se non addirittura evitato.
Purtroppo il 2-3% di bambini alla nascita presenta problemi di malformazioni o di gravi malattie ereditarie che sono evidenziabili nella prima settimana di vita; taIune di esse sono incompatibili con la sopravvivenza stessa ed il bambino cessa di vivere già nei primi giorni (se non addirittura prima di nascere). Infatti le malattie congenite, da sole, sono la causa di un quarto delle morti nel primo anno di vita e di un sesto di quelle della fascia di età tra 1 e 14 anni.
Ma la mortalità non è che l’ espressione più triste della malattia, quando non sono mortali queste patologie determinano comunque un handicap persistente più o meno grave.
E’ quindi giusto che le coppie che desiderano avere un figlio, siano consapevoli dell’ esistenza del rischio di generare figli portatori di una anomalia congenita ed è un dovere il documentarsi su test o accertamenti da eseguire.
Il figlio infatti porta in sè le “caratteristiche ” del padre e della madre che gliele trasmettono attraverso i cromosomi.

Le nostre cellule contengono 46 cromosomi raggruppati a coppie, ognuna delle quali è composta da un cromosoma paterno ed uno materno.
Sui cromosomi sono posizionati i geni (punti formati da DNA, parte attiva nella trasmissione dei caratteri ereditari).
Attraverso lo studio dei geni si è arrivati a comprendere come si trasmettono le malattie che, in alcuni casi, si possono anche prevenire; infatti la conoscenza “molecolare” dei geni permette di diagnosticare il gene alterato in individui che, all’apparenza, sembrano normali. Analghe indagini sul feto permettono la diagnosi prenatale.
Non tutti i geni hanno la stessa “forza”; ad esempio il colore nero dei capelli è portato da un gene “più forte” (dominante) rispetto al colore biondo (recessivo). Dalla combinazione di queste “forze” e dalla interazione di più geni derivano le varie gradazioni di tinte dei nostri capelli e .. così anche per altre caratteristiche.
Ogni gene è posizionato su un cromosoma ben preciso ed alcuni sono localizzati su una coppia di cromosomi particolare (coppia 23) che è diversa nei due sessi: nella femmina è formata da 2 cromosomi X, nel maschio da un cromosoma X e uno Y. Quando il gene aberrante è posizionato nella coppia 23 la trasmissione è quindi collegata al sesso del nascituro e, pur seguendo le leggi di Mendel che hanno “codificato” come i geni interagiscono tra loro, si realizza secondo probabilità leggermente diverse rispetto alle malattie i cui geni non sono sulla coppia 23 (v. malattie genetiche a ricorrenza familiare).
Ecco perchè padre e madre trasmettono ai figli non solo i caratteri (colore dei capelli, degli occhi ecc.) ma purtroppo anche la malattie definite genetiche.
Molti ignorano che anche da genitori perfettamente sani possono nascere figli con malattie congenite terribili.
Col termine malattie congenite si comprendono tutte quelle condizioni che si sono determinate nelle cellule gerrninali materne e paterne, al momento del concepimento o durante la vita embrionale, e che sono diagnosticabili talvolta durante la vita prenatale, talaltra solo alla nascita o nei primi anni di vita.
E ciò rende più complesso curare i piccoli pazienti.
Infatti circa un terzo dei bambini nati con malattie congenite muore nei primi anni di vita, mentre un altro terzo resterà disabile o con handicap cronici.
Inoltre non bisogna dimenticare che anche l’ambiente in cui si vive ha molta importanza sulla salute del nascituro. Infatti il fenotipo ovvero l’ insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali dell’individuo è determinato dal genotipo (caratteristiche genetiche) interagendo con l’ambiente (alimentazione, agenti infettivi ecc).
Ma il fatto che curare sia complesso non esclude affatto che la scienza sia in grado di intervenire efficacemente, con modi e procedure diverse a seconda dei casi.
Per affrontare le malattie congenite disponiamo infatti di quattro strumenti principali:
a) la prevenzione primaria, in grado di agire sulle cause note che alterano lo sviluppo embrio-fetale, (es: vaccinando contro la rosolia);
b) la prevenzione secondaria, in grado di riconoscere alcune malattie in fase preclinica e di instaurare una terapia efficace, (es.l’ipotiroidismo, il diabete ecc);
c) il trattamento chirurgico di molte malformazioni, con ristabilimento completo dello stato di salute, (es. labbro leporino, cardiopatie);
d) il trattamento sintomatologico permanente (es. talassemia, fibrosi cistica, sindrome di Down) che pur non eliminandola, tenta di render più sopportabile la malattia di base con interventi di tipo farrnacologico, educativo o di altra natura.
Ogni membro di una coppia alla prima gravidanza deve per prima cosa soffermarsi a pensare ai suoi antenati chiedendosi se fossero stati tutti sani o se qualcuno di loro avesse avuto qualche problema mentale, fisico ecc.
Infatti solo esaminando la storia della propria famiglia si può essere certi se esistano o meno fattori di rischio; in questa ricerca può essere di valido aiuto il medico di fiducia.
Ecco che ci si affaccia così ad esaminare i grandi gruppi di rischi che il nascituro dovrà affrontare; talora ci si potrà trovare di fronte anche a concause, cioè ad un pericolo derivante dalla somma di rischi diversi (es: tossicodipendenza e infezione in gravidanza ecc):
- rischi di MALFORMAZIONI CONGENITE
- rischi di INFEZIONI IN GRAVIDANZA
- rischi derivanti da FATTORI DI RISCHIO
- rischi di DIFETTI DEL SISTEMA NERVOSO
Le coppie non alla prima esperienza dovrebbero già essere edotte dei rischi reali per loro esistenti.

