Dermatologia

Il sole e i suoi segni

Macchie scure, chiazze rosse, bollicine e prurito. Sono le grida d’allarme della pelle: troppo sole, sole sbagliato… Quali sono le cause e le contromisure per un’abbronzatura sicura e invidiabile?

La sfida è quella che si ripresenta ogni anno, fra luglio e agosto: riusciremo a riportare dalle vacanze un’abbronzatura perfetta? Si accorgeranno tutti di quanto ci dona la tintarella, di come accende lo sguardo, fa risaltare il sorriso, cancella le piccole imperfezioni, insomma ci fa “più belle”? Per esibire una pelle dorata, si sa, siamo disposte a tutto: anche a rischiare di danneggiare l’epidermide. Magari costringendola a un’indigestione di sole, che poi pagheremo con la comparsa di macchie, eruzioni cutanee, rossori.

Tutti sintomi che testimoniano che con il sole abbiamo esagerato…
Un bel colorito in breve tempo, senza eritemi o scottature è quello che si chiede ad un buon abbronzante, perché la protezione della pelle è la parola d’ordine anche per chi ama l’abbronzatura più selvaggia…
E, a proposito di solari, raggi, filtri, fototipi (e non solo!) rispondete al test che segue effettuato con la consulenza del Dottor Dario Tartaglini, Direttore Sanitario di BETAR MEDICAL, un Centro Specializzato in Medicina Estetica di Milan. Vi aiuterà a “saperne di più” sull’amata tintarella…

Quando la giornata è nuvolosa non ci abbronza.

FALSO. In una giornata con il cielo nuvoloso, ma abbastanza luminosa è necessario proteggersi lo stesso, magari con un solare a fattore di protezione inferiore al solito, poiché anche attraverso uno strato leggero di nuvole l’irradiazione solare è ugualmente efficace e senza protezione la scottatura è in agguato.

Dall’inizio alla fine delle vacanze, si può usare un solo solare a filtro medio.

FALSO. È un errore tra i più comuni. Ogni tipo di pelle, nei primi giorni di tintarella, ha bisogno di una protezione maggiore per dare tempo alla melanina (la sostanza che produce l’abbronzatura) di salire alla superficie gradualmente. Una volta acquistato il colorito desiderato si può ridurre l’indice di protezione solare.

Ora che disponiamo di solari ad azione idratante, si può fare a meno del doposole.

FALSO. Altro luogo comune da sfatare se volete bene alla vostra pelle. Il doposole non solo rinfresca la pelle, ma restituisce acqua, sali minerali e altri elementi indispensabili per mantenerne l’elasticità e conserva l’abbronzatura più a lungo.

La tintarella ottenuta con le lampade UVA non protegge dai raggi solari.

VERO. Il colore che la lampada UVA regala alla pelle non è una vera abbronzatura e non protegge dagli effetti dei raggi solari. Una volta al mare o in montagna potete già sfoggiare un bel colorito, ma i filtri di protezione sono necessari.

Chi usa le lenti a contatto può prendere il sole senza problemi.

VERO. A patto di usare qualche precauzione: un paio di occhiali con lenti scure, magari del tipo che lascia filtrare i raggi UVA, o un paio di comuni occhialini di plastica (in questo caso si provvede a uniformare le chiazze bianche lasciate dagli occhialini stendendo sulle palpebre pochissima crema autoabbronzante).

Il sole fa bene a chi soffre di acne e brufoli.

VERO. È un’ottima cura solo se ci si espone con la dovuta prudenza: sempre nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio con una protezione adeguata (esistono dei solari testati per questo tipo di pelle), per evitare arrossamenti o scottature che potrebbero aggravare l’infiammazione.

Un’abbronzatura selvaggia non ha come conseguenza soltanto qualche giorno di scottatura e un po’ di spellatura.

VERO. Gli effetti di una tintarella scriteriata incidono pesantemente, danneggiando in profondità il derma. Le case farmaceutiche si sono impegnate per mettere a punto prodotti capaci di proteggere l’epidermide e allo stesso tempo consentirci di stare al sole senza patemi. Ma per potercelo permettere, bisogna imparare a muoversi con disinvoltura e competenza tra i diversi filtri solari.

L’eritema solare che provoca rossore, sensazione di calore e pruriti, altro non è che un’indigestione di sole.

VERO. Le cellule cutanee rispondono con una massiccia produzione di istamina (la stessa che interviene nelle reazioni allergiche o nell’asma). Ne conseguono una vasodilatazione e un’irritazione fastidiosa. Per alleviare i sintomi, niente sole per un paio di giorni e uso di pomate antistaminiche leggere, che eliminano il bruciore e il prurito. Sempre il sole può essere il responsabile di una vera e propria reazione allergica, l’orticaria attinica, che provoca macchie rosse, prurito e la comparsa di bollicine.

Le piccole macchie bianche che compaiono sulla cute non sono provocate dal sole, ma da una depigmentazione, cioè dalla mancanza di melanina in alcune parti circoscritte del corpo.

VERO. Il sole, abbronzando regolarmente le zone che hanno una normale produzione di melanina, fa risaltare maggiormente, ma senza peggiorarle, le chiazze di vitiligine. Questo disturbo della pelle è sgradevole a vedersi, ma innocuo. L’unica precauzione da prendere riguarda la protezione dal sole: poiché mancano di melanina, bisogna proteggere le aree colpite, per evitare scottature, con solari a indice di protezione piuttosto alto, meglio ancora se del tipo waterproof.

Pelle sensibile oppure non più giovane. Gli integratori sono utili.

VERO. Assunti con regolarità prima dell’esposizione al sole aiutano la pelle e migliorano la tintarella.

Info: Dottor Dario Tartaglini – Direttore Sanitario BETAR MEDICAL – Studio Polispecialistico di Medicina e Chirurgia – Via Melzi D’Eril, 26 – 20154 MILANO – Tel. 02/36684785/6 info@betarmedical.it – www.betarmedical.it

Stefania Bortolotti

 

Verruche: come prevenirle e come curarle

PICCOLI ACCORGIMENTI PER PREVENIRLE
La comparsa delle verruche può essere contrastata seguendo semplici precauzioni. L’accorgimento più immediato è indossare sempre ciabatte quando si cammina in piscina o si frequentano docce e spogliatoi comuni, come quelli delle palestre.

Un altro importante espediente, che pochi conoscono, consiste nel lavare spesso le ciabatte, lasciandole immerse per qualche minuto in una vaschetta con disinfettante e acqua.

Occorre infine fare attenzione a non camminare a piedi nudi in altri ambienti come casa, giardino o sull’asfalto.

Si corre infatti il rischio di procurarsi graffi o taglietti, che rappresentano la principale porta d’ingresso del virus che causa le verruche.

 

COSA FARE SE COMPAIONO

Data l’elevata infettività che le contraddistingue, le verruche devono essere eliminate al più presto per evitare ogni possibilità di contagio.

Le tecniche migliori per toglierle sono la crioterapia (o terapia del freddo) e il laser.

Nel primo trattamento viene applicato dell’azoto liquido a temperatura bassissima che congela immediatamente la verruca, consentendo una facile estrazione anche quando è molto profonda.

Anche il laser agisce in profondità, ma, anziché congelare la verruca, la secca, permettendo di eliminarla in maniera rapida.

L’asportazione è piuttosto semplice e indolore ed in pochi giorni, l’area cutanea colpita ripristina la sua integrità. Viene inoltre eliminato il rischio che il virus possa propagarsi, rendendo la cura più lunga e difficoltosa.

 

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IL MELASMA

Cloasma è il sinonimo con cui si definisce la condizione quando si manifesta durante la gravidanza. Tuttavia tale termine è improprio: infatti cloasma deriva dal greco cloazein che significa “essere verde”, mentre “melas”, sempre di origine greca, significa “nero”. Dal momento che la pigmentazione non è mai verde, è più corretta la dizione di melasma.

