Maternità

ALCOL IN GRAVIDANZA: 6 DOMANDE AL GINECOLOGO

Il consumo di alcol fra le donne in età fertile è un problema in crescita. Il dottor Maurizio Podestà, specialista in ginecologia, parla della diffusione del fenomeno e spiega i rischi in cui possono incorrere una donna in gravidanza e il suo bambino.

 L’abuso di alcol è un problema che coinvolge molte donne?

Si tratta di un problema sottostimato ma in enorme crescita fra le donne e fra le donne giovani, in età fertile. Basti pensare che negli anni Ottanta a consumare alcolici era il 43% del sesso femminile, oggi la percentuale ha raggiunto il 70%.

 Quali sono i rischi per la donna?

Le bevitrici aumentano, ma pochi sanno che la donna è maggiormente a rischio di danno e dipendenza rispetto all’uomo per ragioni polmonari, per attività enzimatica differente (con riferimento all’enzima responsabile dell’eliminazione dell’alcol) e per composizione corporea.

Come reagisce il corpo all’assunzione di alcol?

Appena assumiamo alcol il corpo si mette in moto per distruggere la sostanza tossica. L’alcol deidrogenasi è l’enzima responsabile dell’eliminazione dell’alcol ma nelle donne è meno attivo rispetto all’uomo, perché gli estrogeni femminili ne rallentano la funzione. L’alcol, dunque, rimane per un periodo di tempo più lungo all’interno del corpo ed è più facile che venga assorbito dall’organismo.

 Alcol in gravidanza: quali rischi?

Gli effetti negativi sul feto sono diretti: l’alcol passa la barriera placentare, quindi dalla madre arriva immediatamente al feto. L’alcol ha un effetto direttamente tossico e crea apoptosi, ovvero morte cellulare, colpendo elettivamente i neuroni e altri tipi di cellule del sistema nervoso. L’alcol agisce anche in maniera indiretta causando un danno placentare che può portare una serie di problemi diversi, fra cui il ritardo della crescita.

 Quali conseguenze sul feto?

I disturbi neonatali derivati dall’abuso di alcol sono eterogenei. Fra le situazioni più gravi ricordiamo la sindrome feto alcolica, ma ci sono casi molto più sfumati, che alla nascita è difficile ricondurre con sicurezza all’abuso di alcol. Spesso la diagnosi è difficile, a meno che non sia la madre ad ammettere di avere consumato alcolici durante la gravidanza.

 Alcol in gravidanza: è concesso in piccole quantità?

La questione è dibattuta, non esiste infatti una soglia minima entro la quale sia dimostrato che mamma e figlio non subiscono danni. Il messaggio che è importante trasmettere alle future mamme è quello di non assumere alcuna bevanda alcolica durante i mesi di gravidanza, nonché durante l’allattamento.

L’intervista è andata in onda su Salute88, canale 88 del digitale terrestre.

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tiroide e gravidanza

Funzione tiroidea e gravidanza
Durante la gravidanza si crea una condizione di aumentato carico funzionale per la tiroide che deve far fronte a stimoli diversi che intervengono fisiologicamente dal momento del concepimento. Per prima cosa, la tiroide viene maggiormente stimolata in quanto la quota “libera” di ormoni tiroidei, cioè non legata alle proteine di trasporto e quindi attiva, diminuisce in gravidanza come conseguenza dell’aumento degli estrogeni secreti in grande quantità dalla placenta. Si assiste pertanto ad una attivazione del meccanismo di feedback con conseguente stimolazione della secrezione ipofisaria di TSH ed aumento della sintesi e secrezione di ormoni tiroidei da parte della ghiandola fino al ristabilirsi dell’equilibrio.
Inoltre, nel corso del primo trimestre di gravidanza la tiroidea materna è stimolata dalla gonadotropina corionica (CG) in quanto questo ormone ha una grande affinità strutturale con il TSH. L’effetto più importante della CG sul profilo tiroideo è rappresentato da un lieve incremento dei livelli sierici di tiroxina libera (FT4) nelle prime settimane di gravidanza e dalla conseguente riduzione della concentrazione del TSH, che è pertanto da ritenersi fisiologica.
Un terzo fattore è l’aumento del fabbisogno giornaliero di iodio per compensare l’aumentata escrezione urinaria conseguente all’aumento degli estrogeni, alle modificazioni della funzione renale tipiche dello stato gestazionale ed alla presenza della tiroide fetale.