MALFORMAZIONI CONGENITE
Si possono suddividere in:
-anomalie cromosomiche (mutazione genica ossia una anomala modifica del DNA).
-malattie metaboliche materne (diabete ecc).
-malattie genetiche a ricorrenza familiare.
Abbiamo visto che, come i caratteri ereditari, anche alcune malattie si trasmettono secondo le leggi di Mendel.
Esiste cioè un gene posizionato su un cromosoma che è portatore di questa malattia; è come un timbro, più o meno facile da cancellare, che minaccia il feto.
Infatti se il gene della malattia è dominante, affinchè la malattia si presenti nel figlio, è sufficiente che uno solo dei genitori sia portatore; il figlio sarà quindi timbrato.
Se invece il gene è recessivo la malattia si può presentare solo se ambedue i genitori sono portatori (possono anche essere portatori sani, cioè non evidenziare la malattia) e se al figlio passano ambedue i cromosomi. il figlio sarà timbrato.
Per essere più chiari riportiamo in schema tutto il discorso:
Se uno solo dei genitori ha il gene dominante sbagliato può generare:
-figlio sano (50% di probabilità)
-figlio malato (50% di probabilità)
Se il gene sbagliato recessivo, è portato da un solo genitore potrà generare:
-figlio sano (50% di probabilità)
-figlio sano ma portatore
(cioè in grado di trasmettere la malattia ­50% di probabilità)
Se ambedue i genitori hanno il gene sbagliato recessivo (es: Talassemia) potranno generare:
-figlio sano (25% di probabilità)
-figlio sano ma portatore (cioè in grado di trasmettere la malattia ­50% di probabilità)
-figlio malato (25% di probabilità)
Ma se il gene sbagliato recessivo si trova sul cromosoma X, che cosa succede nei figli maschio o femmina?
Se una mamma (ricordiamo che la femmina ha 2 cromosomi X) ha un gene sbagliato su un cromosoma X sarà portatrice sana di questa malattia. I suoi figli potranno ereditare da lei o la X con il gene sbagliato o la X con il gene normale. Perciò le figlie femmine (che ereditano un cromosoma X dalla madre e uno dal padre) potranno essere sane portatrici del gene sbagliato o sane non portatrici (le figlie quindi non presenteranno mai la malattia). I figli maschi invece (i maschi hanno una sola X) potranno essere sani non portatori, se avranno ereditato la X normale oppure ammalati se avranno ereditato la X con il gene sbagliato (non essendo il cromosoma Y fornito del gene normale dominante e quindi capace di bloccare l’azione del gene recessivo). Questo tipo di trasmissione si ha, ad esempio nella emofilia (malattia che determina un difetto di coagulazione del sangue).