Il melasma si osserva nel 90% dei casi nelle donne in età riproduttiva, che assumono la pillola anticoncezionale o in corso di gravidanza (da cui il termine di maschera gravidica).
Sono però riportati casi in corso di disfunzione ovarica o tiroidea o a seguito di assunzione di farmaco forosensibilizzante (fenitoina).
La pigmentazione, di colore marrone scuro, può localizzarsi a due livelli: confinata allo strato superficiale della cute, l’ epidermide, oppure nello strato più profondo, il derma. La lampada di Wood (lampada che emette ultravioletti nella frequenza 340-400 nm, utilizzata in ambiente scuro) può permettere di visualizzarne la distribuzione: infatti il pigmento epidermico si accentua quando è esaminato con tale luce, diversamente da quello dermico.
Non sempre però è così agevole la differenziazione in quanto la pigmentazione può essere presente, in maggiore o minore grado, in entrambi gli strati cutanei.
Per l’ etiopatogenesi, la predisposizione genetica (nel 30% dei casi vi è familiarità per il melasma, i soggetti affetti hanno cute marrone chiaro) e l’influenza ormonale (la comparsa del melasma in gravidanza o in soggetti che assumono i contraccettivi orali ne sono testimonianza) sono sicuramente due importanti fattori.
Ma il ruolo fondamentale nello sviluppo di questa pigmentazione è l’ esposizione al sole. Tutte le lunghezze d’ onda delle radiazioni solari compreso lo spettro visibile sono in grado di indurre il melasma. Inoltre le radiazioni ultraviolette, causando la perossidazione dei lipidi nelle membrane cellulari, generano la formazione di radicali liberi che possono stimolare i melanociti a produrre melanina in eccesso.
La cura del melasma può riservare difficoltà legate in gran parte al livello a cui si colloca il pigmento: sarà infatti relativamente più agevole e rapida se la pigmentazione è epidermica. Il pigmento dermico invece, mancando una efficace terapia per rimuoverlo, impone tempi lunghi (mesi o anni). Tuttavia ciò non deve scoraggiare. Infatti la fonte del pigmento dermico è l’ epidermide: pertanto se si riesce a inibire la melanogenesi epidermica per un periodo sufficientemente lungo, il pigmento dermico non sarà sostituito e quindi, pur lentamente, si risolverà.
Fondamentale, qualunque sia il livello della pigmentazione, è evitare il sole, nel limite del praticabile, e usare protettori solari ad ampio spettro (SPF 15 o più) ogni mattino, tutti i giorni dell’ anno, indipendentemente se vi sia o meno il sole. Un giorno di esposizione al sole senza fotoprotezione può pregiudicare mesi di trattamento, specie in soggetti con tendenza alla forma dermica.
Utile anche l’uso di copricapo.
Alla fotoprotezione si affiancherà l’ uso di prodotti topici sbiancanti, oltre ad eventuali peeling superficiali nell’ intento di accelerarne la risoluzione attraverso una tenue esfoliazione.
Il successo della terapia richiede comunque grande disciplina e molta pazienza. Il melasma si sviluppa gradualmente ed anche la risoluzione è graduale: possono volerci mesi.

RIASSUMENDO

Che cos’è?
E’ una condizione cutanea caratterizzata dallo sviluppo sul viso di macchie marroni

In quali zone del viso?
Principalmente sul viso, sulla fronte, sul labbro superiore.

Come si presenta?
Si tratta di macchie di colore marrone uniforme, di forma irregolare, con margini netti che si accentuano in maniera marcata durante l’estate.

Può dare dei sintomi?
No.

Quali sono le cause?
Tre sono i fattori causali fondamentali: predisposizione genetica, attività ormonale e soprattutto esposizione al sole.

Chi ne è colpito?
Nella maggioranza dei casi le donne che stanno assumendo la pillola anticoncezionale o in stato di gravidanza: infatti il melasma viene anche definito “maschera della gravidanza”.

Come viene diagnosticato?
La diagnosi si basa sull’osservazione clinica.

Il cloasma è la stessa cosa?
Si. E’ il termine che spesso si usa per le pigmentazioni che si presentano sui viso delle donne gravide.

Ci sono rischi per chi vive a contatto con chi è affetto da melasma?
No, perchè non è contagioso.

Si può curare?
La cura del melasma non sempre è agevole. Fondamentale è l’uso di un protettore solare con SPF pari o superiore a 15, evitare l’esposizione solare e utilizzare schiarenti cutanei. Mai “il fai da te”, ma sentire il parere di uno specialista dermatologo.

Occorre tanto tempo per avere dei risultati?
La risoluzione è graduate: nell’ordine di mesi (talvolta tanti).

Si può prevenire?
Si può ridurre il rischio non assumendo la pillola ed evitando il sole oltre a proteggere la cute con un prodotto efficace. Ciò vale soprattutto per quelle donne nella cui famiglia vi sono già stati casi di melasma.

Il melasma può dare effetti a lungo termine?
No, è un problema puramente estetico

Luciano Schiazza -dermatologo
pubblicazione del 2003

LA PITYRIASIS VERSICOLOR

E’ l’ aspetto antiestetico che avvicina il paziente al dermatologo. Infatti non sono presenti sintomi soggettivi nè effetti sullo stato generale: la salute del soggetto è buona. La cute, talora sgradevole alla vista, contrasta quindi con la benignità della malattia che ha un nome curioso: Pityriasis versicolor (P.v.).

La Pityriasis versicolor deve il suo nome (versicolor) alla presenza di macchie multicolori: infatti accanto alla varietà acromizzante (chiazze biancastre) che raccoglie circa la metà dei casi ed è particolarmente evidente nei soggetti a cute scura e dopo l’esposizione al sole (il fungo esercita una azione inibitoria sulla pigmentazione), si possono osservare la varietà bruna (chiazze color bruno-camoscio, caffelatte) e la varietà eritematosa (chiazze rosate). Tali quadri clinici sono presenti nella maggioranza dei casi singolarmente; talora, molto più raramente, coesistono nello stesso paziente (soggetti a cute chiara non esposta al sole), dando origine alla varietà variopinta.
Accanto al colore, le macule di Pityriasis versicolor in fase attiva e non trattate, sono caratterizzate dalla presenza sulla superficie di minute squame che assomigliano a crusca (da cui il nome Pityriasis, dal greco pituron=crusca) che possono essere facilmente rimosse senza emorragia con un colpo d’unghia od una curette smussa (cosiddetto “segno del colpo d’unghia””scratch sign” per gli anglosassoni, “signe du coup d’ongle” per i francesi oppure “segno del truciolo” – “chip sign”, “signe du coupeau”-).
Le dimensioni delle macchie possono variare da pochissimi millimetri (1-2) a qualche centimetro (con forme ovalari o rotondeggianti), il numero degli elementi da pochi a decine e decine, l’ estensione da localizzata ad un segmento cutaneo a generalizzata su di una grande area cutanea.
Le sedi più comunemente interessate sono la parte superiore del tronco e del dorso e il collo. Meno frequentemente il viso (lungo l’attaccatura dei capelli), gli arti superiori ed inferiori, le pieghe cutanee (cavi ascellari, inguine, piega del gomito, cavo popliteo, solchi sottomammari), il pube, il pene, il seno.
L’agente causale della malattia (denominato Malassezia furfur, Pityrosporum orbicolare, Pityrosporum ovale) è un lievito lipofilo e lipido-dipendente (ossia necessita di grassi per vivere), saprofita della cute (ossia vive a spese della cute senza danneggiarla) ed in particolare del follicolo pilifero; è presente in un’altissima percentuale della popolazione sana. Poichè relativamente modesta è la percentuale di persone affette da Pityriasis versicolor rispetto ai portatori asintomatici (ossia senza manifestazioni cliniche della malattia) occorre che vi siano fattori favorenti che inducano il passaggio del lievito da saprofita a parassita patogeno (in questo caso vive a spese della cute danneggiandola).
Innanzitutto è da porsi l’assunto di una predisposizione genetica. Infatti in contrasto con la scarsa o nulla contagiosità del lievito (come è dimostrato dalle numerosissime coppie in cui la moglie od il marito ha la Pityriasis versicolor mentre l’ altro coniuge ne è esente), non è raro osservare nuclei familiari della medesima discendenza ammalati.
Su questo carattere individuale fondamentale se ne inseriscono altri, chiaramente favorenti:

1) i lipidi (grassi) cutanei (come detto in precedenza il lievito si nutre di grassi), sia di produzione delle ghiandole sebacee sia derivanti dalla decomposizione delle cellule della cute;
2) la secrezione sudorale influenza la crescita poichè, come ogni altro fungo, il Pityrosporum ha bisogno di umidità per crescere;
3) il clima caldo-umido.

Da quest’ insieme di fattori si comprende come:

A) le zone colpite dalla malattia siano quelle in cui sono presenti le ghiandole sebacee, ossia tutto il corpo tranne le piante dei piedi e il palmo delle mani (vedi punto 1 dei fattori favorenti);
B) siano affetti maggiormente soggetti con abbondante sudorazione, oppure persone che frequentino luoghi in cui essa sia stimolata (saune, palestre, ecc.) oppure indossino indumenti sintetici che mantengono umida la pelle (vedi punto 2);
C) nel nostro paese sia tipica la periodicità estiva (vedi punto 3): il clima caldoumido estivo infatti stimola la sudorazione e l’esposizione ai raggi ultravioletti la produzione di melanina, responsabile dell’abbronzatura e quindi di quel contrasto cromatico che è alla base dell’inestetismo della malattia.

Nella diagnosi dell’affezione bisogna tenere conto che non tutte le macchie bianche della cute sono Pityriasis versicolor. Capita spesso infatti che si presentino a visita persone erroneamente convinte di avere tale malattia. Ricordiamo ad esempio come la vitiligine, laPityrisiasi alba (tipica del volto dei bambini), le acromie lenticolari idiopatiche (presenti sulle gambe di persone in età matura, specie se con precedenti di prolungate esposizioni solari), le discromie che talora seguono l’abbronzatura simulino talora la Pityriasis versicolor La certezza della diagnosi si basa sull’ esperienza dello specialista dermatologo che può intuirla attraverso alcune caratteristiche della malattia oppure, in caso di dubbio, mediante un esame microscopico diretto delle squame cornee prelevate da una chiazza tramite delicato curretage o esaminando la cute del paziente, in ambiente buio, con la lampada di Wood (lampada a raggi ultravioletti di una determinata lunghezza d’onda): le lesioni di Pityriasis versicolor emettono una inconfondibile e tipica fluorescenza giallo-verdastra, permettendo altresì di scoprire macchie peraltro invisibili a occhio nudo.

La terapia della Pityriasis versicolor si basa sull’uso di farmaci da applicare sulla cute o da assumere per via orale, avendo presente che un ciclo di cura non ha efficacia perenne, data la tendenza a ripetersi della malattia, e che le cure e gli accertamenti dovrebbero essere preferibilmente opera dello specialista dermatologo.