Ipertiroidismo e gravidanza
L’ipertiroidismo colpisce circa lo 0.2% delle gravide. La causa più comune è il Morbo di Graves-Basedow (85-90%), mentre il gozzo uni- o multinodulare iperfunzionante è meno frequente. La diagnosi di ipertiroidismo in gravidanza non è sempre ovvia dal momento che molti dei sintomi tipici quali tachicardia, ipersudorazione, dispnea da sforzo e nervosismo sono caratteristici anche di una gravidanza normale. Le complicanze nella madre includono aborto, distacco di placenta e parto prematuro e, nelle donne con scarso controllo dell’ipertiroidismo è possibile anche l’insorgenza di scompenso cardiaco e crisi tireotossica con un alto rischio di preeclampsia. Per quanto riguarda il feto è stato osservato ritardo di crescita intrauterina, prematurità e ipertiroidismo neonatale da passaggio transplacentare di anticorpi tireostimolanti. Non c’è dubbio, quindi, che l’ipertiroidismo in gravidanza debba essere trattato al più presto al fine di ridurre la percentuale di complicanze.
Morbo di Graves-Basedow in gravidanza
La diagnosi differenziale di questa patologia tiroidea autoimmune non è difficile e può essere confermata dai test di laboratorio. Nelle pazienti in cui la malattia è attiva la terapia di scelta è la terapia medica dal momento che il radioiodio è controindicato in gravidanza e la chirurgia deve essere impiegata solo nei casi in cui è presente gozzo di notevoli dimensioni con segni e sintomi di compressione oppure se l’ipertiroidismo non è controllato dalla sola terapia medica. Il periodo migliore per l’intervento chirurgico è il secondo trimestre di gravidanza dal momento che nel primo trimestre vi è un più alto rischio di aborto.
La paziente deve essere informata che se la diagnosi è stata posta correttamente ed il trattamento iniziato subito, la prognosi sia per la madre che per il feto è eccellente. Sebbene sia stato suggerito che il Propiltiuracile (PTU) è preferibile in gravidanza rispetto al metimazolo (MMI) per i rari casi descritti di aplasia cutis riportati in letteratura in donne che assumevano quest’ultimo farmaco, l’esperienza clinica dimostra che ambedue i farmaci sono egualmente efficaci e sicuri nel trattamento dell’ipertiroidismo nella gestante. La dose di PTU (o MMI) dovrà essere la minima indispensabile per mantenere la paziente eutiroidea e per evitare la possibile insorgenza di gozzo ed ipotiroidismo fetale. La bassa emivita in circolo dei farmaci tireostatici evita che siano presenti in alte concentrazioni nel latte materno, perciò le donne in trattamento con PTU o MMI possono allattare senza grossi rischi.

Gozzo uni o multinodulare in gravidanza
In questi casi l’ipertiroidismo è generalmente più lieve di quello associato al Morbo di Graves-Basedow e il trattamento è quasi sempre medico rimandando la terapia definitiva a dopo l’espletamento del parto.
Ipotiroidismo e gravidanza
L’ipotiroidismo colpisce circa il 2.5-5% delle donne in gravidanza. La causa più comune di ipotiroidismo in gravidanza è la tiroidite autoimmune nelle sue varianti con gozzo (tiroidite di Hashimoto) o atrofia ghiandolare (tiroidite atrofica). Il ruolo preminente delle tireopatie autoimmuni come causa dell’ipotiroidismo in gravidanza è confermato dal rilievo di anticorpi anti-TPO nel 50-60% delle gravide con ipotiroidismo subclinico e nella quasi totalità di quelle con ipotiroidismo franco.
Come per l’ipertiroidismo, è difficile distinguere clinicamente tra i sintomi della gravidanza e quelli dell’ipotiroidismo, ma se non riconosciuto e trattato, l’ipotiroidismo può avere effetti negativi sul benessere materno e fetale. Le complicanze più frequentemente osservate sono l’ipertensione arteriosa nell’ambito di una preeclampsia, basso peso alla nascita, distacco placentare, morte fetale endouterina, malformazioni congenite. E’ stato inoltre osservato un minor quoziente intellettivo nei figli di madri ipotiroidee non trattate o non sufficientemente trattate in gravidanza. Infatti il passaggio transplacentare di tiroxina dalla madre al feto nelle prime settimane di gestazione, quando la tiroide fetale non ha ancora cominciato a funzionare, è molto importante per un completo sviluppo cerebrale del feto. E’ necessario, quindi, che l’ipofunzione tiroidea della gestante sia diagnosticata e corretta con la terapia sostitutiva nel minor tempo possibile. L’aumento dei livelli di TSH nel siero è l’indice più sensibile e specifico per la diagnosi di ipotiroidismo primitivo in gravidanza. Quindi la misurazione del TSH circolante dovrebbe essere effettuata nel corso della prima visita in ogni paziente gravida con anamnesi personale o familiare positiva per patologia tiroidea, diabete mellito, autoimmunità tiroidea o altre patologie autoimmuni. Naturalmente il trattamento dell’ipotiroidismo si basa sulla terapia sostitutiva con l’ormone tiroideo poichè l’assunzione di L-tiroxina durante la gravidanza è sicura e non ci sono in seguito controindicazioni all’allattamento. La dose sostitutiva di L-tiroxina è maggiore in gravidanza rispetto al periodo pre e post gravidico e, dopo l’inizio del trattamento sostitutivo, i livelli del TSH e degli ormoni tiroidei liberi devono essere controllati 1 volta al mese e la dose di L-tiroxina aggiustata di conseguenza per tutto il periodo della gravidanza. Dopo il parto la dose di L-tiroxina deve essere riportata a quella somministrata prima della gravidanza.