ANOMALIE CROMOSOMICHE
La malattie cromosomiche generalmente non si ripetono nella stessa famiglia, poichè raramente sono ereditarie. L’errore del numero dei cromosomi si verifica a qualunque età dei genitori, ma più frequentemente quando la mamma ha più di 38 anni (fattore di rischio).
Le più frequenti anomalie cromosomiche sono:
Sindrome di Down (mongolismo o trisomia 21) causa ritardo intellettivo più o meno grave e malformazioni: cranio piccolo, appiattito in senso antero-posteriore, falangi corte. E’ determinata dalla presenza di un cromosoma 21 in più (l’individuo ha quindi 47 cromosomi anzichè 46). E’ una malattia abbastanza frequente con una incidenza di 1 bambino colpito ogni 700 nati.
Trisomia 18 determina ritardo mentale, anomalie del cranio, orecchie posizionate in basso, sordità, dita corte, alterazioni del setto ventricolare, collo palmato
Trisomia 13 (legata al fenotipo femminile) determina ritardo mentale, labio-palato schisi, polidattilia, anomalie a cuore, visceri e genitali.
Sindrome di Turner è caratterizzata da statura bassa, da gonadi non differenziate, bassa attaccatura dei capelli alla nuca, difetti cardiaci, sterilità. .E’ determinata dal l’ assenza di un cromosoma X.
Emofilia (legata al fenotipo maschile). .E’ dovuta alla deficienza del Fattore VIII della coagulazione.
E’ caratterizzata da emorragie spontanee, sanguinamento della bocca e delle gengive.

MALATTIE METABOLICHE MATERNE
Diabete: determina difetti nel nascituro che si possono evitare mantenendo la madre sotto controllo e cercando di portare i valori della glicemia a limiti accettabili Inoltre le coppie a rischio dovranno far seguire l’evoluzione del nascituro con opportuni controlli in modo da intervenire, se necessario, con cure già nel periodo di vita intrauterino.

MALATTIE GENETICHE A RICORRENZA FAMILIARE
E’ costituita da un gruppo eterogeneo di anemie emolitiche ereditarie che hanno in comune una diminuzione della velocità di sintesi di una o più catene dell’ emoglobina.
Si manifesta:
negli omozigoti (anemia di Cooley) sotto forma di grave anemia o con morte in utero
negli eterozigoti (thalassemia minor) con anomalie eritrocitarie

FIBROSI CISTICA (alterata produzione di secreti)
E’ una disfunzione generalizzata delle ghiandole esocrine;; è caratterizzata da segni di malattia polmonare cronica, insufficienza pancreatica, contenuto di sali eccessivamente alto nel sudore, talora cirrosi biliare.
Viene trasmessa come carattere recessivo.
DISTROFIA MUSCOLARE DUCHENNE (degenerazione dei muscoli che colpisce solo i maschi)
E’una malattia cronica e progressiva che interessa i cingoli scapolare e pelvico, ad inizio precoce nell’ infanzia.
E’ caratterizzata da astenia sempre più grave e da pseudoipertrofia dei muscoli, seguite da atrofia; il quadro clinico determina una caratteristica andatura barcollante con movimenti delle gambe ampi e scoordinati.
E’ un carattere recessivo legato al sesso.
Normalmente la morte sopraggiunge per grave insufficienza cardio- respiratoria prima della maturità dell’individuo.
NEUROFIBROMATOSI
E’ caratterizzata da macchie cutanee con tendenza alla formazione di tumori molli e peduncolati (neurofibromi).
Si hanno gravi modificazioni di sviluppo nel sistema nervoso, nei muscoli, nelle ossa e nella pelle.
X FRAGILE
E’ caratterizzata da ritardo mentale che si manifesta solo nei maschi
RENE POLICISTICO
La degenerazione dei reni è determinata da cisti sparse al loro interno.
Può essere presente già alla nascita o può evidenziarsi più tardi fino alla fanciullezza. Presenta un alto tasso di mortalità perinatale.
E’ trasmessa come carattere recessivo.
COREA DI HUNTIGTON
E’ una degenerazione neurologica.
La caratterizzano incessanti movimenti involontari rapidi e complessi che appaiono ben coordinati ma non intenzionali. La malattia procede aggravandosi sempre fino a determinare un deterioramento mentale, con esito in demenza.
Si presenta sovente in età adulta ed è trasmessa da un carattere dominante

MALATTIE DEL METABOLISMO (carenza di uno o più enzimi)
ANCODROPLASIA (nanismo) E’ caratterizzata da arti corti, con tronco normale, volto piccolo.