Luciano Schiazza -dermatologo
pubblicazione del 2003

LA MALATTIA MANI PIEDI BOCCA

La trasmissione della malattia avviene per contatto diretto con secrezioni nasali, orali o materiale fecale di persona infetta, la cui contagiosità è massima nella prima settimana di malattia.

Nei nostri climi tende a manifestarsi nella stagione temperata, specialmente tarda estate-inizio autunno.
I più colpiti sono i bambini sotto i 10 anni di età, anche se chiunque potenzialmente può essere infettato.
Il periodo di incubazione (che intercorre tra il contagio e la comparsa dei sintomi) è in media di 3-6 giorni.
I primi segni della MMPB sono generici quali febbre (in media 38.3°C), scarso appetito, sensazione di malessere, dolori addominali. Dopo 1-2 giorni dall’inizio della febbre compare l’enantema che si localizza sulla lingua (44% dei casi), sulle gengive, sulla parte interna delle guance, sul palato. Si tratta di macule rosse che evolvono in vescicole su base rossa. Raramente però è possibile vederle poichè esse facilmente si rompono lasciando rosioni dolorose al punto di causare spesso difficoltà ad alimentarsi.
L’eruzione nella cavità orale precede la comparsa delle lesioni cutanee che tipicamente si localizzano alle mani (regione palmare), ai piedi (regione plantare) ed alle natiche. Anche qui compaiono dapprima maculopapule rosse di 2-10 mm. che al centro si trasformano in vescicole grigiastre caratteristiche: infatti sono ellittiche con l’ asse maggiore disposto parallelamente alle linee di tensione cutanea: non sono pruriginose.
Nel giro di 7-10 giorni vi è la guarigione spontanea.
Occasionalmente il paziente può presentare febbre alta, intenso malessere, diarrea e artralgie; raramente si associa una meningite asettica o virale.
In caso di infezione della donna nel 1° trimestre di gravidanza vi può essere aborto spontaneo o ritardo di crescita intrauterina.
Non esiste terapia specifica per tale malattia. L’intervento medico si limita a porre sollievo alla febbre o agli eventuali dolori delle ulcerazioni in bocca.
Riassumendo

Come si trasmette?
E’ un’infezione virale
Qual è la causa?
E’ causata comunemente dal coxsackievirus A16, appartenente agli enterovirus.
E’ contagiosa?
Si
Come si trasmette?
Per contatto diretto con secrezioni nasali e/o orali o materiale fecale di persona infetta.
Quanto dura l’incubazione?
3/6 giorni in media
Chi colpisce?
Chiunque, ma più frequentemente i bambini sotto i 10 anni di età
Quando?
Solitamente tarda estate-inizio autunno.
Come si manifesta?
Esordisce con sintomi generici quali febbre lieve, scarso appetito, malessere, dolore addominale.
Dopo 1-2 giorni compaiono le lesioni in bocca, tipicamente erosioni dolorose. Dopo altri 1-2 giorni compaiono sulle regioni palmari e plantari ed anche alle natiche lesioni, tipiche vescicole ovolari disposte parallelamente alle linee di tensione cutanea.
E’ una malattia grave?
Di solito no
Qual è il decorso?
Di solito si risolve spontaneamente in 7/10 giorni
Vi sono complicazioni?
Raramente. Occorre comunque seguire il paziente durante la malattia per eventuali segni di meningite.
Com’è la prognosi?
Eccellente.
Come si cura?
Non vi è terapia specifica. Al bisogno, sintomatici per la febbre e per le erosioni in bocca.
La malattia può recidivare?
Si, se la nuova infezione è causata da un enterovirus diverso da quello che ha determinato il primo episodio.
Il bambino può continuare a frequentare la scuola?
Si, in quanto non è contemplato l’allontanamento del bambino dalla scuola; tuttavia sarebbe bene evitare situazioni di stretto contatto con altri bambini, per ridurre la diffusione della malattia.

Infine è bene ricordare che…

…il virus può essere presente nelle feci del paziente per un mese.
…non si devono rompere le bolle (per ridurre la diffusione del virus)
…il paziente e i famigliari devono lavare frequentemente e con accuratezza le mani.

Luciano Schiazza – dermatologo
pubblicazione del 2003

DETERSIONE E PROTEZIONE DELL’INFANZIA

- Epidermide: è un tessuto dinamico che si rigenera continuamente e che rappresenta una vera barriera semipermeabile contro la penetrazione di sostanze estranee. E’ costituita da diversi strati: basale, spinoso, granuloso, lucido e corneo. 

Le cellule dello strato corneo sono ricche di cheratina, una sostanza che conferisce alIa pelle resistenza e impermeabilità agli agenti esterni. Esse si desquamano continuamente e vengono perciò rimpiazzate da altre cellule che si formano nello strato sottostante basale. Nello strato basale si forma una sostanza nota come melanina, un pigmento bruno che ha funzione di proteggere la pelle dalla stimolazione del sole, conferendo ad essa una colorazione nota come abbronzatura. L’ epidermide si rinnova continuamente: le cellule si formano, muoiono e vengono eliminate in un processo di trasformazione che dura circa una ventina di giorni.

- Derma: è la struttura che dà nutrimento alla pelle. Nel derma si possono distinguere due strati: quello superficiale (detto anche papillare) e quello profondo (o reticolare), rappresentati da tessuto connettivo fibroso le cui fibre collagene, elastiche e reticolari, hanno direzione sia parallela che perpendicolare alla superficie cutanea in modo da formare una maglia caratteristica che dà alla cute la qualità di essere distendibile.
Il derma è ricco di:
- un complesso sistema di vasi sanguigni che nutrono la pelle;
- nervi e terminazioni nervose sensoriali che prima raccolgono gli stimoli tattili quali caldo, freddo, ruvido, liscio, pressione, dolore etc. esercitati sulla pelle e poi li trasmettono al cervello.
Nel derma sono impiantate, inoltre:
1) le ghiandole sudoripare che secernono il sudore (costituito da acqua, sali minerali, urea e tossine) che ha il compito di espellere dall’ organismo una parte delle tossine e che, evaporando, rinfresca la pelle;
2) le ghiandole sebacee, sparse con differente densità per tutta la superficie cutanea, producono il sebo (secrezione a base di lipidi), che mantiene la pelle elastica e tonificata, svolgendo inoltre una funzione batteriostatica (impedisce cioè che i batteri entrino nell’ organismo).
- Ipoderma: è lo strato più interno e ha fondamentalmente il compito di proteggere gli organi dai traumi e dalla dispersione di calore oltre a rappresentare una riserva energetica che si deposita sotto la superficie della pelle.

“Come la pelle di un neonato”
E’ un’espressione oramai proverbiale per indicare una pelle liscia, vellutata e morbida. A queste qualità vanno però associate anche la delicatezza e la vulnerabilità che caratterizzano la pelle del bambino soggetta dunque facilmente ad arrossamenti ed irritazioni (soprattutto in certe zone “a rischio”) causate da agenti esterni o interni.
La pelle del neonato, a differenza di quella dell’adulto, non è ancora completamente formata ed è perciò piuttosto fragile; la conoscenza, quindi, delle sue caratteristiche aiuta a seguire un buon programma di igiene.
Al momento della nascita la pelle appare completamente ricoperta da una membrana protettiva di colore bianco-giallastro, la cosiddetta vernice caseosa, formata da sebo e da cellule desquamate prodotta dalle ghiandole sebacee durante il periodo fetale che ha I’importante funzione di protezione contro la macerazione provocata dal liquido amniotico. Rapidamente la secrezione di sebo nel bambino diminuisce e la vernice caseosa viene rimossa, ciò può causare secchezza cutanea. Tale rimozione è spesso accentuata dall’uso sconsiderato di detergenti che contengono sostanze troppo aggressive.
La superficie cutanea del bambino, in rapporto al suo peso, è inoItre relativamente piu estesa rispettò a quella dell’adulto, e ciò può comportare una maggiore concentrazione di sostanze assorbite attraverso la pelle, ciò moltiplica le possibilità di assorbimento di tutto ciò che viene applicato sull’ epidermide e aumenta, di conseguenza, i rischi di inconvenienti dovuti all’uso di prodotti cosmetici non adatti.
OItre a ciò la estrema fragilità della pelle del lattante aumenta i rischi legati al contatto prolungato con fattori irritanti quali urine, feci, pannolini, biancheria, prodotti da toilette. La pulizia periodica delI’area del pannolino va perciò eseguita frequentemente tutte le voIte che il bambino è bagnato o sporco, per evitare che un contatto prolungato con gli escrementi possa infiammare ed irritare la fragile cute. Nel lattante è frequente infatti la dermatite da pannolino, un’irritazione della pelle del sederino e dei genitali, causata dal contatto prolungato con le feci e le urine (in particolare con l’ammoniaca presente nella pipì), che alla lunga macerano la pelle provocando arrossamenti spesso dolorosi quando si toccano, qualche voIta accompagnati da vesciche e piaghe.
Per prevenire I’ eritema dell’area del pannolino la pelle va lavata ad ogni cambio con acqua tiepida, ricordando di eseguire la pulizia nelle femmine dall’ avanti all’indietro, in modo da evitare di trasportare sostanze irritanti dalla regione anale a quella vaginale. Per la pulizia ci si può servire di batuffoli di ovatta (mai spugne, in quanto sono assolutamente antigieniche per questo impiego, poiché si impregnano di sporcizia), aprendo e pulendo con cura tutte le pieghe. La cute va poi asciugata per contatto applicando successivamente una pasta protettiva (vedremo questo in modo più dettagliato nel rito del bagnetto di seguito descritto ).
La quantità di acqua che è contenuta negli strati piu profondi della pelle è moIto importante perchè ad essa si deve la delicatezza e l’estrema fragilità della pelle del bambino, ma anche la scarsa resistenza e la poca tonicità.
Nei primi anni di vita, quindi, i prodotti più usati per la cura della pelle del bambino possono essere distinti in:
* Detergenti
* Protettivi