Dipartimento di Malattie Endocrine e Metaboliche
Ospedale San Luca, IRCCS Istituto Auxologico Italiano
Piazzale Brescia, 20-20149 Milano
Email: l.fugazzola@auxologico.it

Dott.ssa Laura Fugazzola
Professore di Endocrinologia, Università di Milano
Dott.ssa Guia Vannucchi
Specialista in Endocrinologia
Dott. Luca Persani
Professore di Endocrinologia, Università di Milano

Maternità e malattie rare

In Italia ogni anno nascono circa cinquecentomila neonati e con essi altrettante nuove mamme.  Secondo le stime 1 bambino ogni 2581  è affetto da fenilchetonuria o altra forma di iperfenilalaninemia, e questa è solo una delle tante malattie rare metaboliche esistenti che, se non immediatamente diagnosticate, possono comportare disabilità gravissima.
[Fonte: Rapporto SIMMESN 2015].

Prevenzione primaria
Per garantire la salute del proprio bambino e ridurre fino al 70% il rischio di malformazioni fondamentale è la prevenzione primaria che passa attraverso uno stile di vita sano, una corretta assunzione di folati condotta secondo le indicazioni del Ministero della Salute.

Importante è anche il monitoraggio della gravidanza che il nostro SSN offre gratuitamente unitamente alla possibilità della diagnosi prenatale durante il primo trimestre.Sul sito del Ministero è possibile trovarne la descrizione.  .

Prevenzione secondaria

Da non dimenticare poi la prevenzione secondaria: oggi in aiuto delle mamme e dei loro piccoli viene lo screening neonatale.

Il test di screening consiste nel prelievo di una goccia sangue dal tallone del neonato entro le prime 72 ore di vita: un metodo minimamente invasivo che permette di individuare precocemente oltre 40 patologie metaboliche rare ed evitarne le peggiori conseguenze, come disabilità gravissime e morti precoci.

Lo screening neonatale esiste in Italia dal 1992 quando divenne obbligatorio per tre patologie: ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria. Oggi l’obbligo è stato allargato a circa 40 malattie metaboliche rare grazie all’approvazione della legge 167/2016.

“Grazie alla battaglia combattuta in prima linea dall’Osservatorio Malattie Rare, dalle associazioni pazienti,  dalle società scientifiche e dalla Sen. Paola Taverna – ha dichiarato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore  di Omar – dal 15 settembre 2016 lo screening metabolico allargato gratuito per tutti i neonati è legge nazionale . Ora questo diritto deve essere tradotto in pratica, e su questo c’è ancora molto da fare. Dall’approvazione della legge ad oggi nulla è cambiato nell’offerta delle regioni: solo la metà (50,3%) dei neonati ha accesso gratuito a questo test.  Gli altri rischiano di non avere la diagnosi e patirne le conseguenze. Non si possono permettere altri ritardi, ognuno deve fare bene e velocemente la sua parte, dal Centro di coordinamento screening costituito presso l’ISS alle singole regioni.  Ci auguriamo che le Regioni dove lo screening non è ancora attivo si adeguino presto, facendo il più bel regalo alle mamme e ai loro bambini”.

O.Ma.R. – Osservatorio Malattie Rare
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