INFEZIONI CONTRATTE IN GRAVIDANZA
Rosolia
se contratta in gravidanza può provocare malformazioni al feto. Per questa ragione è bene provvedere ad effettuare analisi di laboratorio prima dell’inizio della gravidanza.
Il test può dare valori:
l : 16 = persona non protetta
1:32 – 1:256 = paziente che in passato ha superato la rosolia
valori superiori = paziente con probabile rosolia in atto
Toxoplasmosi
Malattia causata da un protozoo (Toxoplasma gondii)
E’ caratterizzata da lesioni del sistema nervoso centrale che possono condurre a cecità, a difetti cerebrali e, in estreme conseguenze, a morte.
I test di laboratorio possono dare i seguenti valori:
1:4 – 1:64 = immunizzazione avvenuta
1:250 – l: 16000 = supposta malattia in atto

DIFETTI DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE
Spina bifida
Imperfetta chiusura della colonna vertebrale
Anencefalia
Si ha un incompleto sviluppo di una parte del cervello
Si può ovviare con una opportuna somministrazione di acido folico (vitamina) fin dal periodo preconcezionale
FATTORI DI RISCHIO
- età materna avanzata
- patologie autoimmuni
- malattia della tiroide o di altre ghiandole
- farmaci
- radiazioni
- fattore Rh (Fattore Rhesus)

GRAVIDANZE SUCESSIVE
Se la coppia ha già avuto figli e soprattutto se questi presentano malformazioni, è estremamente importante che si rivolga a centri specializzati che esaminino accuratamente il singolo caso.
Quale è il rischio che la anomalia si ripresenti?
La risposta si può avere solo dopo aver trovato la probabile causa del difetto.