DETERGENTI
Un buon prodotto detergente deve possedere un’azione emolliente in grado di garantire setosità e trasparenza cutanea. Deve pulire a fondo la pelle, senza inaridirla ed irritarla, rispettando quel film idrolipidico che funge da difesa e protezione contro l’attacco degli agenti esterni dannosi.
Ma in realtà cos’è un sapone?
Una molecola di sapone contiene una lunga catena idrocarburica ed un’estremità ionica.
La parte idrocarburica della molecola è idrofoba (cioè poco affine all’ acqua) e solubile nei composti apolari, mentre la testa ionica è idrofila (cioè si scioglie in acqua). A causa della catena idrocarburica la molecola di sapone non può sciogliersi completamente in acqua ed il sapone resta sospeso nell’acqua in forma di micelle, cioè di aggregati di 50-200 molecole aventi I’ estremità ionica verso l’ acqua e le catene idrocarburiche legate tra loro da forze dispersive (Heitler-London) a costituire il cosiddetto “cuore micellare”
Il pregio di un sapone sta nella sua capacità di emulsionare lo sporco, in modo che lo si possa sciacquare con acqua. Le proprietà emulsive sono dovute al fatto che la parte idrocarburica delle molecole di sapone si scioglie in sostanze apolari, ovvero lo sporco, mentre le teste ioniche vengono attratte dall’ acqua, e si respingono tra di loro obbligando lo sporco a rimanere sospeso in forma di microgocce. Oggi, con una certa incoscienza, si tende ad un uso eccessivo di detergenti spesso inadeguati.
La loro azione lesiva viene incrementata dall’utilizzo, nella loro formulazione, di sostanze eccessivamente aggressive. L’uso sconsiderato di detergenti comuni può aIterare il film idrolipidico e il pH cutaneo (cioè il livello di acidità della pelle) del piccolo, mentre esistono prodotti specifici, in grado di rispettare il naturale equilibrio epidermico. Per non irritare la pelle delicata del bambino occorrono, quindi, detergenti specifici per l’infanzia. Il mercato propone una vasta gamma di prodotti: dalla saponetta al bagnoschiuma, all’olio da bagno, allo shampoo. I piu delicati hanno un pH di circa 5,5, (il più simile alle condizioni fisiologiche della cute) indicati soprattutto se il bambino è predisposto a reazioni allergiche, tra questi ricordiamo gli olii da bagno che svolgono un’azione lenitiva e idratante e addolciscono I’ acqua molto calcarea.
Vietati, quindi, saponi aggressivi, profumi o acqua di colonia: irritano la pelIe, la impoveriscono e la disidratano, causando fastidiose screpolature. Generalmente buoni prodotti contengono olii (olio di mandorla, olio di vaselina) che opportunamente miscelati consentono di formulare detergenti che puliscono per affinità, rimovendo la sporco annidato nella porzione lipidica. Sicuramente la presenza di additivi reologici (cocoilamide, cocoilpropil betaina) rendono le soluzioni meno essiccanti, mentre vitamina A o precursori (daucus carota) e vitamina E hanno azione antiossidante e rigenerante. Sostanze come I’ alfa bisabololo, I’ acido 18 beta glicinetico, I’ allantoina, il pantenolo possono sostituire o coadiuvare l’ azione antisettica, cicatrizzante e riepitelizzante dello zinco ossido.
Ritroveremo, infine, sostanze naturali (avena colloidale, camomilla, miele) che hanno azione lenitiva, decongestionante e antipruriginosa, in base alle percentuali in cui vengono utilizzate.

“il Bagnetto”
Dopo i primi 15 giomi dalIa nascita, quindi dopo che è avvenuta la caduta del moncone del cordone ombelicale, si può effettuare il bagnetto (l’acqua infatti ostacola la cicatrizzazione dei tessuti). Nel frattempo il neonato va deterso con spugnature d’ acqua tiepida su tutto il corpo, eccetto la zona del cordone ombelicale. Quando l’ ombelico si è completamente cicatrizzato si può passare all’immersione.
La temperatura dell’acqua deve essere di circa 37° C, mentre per detergere con delicatezza è pratica una spugna naturale o un guanto morbido che permettono di pulire anche le zone più delicate senza il timore di graffiare o irritare la pelle sensibile del bambino. Vicino alIa vaschetta è bene tenere I’ accappatoio o il telo in spugna in modo da non dover lasciare da solo suI fasciatoio il bambino dopo il bagno.
L’ ambiente deve essere tiepido ma non eccessivamente riscaldato: la temperatura ideale è intomo ai 23° C. Uno sbalzo eccessivo tra il luogo del bagnetto e gli altri locali potrebbe provocare al bambino raffreddore, tosse o mal di gola. Occorre utilizzare una vaschetta abbastanza ampia per permettere al bambino di muoversi e distendersi. Questa deve essere piena d’ acqua, in modo che il piccolo resti immerso fino al collo e non prenda freddo.
Per fare il bagnetto non c’è un’ ora fissa, ma I’ esperienza consiglia di farlo prima del pasto serale, tre le 19 e le 20. Il bagno ha un effetto distensivo suI bambino: è quindi un metodo naturale ed efficace per favorire la nanna nelle ore nottume anche nei neonati piu incquieti. Il bambino va adagiato in vasca con gesti pacati ma sicuri, immergendolo nell’acqua gradualmente, va sostenuto passando un braccio dietro la schiena e appoggiando il capo sull’ avambraccio. Con la mano libera si procede poi alIa pulizia del viso, collo, torace e gambine. Poi va girato sorreggendogli il petto con il braccio, per detergergli la schiena e il sederino.
Per favorire un buon rapporto con l’ acqua occorre maneggiare il piccolo con sicurezza altrimenti potrebbe innervosirsi, non tanto per paura dell’acqua quanto per la sensazione di disagio trasmessagli da chi lo accudisce. Se, infatti, i genitori toccano il bimbo con incertezza e temono di fargli male, gli comunicano ansia e lo inducono a diffidare dell’acqua. Terminato il bagnetto occone asciugare accuratamente il bambino: è opportuno tamponarlo con la massima delicatezza per non irritare la pelIe e asciugare bene le zone delle pieghe (inguine, sederino, ascelle) per prevenire il ristagno di umidità che favorisce la macerazione della cute.
Si può usare anche un po’ di talco versandone una piccola quantità suI palmo della mano per poi massaggiarlo delicatamente sulla pelle, evitando così che il piccolo possa inalare il prodotto e irritare le mucose.
Il rito del bagno dovrebbe terminare con un massaggio rilassante al neonato. Oltre a infondere una sensazione di benessere, la manipolazione è essenziale per la conoscenza tra genitori e figlio: attraverso il tatto si crea un linguaggio speciale, profondo e istintivo, che rafforza il rapporto affettivo. Anche per questo motivo, quindi, è bene che la mamma e il papà si alternino.

PROTETTIVI
Dopo che il bagnetto è stato effettuato bisogna controllare accuratamente lo stato della pelle del bambino. Infatti, a seconda che presenti arrossamenti o no, i trattamenti sono diversi. Nel primo caso è necessario applicare una crema altamente lenitiva e protettiva, ovvero con una più alta percentuale di ossido di zinco per dare sollievo e prevenire altre forme di rossore. Nel secondo caso basta applicare una crema protettiva più leggera per mantenere la pelle sana e integra.
Innanzitutto è bene che sulla pelle del bambino non vi siano residui di sporco poichè il rischio è di provocare piu danni che benefici. Infatti l’ azione della crema protettiva è quella di formare un sottile film-barriera che, aderendo perfettamente alIa pelle pulita, ostacoli efficacemente il suo contatto diretto con feci e urine. La stessa crema applicata sullo sporco residuo, lo “fissa” sulla pelle provocando un contatto lungo ed indesiderato che faciliterà irritazioni ed arrossamenti. Secondo la F.U. (farmacopea ufficiale) le forme farmaceutiche per uso dermatologiche sono definite come pomate e si differenziano in:
- unguenti
- creme
- gel
- paste

Tra queste le creme e le paste sono quelle più utilizzate per ripristinare e ristrutturare la barriera cutanea del bambino. Le prime sono facilmente spalmabili, le seconde sono maggiormente schermanti e impermeabilizzanti.
Nelle creme ritroveremo vari componenti:
* Componenti ehe esaltano la spalmabilità come glicerina, ceramidi, allantoina e il pantenolo (sostanze ammorbidenti e idratanti che facilmente penetrano la pelle).
* Componenti che rafforzano la caratteristica barriera della pelle, cioè creme che formano una pellicola selettiva che procura uno schermo dagli agenti irritanti, ma allo stesso tempo permette che le molecole di ossigeno, anidride carbonica e vapore acqueo siano permeabili.
Nelle paste è comune ritrovare lo zinco ossido con percentuali molto alte (10% ed oltre). Questo perchè, applicato sui genitali esterni, esplica un’ azione antisettica, astringente e riepitelizzante.
Nelle paste inoltre, per rafforzare l’adesività e al contempo l’effetto schermante, ritroveremo l’idrolizzato di caseina (proteina derivata dal latte)
Sia nelle paste che nelle creme sono presenti sostanze naturali:
* Camomilla: è la più nota, sfrutta le proprietà contenute nei capolini dei fiori (olio essenziale ricco di camazulene, carburi terpenici e di alfa bisabololo) ed ha un’ azione antiflogistica e cicatrizzante.
* Calendula: vanta proprietà emollienti. I flavonoidi racchiusi nei sui fiori favoriscono la prevenzione e la cura degli arrossenti cutanei.
* Borragine: grazie agli acidi grassi essenziali (omega-6 ed omega-3) la borragine ripristina la permeabilità delle membrane cellulari,
* Amamelide: ha un’ azione astringente, antiflogistica e cicatrizzante per effetto dei derivati flavonici e tanninici racchiuse nelle foglie.