ACCERTAMENTI IN GRAVIDANZA
Alcuni esami di laboratorio dovrebbero essere eseguiti prima dell’inizio della gravidanza:
- gruppo sanguigno
- test della rosolia
- test per le malattie veneree
Inoltre a gravidanza iniziata è bene tenersi controllate con periodici esami quali:
- esame emocromocitometrico
- azotemia e glicemia
- transaminasi
- elettroforesi delle proteine seriche
- bilirubinemia
- sideremia
- esame delle urine (proteinuria e glicosuria)
Ovviamente se la gravidanza normale deve essere attentamente seguita dal medico curante, ancor più lo deve essere una gravidanza a rischio.
Per nostra fortuna le tecniche si sono molto affinate in questi ultimi anni, rendendo possibile una valida prevenzione.
Riportiamo di seguito le analisi o indagini più significative ed più utilizzate.
ECOGRAFIA
Permette di “vedere”, con l’impiego di ultrasuoni, il feto nel ventre materno, di osservare se esistono anomalie, di valutare lo stato della placenta ecc.
L’esame può essere eseguito più volte in gravidanza e con una frequenza tanto maggiore quanto più grande è l’entità dei rischi corsi dalla gestante.
Comunque a tutte le gravide, a rischio o meno, si consiglia di sottoporsi ad ecografia almeno intorno alla 18°-20° settimana, epoca in cui la maggior parte degli organi fetali sono ben individuabili e indagabili
IL FATTORE RH
E’ presente nell’ 85% della popolazione ed è un antigene caratteristico della membrana dei globuli rossi e viene indicato con Rh+. In assenza di questo antigene si ha un gruppo sanguigno indicato con Rh-.
In gravidanza gli anticorpi antiRh si formano quindi solo nelle donne portatrici di Rh- e sono determinati dall’ “incontro” del proprio sangue con un sangue Rh+.
Il fattore Rh si trasmette secondo le leggi di Mendel e quindi può verificarsi il caso di madre Rh- gravida di feto Rh+. Il feto produce i suoi globuli rossi; il fattore Rh+ del nascituro può superare la barriera della placenta e riversarsi nel sangue della madre determinando, da parte del sangue materno gli anticorpi anti-Rh. Questi anticorpi, risuperando la barriera della placenta, possono ritornare al feto provocando una anemia emolitica (eritroblastosi fetaIe) con distruzione dei globuli rossi del nascituro.
La terapia ottimale è la sostituzione dell’ intero sangue del neonato.
La sensibilizzazione della madre avviene alla prima gravidanza in cui il feto sia Rh+, mentre il danno fetaIe si verifica con più frequenza ed intensità durante le gravidanze successive.
ALFA-FETO-PROTEINA nel sangue materno
E’ una sostanza che il feto produce a partire dalla IV settimana e poi diffonde nel liquido amniotico e nel sangue materno.
Il fatto che i valori non corrispondano alla norma non sta ad indicare necessariamente la presenza di malformazioni ma semplicemente l’aumentato rischio di malformazioni.
Si è ormai accertato che alti livelli di alfa- feto-proteina sono associati a difetti del sistema nervoso centrale (anencefalia e spina bifida), ma sono presenti anche nelle gravidanze gemellari normali. Livelli molto bassi si riscontrano in presenza della sindrome di Down e di Turner.
AMNIOCENTESI
Consiste nell’ aspirazione di un campione di liquido amniotico pungendo la parete addominale materna ed aspirando il liquido dalla cavità amniotica.
Lo si esegue con controllo ecografico per determinare il punto più idoneo per prelevare il liquido amniotico.
Va eseguita tra la 15° e la 16° settimana per ridurre al minimo il rischio di aborto spontaneo (che si verifica nell’ 1% dei casi).
Dal liquido prelevato vengono separate le cellule fetali che vengono poste in apposito terreno nutritizio.
E’ così possibile il loro sviluppo che permetterà di eseguire le successive indagini atte a determinare la presenza o meno di anomalie fetali.
Ciò avviene studiando, a seconda dei casi, cromosomi, DNA, ecc.
Sul restante liquido si potrà dosare l’ alfa-feto-proteina sul cui significato ci siamo già soffermati precedentemente.
PRELIEVO DI SANGUE FETALE
E’ una metodica recente. Si esegue prelevando sangue fetale direttamente dal cordone ombelicale.
L’esame viene eseguito nel I o nel II trimestre.
Si possono così valutare:
-Caratteristiche genetiche del feto
-Trasmissione di malattie al feto (rosolia, toxoplasmosi, cytomegolovirus)
-anemia fetale
-grado di sofferenza del feto ipo-sviluppato (cioè diminuita quantità di ossigeno nel sangue fetale)
-talassemia
-piastrinopenia (rischio di emorragie).
PRELIEVO DEI VILLI CORIALI
Sono le unità fondamentali che costituiscono la placenta.
Le loro cellule presentano le stesse caratteristiche delle cellule di sfaldamento embrionale che abbiamo visto esaminare con l’amniocentesi.
Questo esame si esegue inserendo, in anestesia locale e sotto controllo ecografico, un ago nell’ addome materno, come per l’amniocentesi ma, rispetto all’ amniocentesi, può essere eseguito già alla fine del terzo mese di gravidanza). Ha una percentuale di rischio di aborto spontaneo pari alI’amniocentesi.
Non va eseguito se non in casi di estrema urgenza, prima dell’8° settimana perchè fino a quest’ epoca gestazionale sono possibili danni agli arti del feto.
E’ particolarmente importante nel caso in cui la madre sia stata colpita, durante i primi mesi di gravidanza, da rosolia o toxoplasmosi. Infatti con questo esame si può determinare se l’infezione ha raggiunto la placenta o ha colpito solo la madre.

“Prevenire è meglio che curare” e … anche per il feto talvolta è vero il vecchio adagio.
Per quanto possibile, limitatamente ai casi di reale gravità, si può decidere di intervenire sul feto prima della nascita.
INTERVENTI DIRETTAMENTE SUL FETO
Questa scelta viene fatta sovente nei casi seguenti:
OSTRUZIONE DELLE VIE URINARIE
La si risolve con un piccolo catetere che porta l’urina all’esterno del feto, nel liquido amniotico risolvendo un blocco che può trovarsi tra i reni e la vescica o a livello dell’uretra, e che impedisce lo svuotamento naturale nel liquido amniotico.
Il blocco a livello dell’uretra è riscontrabile più facilmente nei maschi per l’accentuazione di restringimenti che normalmente si trovano nell’uretra maschile.
L’intervento precoce è giustificato dal fatto che l’alterato funzionamento, per il periodo intrauterino, può determinare un danno permanente del rene, ed inoltre, essendo il liquido amniotico in gran parte formato dall’urina del feto, un irregolare svuotamento della vescica può causare una eccessiva riduzione del liquido con danno per il feto soprattutto a livello polmonare.
Ovviamente l’intervento deve essere effettuato prima che si instauri un danno renale permanente.
Dopo la nascita si provvederà ad effettuare un intervento risolutivo.
ANEMIE FETALI
Sono in genere dovute al gruppo Rh- della madre che si “incontra” con il gruppo Rh+ del feto.
E’ possibile effettuare vere e proprie trasfusioni al feto attraverso il cordone ombelicale che correggono l’anemia. Ciò deve essere effettuato fino alla nascita, dopodiché il feto non si troverà più a contatto con gli anticorpi della madre e quindi non avrà più problemi.
INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA
E’ regolamentata dalla legge 194 del 1978
Prevede tale possibilità per gravi motivi psichici o fisici materni.
Tra i problemi psichici è compreso anche il caso in cui il feto sia portatore di una grave anomalia. L’interruzione può avvenire entro la 24 settimana (epoca di vitalità del feto).
Comunque qualora, a gravidanza iniziata, venga diagnosticata una anomalia congenita fetale, la coppia ha il dovere morale di avere un colloquio con medici specializzati.
Tale colloquio deve avere lo scopo di identificare le cause, fornire spiegazioni, e dare una stima del rischio di ricorrenza dell’anomalia per una gravidanza successiva.
In alcuni casi il rischio di ripetitività può essere calcolato con precisione se l’anomalia è stata accuratamente diagnosticata e se sono note le modalità di trasmissione.