Spesso nelle formulazioni di creme e paste ritroveremo I’urea la cui azione principale è quella di mantenere morbido ed elastico lo strato corneo, evitando l’indurimento e l’ispessimento grazie alle sue proprietà igroscopiche.
Infine, tra le sostanze piu recenti si sono rivelate utili l’ acido fitico e l’ acetato d’ oleile le cui funzioni (prevengono e risolvono le fasi iniziali della dermatite da pannolino) sono dovute principalmente all’inibizione delle lipasi e delle proteasi fecali responsabili dell’irritazione cutanea, per questo tali sostanze sono dette anche antienzimi.

La pelle dei bambini deve essere curata in tutte le fasi della crescita, l’ amore e la cura che riversiamo nei piccoli è tangibile anche dallo stato della pelle, e nel curarla ricordiamo sempre: “noi doniamo poca cosa dando ciò che possediamo. E’ quando doniamo noi stessi che doniamo veramente”.

Luigi Buonoconto
pubblicazione del 2005

FINALMENTE ARRIVA IL CALDO, MA OCCHIO AL SUDORE!

Gli odori sono dovuti principalmente a due fattori:

- gli ormoni
- la modificazione delle caratteristiche quali-quantitative delle secrezioni sebacee e del sudore che svolge importanti funzioni fisiologiche quali la protezione della pelle dalla disidratazione, l’ eliminazione di sostanze di scarto e soprattutto la regolazione della temperatura corporea.
Affianco a queste funzioni essenziali, il sudore quando viene decomposto dalla flora batterica della pelle (prevalentemente Gram-positiva) mediante particolari reazioni enzimatiche da origine ad acidi grassi a catena corta. Anche gli ormoni androgeni, presenti nel secreto apocrino sotto forma salificata, vengono sottoposti al medesimo destino originando steroidi liberi. Sia gli acidi grassi che gli steroidi sono molecole altamente volatili ed odorose in grado di conferire al sudore (in base al numero ed al tipo di batteri coinvolti) odori di natura diversa.
In alcuni paesi gli uomini considerano il sudare una cosa naturale, un simbolo del loro “essere uomo”. In alcune parti dell’Asia è diffuso l’uso di ridurre il sudore strofinando sulle ascelle dei cristalli di allume, chiamati tawas, che presentano principi attivi molto simili a quelli degli antitraspiranti moderni e che funzionano esattamente allo stesso modo. In un’altra parte dell’Asia, poi, vi sono persone che utilizzano il succo di lime applicandolo con le mani o con un panno, mentre in Russia il rimedio tradizionale contro la sudorazione è l’aceto di mele.

Il sudore
La sudorazione è dovuta alIa presenza sulla nostra pelle di strutture note come ghiandole sudoripare. Esse si dividono in eccrine ed apocrine e sotto gli stimoli nervosi, ormonali ed ambientali, lavorano in modo incessante.
Le ghiandole eccrine dal punto di vista numerico sovrastano di gran lunga le apocrine. Le prime sono presenti in modo praticamente ubiquitario sulla pelle ad eccezione di piccole aree a livello dei genitali e presso la superficie interna del padiglione auricolare, abbondano, invece, con una concentrazione fin’ anche di 620 per cm2 sulla pianta dei piedi, nel palmo delle mani e sul cuoio capelluto.
Le ghiandole apocrine, invece, sono localizzate a livello ascellare, mammario-areaolare e genitale. Dalla loro localizzazione è evidente che queste sono le ghiandole più coinvolte nella produzione degli odori. Soprattutto negli animali hanno un ruolo attivo nella sviluppo dei richiami sessuali.
Le componenti del sudore
La composizione del sudore varia considerevolmente da persona a persona, da momento a momento, da sede cutanea a sede cutanea. Il sudore si può definire come un filtrato del plasma, ciò è evidente anche dalla sua composizione. I principali componenti del sudore sono gli elettroliti plasmatici quali il sodio, il cloro e il potassio unitamente all’urea e all’acido lattico, è presente, inoltre, anche una piccola quantita di glucosio.
Il pH del sudore varia da 4 a 7.
Normalmente non ci si rende conto di sudare tuttavia durante l’arco della giornata esiste una sudorazione continua denominata perspiratio insensibilis (si calcola essere intorno ai 500 ml quotidiani). Durante l’esercizio fisico la sudorazione aumenta notevolmente e può raggiungere dopo alcune ore quantità considerevoli anche di diversi litri. Da un lato quindi la sudorazione assolve ad importanti funzioni fisiologiche mentre dall’altro il prodotto, cioè il sudore, rappresenta il substrato per la formazione dei cattivi odori.
La secrezione prodotta dalle ghiandole sudoripare non appena emessa non ha praticamente odore che invece si forma solo successivamente a seguito dell’azione della flora battericaresidente sulla cute. In tal modo ciascun individuo assume un caratteristico odore assolutamente personale che si inserisce su un odore più generalmente legato alla specie, addirittura alla etnia di appartenenza e a molte condizioni di variabilità intrinseche ed estrinseche. I batteri presenti sulla superficie cutanea possiedono enzimi in grado di digerire le componenti del sudore eccrino ed apocrino dando luogo alla produzione di particolari composti denominati acidi grassi liberi che sono i veri responsabili del “nostro” odore. La reazione operata da questi enzimi avviene preferibilmente in ambiente caldo umido e in condizioni di pH di tipo alcalino. I batteri che si rendono responsabili di tale modificazioni sono quelli saprofiti (la densità della flora saprofita può raggiungere i 7 milioni/cm2 ) cioè quelli presenti abitualmente sulla superficie cutanea dei soggetti sani, a tal ragione non bisogna pensare che vi sono delle infezioni responsabili della produzione dei cattivi odori.
Per quanto detto più sopra la densità citata è più facilmente raggiunta nelle zone caldo-umide della superficie cutanea come i cavi ascellari, gli spazi interdigitali, le grandi pieghe cutanee. La popolazione saprofita non ha solamente ruolo nella formazione dei cattivi odori ma utili funzioni come quella di impedire lo sviluppo di una flora batterica patogena che potrebbe dar luogo a problemi più seri.

Iperidrosi
La sudorazione a volte può aumentare a tal punto da diventare un grave disagio, questo fenomeno è noto come Iperidrosi. Se ne distinguono due forme:
1) Secondaria dovuta ad alcune patologie come l’ipertiroidismo, l’ obesità, la menopausa, I’uso di antidepressivi e disordini del sistema nervosa centrale.
2) Essenziale (o idiopatica) che non ha cause specifiche, generalmente compare nell’adoescenza e si protrae per tutta la vita.
Il trattamento di prima scelta nella cura dell’iperidrosi consiste nell’utilizzo degli antitraspiranti.
Bromidrosi
Un altro disordine tipico della sudorazione è la bromidrosi, ossia la secrezione maleodorante a prevalente localizzazione ascellare e plantare. Per ovviare a tale problematica è solito l’uso di sostanze coprenti, di antimicrobici e sostanze in grado di inglobare gli acidi grassi derivanti dalla degradazione enzimatica.
Come intervengono i deodorantiCome abbiamo prima visto (produzione del sudore, genesi dei cattivi odori) per ovviare a questi fastidiosi inconvenienti sono stati sviluppati i cosiddetti deodoranti in modo da eliminare il cattivo odore senza alterare i delicati equilibri fisiologici che stanno alla base della sudorazione. Queste formulazioni contengono in genere sostanze cosiddette attive (responsabili dell’ effetto) e sostanze in grado di veicolare tali principi attivi nella sede dove va esplicata l’ azione (eccipienti). Tra le sostanze attive si contano antisudorali, antitraspiranti, battericidi, batteriostatici, assorbenti degli odori, sostanze con azione antienzimatica batterica, profumazioni, alcool etilico.
In genere la funzione degli antitraspiranti è quella di limitare la sudorazione controllando il flusso di sudore ascellare e nascondendo l’odore corporeo. La funzione dei deodoranti, invece, è quella di impedire la formazione di odori sgradevoli utilizzando dei profumi e riducendo i livelli di batteri nella zona ascellare. Tuttavia, nessuna delle due tipologie di prodotti è in grado di bloccare il processo di sudorazione.
Assorbenti
La funzione di queste sostanze, tra cui spiccano i derivati di zinco (zinco ricinoleato), magnesio o di calcio e zinco carbonato, sta nella capacità di chelare, attraverso la formazione di complessi, i derivati maleodoranti frutto della degradazione enzimatica con la formazione dei sali non più volatili e quindi inodori. In tal modo viene impedita la loro liberazione nell’ambiente.
Sono sostanze ben tollerate ma dotate di attivita non completa e poco modulabile. Per questo motivo non sono utilizzate da sole ma vengono inserite nella formulazione con altre sostanze attive.

Antitraspiranti
Sono da tempo sotto accusa per il rischio di essere allergizzanti. Dalle soluzioni di glutaraldeide e formaldeide al 10% si è passati oggi agli idrossicloruri di alluminio e di zirconio. Queste sostanze agiscono sulla componente acquosa della secrezione eccrina. In genere i più comuni antitraspiranti sono sali d’ alluminio o di zinco che a contatto con l’ acqua si trasformano in idrossidi, dopo di che si combinano con i lipidi acquisendo una consistenza gelatinosa. In questa forma provocano un rigonfiamento (edema) delle cellule dei dotti di escrezione sudorale ostruendo il lume stesso del dotto o in alternativa creando un vero e proprio danno di queste stesse cellule che collassano all’interno del lume duttale ostruendolo.

Antimicrobici Battericidi
La funzione di questi composti consiste nell’impedire l’eccessivo sviluppo della flora batterica (residente e non) al fine di evitare la degradazione enzimatica del sudore e lo sviluppo dell’odore. Come fatto negativo questi composti possono essere allergizzanti e inoltre possono causare lo squilibrio della flora batterica residente favorendo la proliferazione di quella patogena. Alcuni di questi vengono assorbiti per via trans-cutanea causando tossicità sistemiche. Caratteristiche ideali di un battericida sono efficacia, compatibilità con gli altri componenti del deodorante, stabilità e sicurezza cutanea. L’uso dei battericidi è regolamentato da precise norme e non tutte le possibili sostanze ad azione battericida sono ammesse all’uso nei deodoranti.
Batteriostatici
Sono preferibili rispetto ai battericidi in quanto dotati di attività meno radicale nei confronti della flora batterica residente, in tal modo si evita di squilibrare eccessivamente la microflora con le inevitabili conseguenze negative.
I batteriostatici quindi limitano, senza inibirlo totalmente, il proliferare della flora batterica inserendosi in tal modo nel processo di formazione dei prodotti responsabili dell’odorosità del sudore per mantenerlo a livelli non percepibili. Per questo motivo vista l’azione meno radicale è necessario accompagnarIi nella formulazione a sostanze ad attività mascherante per completare l’efficacia del deodorante.
L’idea di utilizzare queste sostanze deriva dalla miglior conoscenza dei meccanismi alla base della produzione dell’odore. Questi composti bloccano l’attività degli enzimi utilizzati dai batteri per degradare le componenti del sudore causando la formazione dell’odore. Il capostipite di queste sostanze è il trietilcitrato. Da questo composto, per l’azione degli stessi enzimi che provocano la formazione di sostanze odorose, si libera acido citrico che abbassando il pH cutaneo inibisce a sua volta l’attività enzimatica batterica stessa. Solitamente le sostanze ad azione antienzimatica batterica vengono accoppiate a sostanze antiossidanti con lo scopo di bloccare l’ossigeno ambientale che, reagendo con i componenti del sudore, contribuisce alla formazione del cattivo odore.
Il glucarolattone, invece, inibisce l’azione delle esterasi attive sugli steroidi, altre molecole che insieme agli acidi grassi sono responsabili della forrnazione dell’ odore.
La dermocosmetologia più avanzata sfrutta sempre più queste sostanze che rispettano perfettamente l’ecologia cutanea.
L’alcooI etilico inibisce la decomposizione del sudore ed è dotato di potere batteriostatico. Si è reso tuttavia responsabile di dermatiti irritative nonchè allergiche.
Sono olii essenziali o profumi estratti da erbe aromatiche (limone, arancio, citronella, timo, lavanda, legno di sandalo, eucalipto,etc.) in grado di mascherare gli odori senza però eliminarli. La durata dei deodoranti è generalmente breve, circa 5 ore, ed è per questo motivo che sono generalmente associati ad altri principi attivi agenti ad altri livelli come precedentemente abbiamo visto.
Di seguito riportiamo la descrizione degli ingredienti più comuni presenti negli antitraspiranti e nei deodoranti più utilizzati, indipendentemente dal formato con cui sono disponibili sui mercato (spray, stick, roll-on e cosi via) .

Acqua. 
In alcuni antitraspiranti, l’acqua viene utilizzata come vettore per altri ingredienti, infatti essa conferisce fluidità a prodotti come i roll-on e le creme e contribuisce a una migliore distribuzione del prodotto sulla pelle.

Addensante. 
A volte la sudorazione può dare la sensazione che la pelIe sia unta. La silice (silica) è un minerale che si trova in natura e che viene spesso utilizzato negli antitraspiranti e nei deodoranti per assorbire l’untuosità ed evitare la sensazione di pelle unta in seguito alIa sudorazione .
Alcool. I principi attivi degli antitraspiranti e dei deodoranti vengono spesso diluiti in alcool perchè questo, una volta applicato sulIa cute, evapora velocemente e genera un immediato senso di freschezza. Pertanto, l’alcool è un ingrediente comune in molti deodoranti roll-on, spray e in alcuni gel.
Antiossidante. La maggior parte dei prodotti contiene un antiossidante sicuro che garantisce lo stato ottimale degli altri ingredienti quando vengono a contatto con la pelIe. E’ possibile trovarlo indicato suI retro delIa confezione con iI nome di BHT .

Antitraspirante. 
Gli antitraspiranti contengono in genere dei sali per ridurre iI flusso di sudore sulIa pelle. II tipo di ingrediente specifico dipende dal prodotto. I sali si dissolvono nel sudore lasciando sulle ghiandole sudoripare una sottile pellicola di gel la quale riduce la quantita di sudore sulla pelle per alcune ore dall’applicazione dell’antitraspirante. Generalmente, i prodotti in formato spray e roll-on contengono cloridrato di alluminio (ACH, Aluminium Chlorohydrate), mentre gli stick, i gel e altri prodotti più solidi contengono un sale antitraspirante chiamato tetracloridrato di alluminio, zirconio e glicina (AZAG, Aluminium zirconium tetrachlorohydrex GLY). Questi sali rappresentano iI mezzo più sicuro ed efficace per controllare la sudorazione .
Detergente. Alcuni prodotti antitraspiranti contengono anche un ingrediente chiamato PEG-8 Distearate che facilita la rimozione del prodotto durante iI bagno o la doccia alIa fine di una giornata .
Emulsionante. Nei prodotti spray i principi attivi sono contenuti in un liquido neutro che consente una facile diffusione del prodotto sulIa pelle. Questo liquido (il più noto è il cyclomethicone) è spesso combinato con una sostanza leggermente più densa chiamata disteardimonium hectorite, la quale, oltre a fungere da strutturante per l’antitraspirante, impedisce alIe particelle più pesanti di depositarsi suI fondo .

Idratante. 
Praticamente tutti gli antitraspiranti e i deodoranti contengono anche alcuni olii emollienti per idratare e ammorbidire la pelIe e impedire la perdita di acqua. Nei roll-on e negli stick questi oli contribuiscono inoltre a dare una sensazione di “pelle liscia” dopo l’applicazione del prodotto. In genere gli agenti idratanti utilizzati negli antitraspiranti sono la glicerina (glycerin) oppure altri olii di origine vegetale, come, ad esempio, I’Helianthus Annuus (un olio di girasole) .

Olio nutriente. 
La maggior parte degli antitraspiranti contiene un olio nutriente che impedisce la formazione di depositi di prodotto, limitando quindi i residui visibili sulla pelIe o sugli abiti .
Profumo. NelIa maggior parte dei deodoranti e degli antitraspiranti vengono utilizzati profumi e fragranze che sono in grado di coprire l’odore corporeo e dare una sensazione di freschezza.
Propellente. Gli antitraspiranti e i deodoranti spray sono progettati per svolgere la loro funzione attraverso una sottile pellicola spruzzata sulIa pelIe. Per creare questa pellicola, iI prodotto contiene una miscela di propellenti ad alta, media e bassa pressione che crea un getto spray abbastanza potente da raggiungere la pelIe, ma senza irritarla. NelI’elenco degli ingredienti, questi propelIenti vengono indicati come Butane, Isobutane e Propane .

Strutturante.
Per lo stesso motivo per cui gli spray hanno bisogno di un fluido trasportatore che ne permetta la diffusione suI corpo, altri prodotti dalla consistenza più solida hanno bisogno di un agente che funga da struttura portante e impedisca la separazione degli altri ingredienti. Questa struttura può essere ottenuta da una combinazione di ingredienti, tra cui Hydrogenated Castor Oil, 18-36 Acid Trygliceride, Stearath e Stearyl Alcool.