Angelo Bodrato -farmacista
pubblicazione del 1994

DISPAREUNIA E VAGINISMO

Qualcuno distingue una dispareunia esterna (che si manifesta già all’inizio della penetrazione) da una interna (che si manifesta durante i movimenti sessuali veri e propri).
Per vaginismo si intende invece quella condizione caratterizzata da impossibilità al coito dovuta ad una contrazione spastica involontaria dei muscoli circumvaginali. Anche in questo caso se ne potrebbe distinguere una forma primaria ed una forma secondaria, anche se quest’ultima si confonde abbastanza con le forme secondarie di dispareunia.
Cause: oltre 1’80% dei casi di dispareunia riconosce cause di natura organica. Tra i fattori etiologici alla base di una dispareunia esterna ricorderemo quelle condizioni patologiche o parafisiologiche che riguardano l’ostio vaginale: imene intatto, resti infiammati dell’anello imenale, cicatrici da episiotomia (incisione cutaneo-muscolare che viene praticata all’espletamento del parto in genere nelle primipare), flogosi o cisti della ghiandola di Bartolini, ridotta elasticità dell’ostio vaginale (come conseguenza dei fenomeni menopausali),caruncola uretrale, uretriti, fistole, pato­ogia clitoridea, infezioni vaginali e così via.
Tra le principali cause di dispareunia interna o profonda ricorderemo le flogosi pelviche, l’endometriosi, esiti di interventi chirurgici sull’apparato genitale, tumefazioni annessiali, ecc.
Per quel che riguarda il vaginismo, occorre invece affermare che i fattori causali sono, nella stragrande maggioranza dei casi, di natura psichica; quelli di natura organica si confondono e si identificano con quelli presi in considerazione a proposito della dispareunia.
Secondo formulazioni psicoanalitiche alla base del vaginismo esisterebbe una sorta di ostilità nei confronti dell’uomo e un conseguente desiderio inconscio di castrarlo. Secondo le più classiche teorie psicoanalitiche dello sviluppo psicosessuale, la bambina che non ha risolto la sua invidia del pene è candidata a sviluppare, da adulta, un quadro di vaginismo. L’esperienza pratica, però, dimostra che questo non sempre è vero perchè vi sono donne che non hanno sviluppato questo tipo di inconscio habitus mentale nei confronti del maschio e anzi desiderano vivamente risolvere questa loro inadeguatezza per vivere appieno la propria sessualità.
Altre teorie postulano invece che importanza fondamentale abbia il tipo di educazione ricevuta: in effetti spesso si tratta di donne appartenenti a famiglie dove la parola “sesso” non è mai stata pronunciata per motivi strettamente moralistici o rigidamente religiosi.
Altre volte tali pazienti hanno una storia di traumi sessuali durante l’infanzia (stupri, incesti). Infine non dobbiamo dimenticare l’ignoranza e la mancata informazione sulla fisiologia sessuale (da cui paura e dolore per l’atto sessuale) nonchè il senso profondo di colpa causato da un conflitto sessuale soggiacente che ingenera paura della punizione.
Epidemiologia della donna affetta da vaginismo
E’ interessante osservare che queste pazienti presentano caratteristiche abbastanza comuni. Si tratta in genere di donne di aspetto molto piacevole, altamente orgasmiche, spesso di elevato livello socio-economico e culturale, con una vita relazionale generale di qualità apparentemente elevata.
Il partner della donna con vaginismo è generalmente persona molto tollerante e comprensiva, che mostra affetto ed interessamento per la propria compagna.
Non bisogna però dimenticare che in una discreta percentuale di casi si tratta di soggetti che presentano una forma di disfunzione sessuale (in genere eiaculazione precoce o impotenza erettiva primaria o secondaria al vaginismo della partner) .
L’età delle pazienti con vaginismo varia notevolmente a seconda del grado di disagio che tale condizione provoca spingendole così a ricorrere allo specialista: vi sono ragazze che si presentano al medico (magari a quello di famiglia) dopo i primi fallimentari rapporti sessuali completi, e donne di età avanzata che decidono di affrontare questo problema dopo 20 o 30 anni di matrimonio. A tal proposito è opportuno sottolineare che il vaginismo è fra le cause più comuni di matrimoni “bianchi”, cioè non consumati.
Trattamento: da quanto abbiamo esposto, appare chiaro che, nei casi in cui si sia ravvisata l’esistenza di un problema di natura organica, il nostro intervento sarà orientato alla risoluzione di tale problema. Pertanto sarà giustificato il ricorso alla terapia medica o chirurgica a seconda della complessità del caso.
Quando invece ci troviamo di fronte ad una situazione di chiara origine psicogena, occorre spiegare alla paziente, con molta naturalezza, che è possibile, tramite il ricorso ad una terapia sessuale specifica, il superamento di questo suo angosciante disturbo. A questo proposito va detto subito che il tipo di approccio al problema può in parte variare a seconda dell’esperienza dei vari autori. In linea generale possiamo affermare che la terapia è inizialmente orientata al superamento di alcune ” barriere” apparentemente insormontabili:
- la scarsa e spesso errata informazione che la paziente ha dei propri genitali esterni ed interni.
- l’elemento fobico che determina la contrazione involontaria dei muscoli addominali, adduttori delle cosce e circumvaginali.
Tale scopo potrà essere ottenuto da un lato dimostrando (attraverso immagini, schemi, disegni) quali sono le caratteristiche anatomiche e fisiologiche dell’apparato genitale femminile e, in particolare, della vagina; dall’altro facendo compiere alla paziente semplici esercizi di rilassamento muscolare i cui risultati potranno essere immediatamente apprezzati dalla donna stessa.
Una volta superati questi due primi e fondamentali ostacoli, si potrà passare, sempre molto gradualmente e con naturalezza, alle varie fasi di penetrazione vaginale ricorrendo al dito o a cateteri di gomma o di plastica oppure a “tutori vaginali” che consistono in un set di strumenti sterilizzabili il più grosso dei quali ha le dimensioni di un pene medio in erezione.
In ogni caso questa terza fase non può essere schematizzata molto facilmente perchè presenta frequenti variabili soggettive e dovrà essere pertanto il terapeuta, sulla base della propria esperienza, a decidere quando passare ad una tappa successiva.
E’ controverso se il partner debba o meno essere presente durante le sedute. Ritengo che la sua presenza sia veramente necessaria durante i colloqui iniziali e ogniqualvolta si presenti l’occasione o la necessità di avviare una discussione e un’analisi dei risultati. Per quel che riguarda gli aspetti pratici, tecnici, sono invece del parere che la donna debba viverli preferibilmente da sola, con la presenza rassicurante del terapeuta il quale gioca, in questo caso, quel ruolo di genitore permissivo che alla paziente è mancato durante l’adolescenza.
In conclusione si può affermare che i risultati dei trattamenti sessuoterapeutici in casi di vaginismo sono largamente positivi, a condizione che si riesca ad ottenere dalla paziente fiducia e disponibilità.
Dispiace davvero incontrare donne (e capita più frequentemente di quel che si pensi) che hanno vissuto una vita sessuale fallimentare ed umiliante, mettendo a dura prova la propria relazione di coppia, soltanto per non essere riuscite a vincere i propri condizionamenti morali e per non aver trovato la persona giusta con cui confidarsi e risolvere il proprio dramma.

Sandro Viglino -ginecologo – sessuologo
Pubblicazione del 1989