Errori da evitare
L’uso del deodorante come di qualsiasi altro prodotto formulato per essere applicato sulla cute deve sempre e comunque essere considerato un “elemento estraneo” che si inserisce nel delicato equilibrio cutaneo. Anche il prodotto che meglio si inserisce in questo equilibrio può, se applicato senza criterio, causare al contrario alcuni disequilibri, quindi è chiaro che I’abuso è da evitare.
Un secondo punto che deve essere tenuto in considerazione dai consumatori di deodoranti è che I’applicazione non deve seguire procedure che possono essere potenzialmente o chiaramente irritative come la rasatura dei peli o I’esecuzione della ceretta. Ancora, I’applicazione del deodorante non dovrebbe essere fatta prima della esposizione solare in quanto eventuali fenomeni di fotosensibilizzazione non sono sempre prevedibili. Un riguardo particolare deve essere rivolto alla applicazione dei deodoranti nelI’infanzia. Negli infanti i meccanismi della sudorazione maturano lentamente durante lo sviluppo e pertanto sono ancora più delicati rispetto a quelli degli adulti. La prudenza in questo caso è più che d’obbligo e quindi I’uso dei deodoranti andrebbe sconsigliato. Nei bambini piu grandi il deodorante può essere concesso tenendo però presente che I’assorbimento sistemico è maggiore rispetto a quanto avviene negli adulti. Nei bambini le mamme fanno spesso ricorso al borotalco come deodorante, tale abitudine non è del tutto consigliabile per il fatto che spesso le quantita applicate risultano occlusive, frequentemente i talchi contengono profumi ed infine sono stati segnalati casi di sviluppo di granulomi da uso di borotalco a livello dell’area del pannolino.

Se l’odore non diminuisce
Una prima misura che sovente può risultare utile, nel caso in cui nonostante l’uso quotidiano del deodorante non si riesca ad essere “freschi e profumati”, è quella di rasare i peli ascellari che possono fungere da serbatoio di batteri che con la loro azione enzimatica promuovono la formazione dei cattivi odori. Successivamente può risultare d’aiuto usare biancheria intima di cotone bianco e far uso di deodoranti che sfruttino meccanismi d’azione diversi. E’ meglio in questi casi consigliarsi con lo specialista anche perchè esistono condizioni patologiche che possono presentare nel loro corteo sintomatologico lo sviluppo di cattivi odori. In questi casi insistere nel convincimento di non aver trovato il deodorante efficace potrebbe ritardare la diagnosi e ripercuotersi sul paziente.
L.Buonoconto-F.Corrado-A.Corrado-.Ora
pubblicazione del 2005

VEICOLAZIONE DERMICA NON CRUENTA

Solo per citarne alcune:

1) Una è che lo strato lucido, uno degli strati della pelle, rappresentato da una fila di cellule ormai in fase di dissoluzione ed infatti mancanti di nucleo, risulterebbe impermeabile per un gioco di forze elettrostatiche alle molecole polari
2) Un’altra teoria è che la membrana cellulare, quell’involucro che circonda ogni singola cellula e ne costituisce la parete esterna, con la sua costituzione a mosaico lipidico-proteico, cioè grassi e proteine, sarebbe in grado di far diffondere le molecole con maggior coefficiente di ripartizione lipidica, quindi con predominanza della fase grassa.

Il trasporto di molecole attraverso la cute umana è di grande interesse per il rilascio transdermico, profondo all’intemo dell’ ottima barriera costituita dalla nostra pelle, sia di molecole di vario tipo utili alIa cute, sia per la possibilità di veicolare farmaci con una metodica totalmente non invasiva.
Piccole molecole solubili nei lipidi possono essere assorbite dallo strato corneo, e poi diffuse attraverso il doppio strato di lipidi della membrana delle cellule, ma molecole solubili in acqua, non possono penetrare significativamente attraverso questa barriera.
Sulla base della funzione della pompa K/Na alcuni autori dai primi del 900 ad oggi hanno cercato un meccanismo simile per la penetrazione delle molecole d’acqua.
L’ esistenza di canali che mediano il flusso di molecole di acqua e piccole soluzioni di continuo attraverso i tessuti biologici, così come attraverso la parete dell’apparato urinario o perfino attraverso la membrana delle singole cellule, fu ipotizzata nel 1900. Più tardi nel 1950 fu trovato che l’acqua è rapidamente trasportata attraverso la membrana cellulare dei globuli rossi, mediante canali selettivi per l’acqua che escludono ioni od altri soluti. Studi di trasporto dell’ acqua in vari organismi e tessuti negli ultimi trent’ anni suggeriscono che canali acquosi hanno un alto tasso selettivo di permeabilità per molecole di acqua. L’ipotesi è che un’ impulso elettrico di alto voltaggio crei dei “pori acquosi” attraverso i lipidi di membrana dei comeociti, cellule principali di costituzione della cute.
Una più specifica ipotesi è che corti segmenti di canali si formino attraverso i lipidi in doppia fila della membrana di 5-6 cellule di comeociti contigui verso il basso, in modo da creare un passaggio transcellulare, che possiamo appunto definire “canale acquoso” adatto al passaggio di molecole di acqua.
La storia attraverso la quale si è arrivati a costruire una macchina chiamata MATRIPOR, in grado di creare praticamente questo fenomeno fisico detto ” Elettroporazione”, prende in considerazione lo studio di fenomeni fisici precedenti, realizzati con altre macchine come:
- ionoforesi che crea la ionizzazione di una sostanza per mezzo di una corrente galvanica continua
-iontoforesi come la precedente usando però un’onda evoluta modulata in treni di impulsi.
I limiti di queste tecniche sono :
- scarsa quantità di principio attivo che si riesce a veicolare
- limitata profondità di penetrazione nei tessuti
- alta concentrazione di principio attivo in una zona
L’ elettroporazione è un sistema di veicolazione transdermica, che supera i limiti delle tecniche passate e viene usata in terapia medica per la somministrazione di farmaci.
Si verifica sulla cute. Quando un impulso elettrico colpisce una cellula, si genera un potenziale di transmembrana e conseguentemente lo strato lipidico della membrana cellulare si altera e dà origine alla formazione di “canali acquosi”, chiamati anche elettropori.
Tali canali si mantengono per un periodo di tempo che va generalmente da pochi secondi a qualche decina di minuti. Più semplicemente si può dire che vengono generati dei “macropori idrofili” in seno al doppio strato lipidico della membrana delle cellule, che pare misurino alcuni micron di diametro, tali da consentire il passaggio di molecole di grosse dimensioni e ad alto peso molecolare.
E’ quindi un fenomeno di membrana delle cellule molto importante per il progresso della biologia, della biotecnologia e della medicina, che permette la penetrazione di sostanze attive idrosolubili con alto peso molecolare, come ad esempio, l’acido jaluronico, il collagene, la vitamina C, l’esapeptide, introducendo fino al 90% della sostanza attiva.
In pratica con questa metodica si riescono a veicolare molecole idrosolubili attraverso la barriera epidermica, barriera che ha una bassissima permeabilità a sostanze idrosolubili.
L’ apparecchiatura per I’ elettroporazione MATRIPOR, consta di una camera di ionizzazione nel manipolo, in grado di ionizzare le molecole e renderle così “attive” al trasporto di qualsiasi sostanza idrosolubile .
Attraverso poi l’ apertura degli elettropori sulla cute, le sostanze passano per osmosi da una cellula all’ altra e vengono rilasciate nel comparto trandermico profondo della cute.
Il manipolo a contatto con la pelle incorpora un dispenser contenente gel conduttivo, in cui sono dispersi i principi attivi che si vogliono veicolare profondamente e che nel nostro studio sono stati mirati ad ottenere un effetto di cooperazione con altri trattamenti, in particolare:
- peeling
- filler
- rivitalizzazione con prodotti iniettivi
- laserterapia
- blefaroplastica, lifting e molti altri interventi di chirurgia plastica

Il prodotto utilizzato è a base di: Acido Jaluronico (sotto forma di sodio jaluronato) con azione di stimolare il metabolismo della matrice extracellulare dermica + Esapeptide questa molecola, presente in alta concentrazione, ha azione miorilassante, per intenderci botulino-simile, e grazie all’ applicazione della corrente elettrica elettro-pulsata è possibile esasperarne la sua penetrazione attraverso la cute e garantirne quindi una notevole concentrazione a livello del tessuto sottocutaneo.
Allo scopo di :
- ottimizzare l’ aspetto cutaneo per una maggiore levigatezza, luminosità e distensione dei tratti del volto
- combattere la disidratazione naturale e iatrogena causata da alcuni trattamenti estetici
- ripristinare più velocemente un normale aspetto cutaneo post-trauma (interventi, e altre terapie medico-estetiche filler, peeling , laser).

Studio:
Sono stati trattati 30 pazienti di età compresa tra i 30 e i 60 anni, la durata di ogni trattamento è stata di 20 minuti per un numero di 10 sedute, con frequenza bisettimanale.

Vantaggi:
- aumento della durata nel tempo di tutti gli altri trattamenti precedenti
- incremento e cooperazione notevole dell’ efficacia estetica
- mancanza di effetti collaterali locali e generali
- possibilità di alte concentrazioni di prodotto localmente nella zona trattata
- minore quantità di principio attivo impiegato
- assenza di traumaticità della metodica
- assenza di tossicità

Risultati:
Aumento:
- del tono e dell’ elasticità cutanea
- dell’idratazione
- della luminosità e compattezza

Diminuzione
- dei vari inestetismi che creano disomogeneita del colorito (come macchie, arrosamenti, ispessimenti della cute, pelle secca o grassa )
In tutti i pazienti

Conclusione:
Questa metodica del tutto incruenta, perchè elimina l’uso degli aghi, definita anche “rivitalizzazione senza puntura” o “siringa virtuale”, riconosce una notevole compliance da parte dei pazienti.

Clara RIGO -dermatologa
pubblicazione del 2005

Rivitalizzazione cutanea e botox anche per lui

Quindi mi sembra sacrosanto che anche i signori uomini abbiano il diritto di preoccuparsi dell’aspetto estetico del loro manto cutaneo e si rivolgano al dermatologo, che è la persona più qualificata, per una vera cura ristrutturante della propria epidermide. Attualmente i mezzi di informazione popolari: riviste, radio, televisione, dedicano spazi di rilievo al problema della pelle e creano sempre di più sensibilizzazione, sia nei confronti dei pericoli che corre la pelle, ma anche nell’importanza di mantenere questo organo il più sano e il più giovane possibile fino a tarda età, dato che esso è sicuramente il nostro primo biglietto da visita.

Inoltre con l’accrescersi dell’importanza della “self image” nelle relazioni interpersonali, non solo per quelle persone che fanno della loro bellezza uno strumento di lavoro (attori, modelle ecc), ma anche per le persone comuni, la ricerca ha affinato le sue armi verso la scoperta di nuove sostanze che possono intervenire e diciamo in qualche modo “modulare” i processi di invecchiamento cutaneo.
Sempre un po’ ostili i nostri maschi nel prendere in considerazione le cosiddette “creme di bellezza” , come prevenzione. Molto più predisposti i giovani, specialmente se affetti da qualche patologia in atto o che ha lasciato qualche segno sulla cute.
Per gli interventi chirurgici cambia, invece, la storia ed è molto più probabile che un uomo si sottoponga ad un intervento di chirurgia estetica, rispondente ad un bisogno di benessere quasi immediato e comunque più concreto, che a qualche settimana di cure. In questa senso si può parlare oggi di “effetto Berlusconi”, che ha favorito, per fenomeno emulativo iI ricorso da parte del sesso maschile e di persone anche del ceto medio, a interventi riservati, nella mentalità comune, alle donne o ad un certo ambiente sociale. Ma noi in queste pagine ci rivolgiamo non alla chirurgia estetica ma alla dermatologia, che propone metodi meno invasivi del bisturi, e cioè luce pulsata, filler, peeling, botulino, rivitalizzazione con acido jaluronico e vitamine, queste sedute non alterano la vita quotidiana del paziente, ma si possono considerare completativi di altri interventi.
Un continuo dibattito esiste per definire quale procedura è migliore per il trattamento di rughe, cicatrici, photoaging, macchie e cheratosi solari.
In realtà, a mio avviso, non c’è una risposta di una tecnica giusta o sbagliata rispetto ad un’altra, in quanto i risultati di ciascuna di esse dipendono da un numero elevato di variabili, prima fra tutti I’indicazione precisa a quel trattamento, poi la risposta biologica dell’organismo sottoposto al trattamento e non ultimo I’abilità dell’operatore.
Uno dei componenti principali di una buona biostimolazione è sicuramente I’acido jaluronico, nella nostra pelle è il principale componente dei glucosaminoglicani, che costituiscono la matrice fondamentale del derma, e grazie al suo elevato peso molecolare è in grado di richiamare una grande quantità di acqua. Con I’andar degli anni e in seguito a stress vari: foto-esposizioni, inquinamento atmosferico, abuso di alcolici, fumo, vita frenetica, poco sonno la nostra produzione di acido jaluronico endogeno cala drammaticamente e con esso la capacità della pelle. Per le guance, il mento, i contorni della bocca si può agire reintegrando questa sostanza insieme ad un pool di vitamine antiossidanti. Queste molecole non sono considerate farmaci, ma dispositivi medici che si iniettano a microgocce nel derma superficiale con un piccolo ago molto corto di 4 mm. Il protocollo prevede una seduta alla settimana per un totale di 5-6 sedute, ripetibili almeno due volte I’anno e comunque ogni volta che per la pelle si è verificato un evento stressante, come una forte disidratazione dopo un’intensa esposizione solare.
Non si può definire un vero trattamento estetico, ma complementare nel raggiungere I’obiettivo di ringiovanimento estetico del volto.
Per voler puntualizzare i nostri trattamenti, si può dire che suddividendo idealmente il viso in due parti una superiore ed una inferiore, fino ad ora ci siamo occupati di quest’ultima, ma per I’altra si può parlare di vero e proprio trattamento estetico.
Infatti per la zona della fronte e per le rughe perioculari è molto valido il trattamento al botulino. Anni di fronte corrugata e di sguardi accigliati producono un segno quasi indelebile e via via sempre più accentuato con il passare del tempo conferendo al volto un aspetto torvo, cupo, in particolare negli uomini, dove la cute piu spessa dà luogo alla formazione di pesanti rughe di espressione.
Le cattive notizie che ne hanno dato i mass media in questi anni, le informazioni non corrette, anche dal punto di vista scientifico, che alcuni medici hanno divulgato ha sicuramente, molto a torto, penalizzato questa metodica di grande efficacia e sicurezza. Certamente bisogna rivolgersi al professionista competente, informato, buon conoscitore dell’anatomia umana, in particolare dei muscoli mimici del volto in grado di agire con sicurezza nei punti desiderati.
La mia esperienza clinica di questi anni di lavoro è stata di grande interesse e gratificazione, le aspettative iniziali sono state ampiamente superate e I’indice di soddisfazione dei pazienti è stato altissimo. La tossina botulinica è prodotta da uno specifico batterio anaerobio iI Clostridium botulinum, viene trattata e detossificata per I’uso medico e così solo una piccola parte di essa è utilizzata per dare quell’effetto di distensione del muscolo quando viene iniettata. Attenzione non di paralisi, come certe persone poco informate fanno credere ai loro pazienti, se si verifica ciò significa che c’è stato uno sbaglio tecnico.
Anzi la tossina botulinica ha dimostrato di essere il rimedio di gran lunga più efficace e, malgrado la sua limitazione di durata nel tempo pari a circa 4 mesi, i pazienti si sottopongono con regolare richiesta alle sedute di mantenimento.
Concludendo, con una buona selezione dei soggetti da trattare, scartando quelli con caduta della palpebra e sottoponendoli prima a blefaroplastica, avendo cura di indebolire il tono del muscolo che così mantiene in parte le sue funzioni, mescolandolo alle tecniche precedenti descritte, si ottiene una gradevolezza di espressione ed un piacevole aspetto estetico che anche per I’uomo che voglia dimostrarsi “maschio” non guasta.

PELLE & SOLE: L’IMPORTANZA DELLA FOTOPROTEZIONE

II Sole emette radiazioni elettroma­gnetiche (REM) con diversa lunghezza d’onda, che vanno da quelle molto corte (raggi gamma) a quelle estremamente lunghe (onde radio). A causa dell’assorbimento atmosferico, lo spettro solare al suolo e composto solamente da radiazioni con lunghezza d’onda compresa tra 290 e 3000 nm, cioè gli UV corti (UV-B 280-320 nm), gli UV lunghi (UV-A 320-400 nm), la luce visibile (VIS 400-780 nm) e una parte dell’infrarosso.

(IR 780-3000).
Le radiazioni non-ionizzanti che colpi­scono la cute umana sono composte per il
* 10% da UV (di cui 0,5% UV-B e 9,5% UV-A)
* 40% da VIS
* 50% da IR

L’interazione Luce-cute
La capacità di penetrazione delle REM nella cute umana e direttamente proporzionale alla loro lunghezza d’onda:
* I’UV-B penetra fino allo strato basale dell’epidermide
*I’UV-A giunge al derma papillare
* il VIS si spinge fino all’ipoderma
* l’IR viene bloccato dal grasso sotto­cutaneo che funge da isolante termico

Gli ettetti biologici della luce solare
La luce solare può provocare:
* reazioni dirette
eritema
pigmentazione
immuno-modulazione
foto-invecchiamento
foto-carcinogenesi
* reazioni foto-mediate
da fotosensibilizzante endogeno 0 esogeno
* reazioni di foto-sensibilità dovuta a diminuita resistenza alla luce, da cause genetiche (es. Xeroderma pigmentoso, albinismo etc … ) o acquisite (es. Vitiligine)
La reazione cutanea di più frequente riscontra e rappresentata dall’eritema solare, provocato soprattutto dall’UV-B, ma cui cooperano anche gli UV-A.
Per eritema solare si intende il classico arrossamento, accompagnato da bruciore, che esordisce dopo 12-24 ore dall’esposizione al sole e la cui intensità dipende fondamentalmente dall’irradianza solare, dalla durata dell’esposizione e dal fototipo.
L’esposizione della cute alla luce solare o a radiazioni UV artificiali provoca inoltre un incremento della pigmentazione (la cosidetta “abbronzatura”), la cui intensità è sotto controllo genetico. Responsabili della pigmentazione sono tutte le bande dell’UV, anche se in modo differente: in seguito a esposizione agli UV-A la melanina si dispone negli strati basale e soprabasale dell’epidermide, mentre quella indotta da UV-B si distribuisce in tutta l’epidermide; il VIS e l’infrarosso sono poco o nulla implicati nella normale melanogenesi.
L’osservazione clinica fornisce infine chiare evidenze sui fatto che gli UV agiscono sui sistema immunitario. L’esposizione ad UV può infatti influenzare numerose patologie a patogenesi immunitaria, sia in senso positivo (ad es. psoriasi, dermatite allergica da contatto, dermatite topica … ), che negativo (lupus eritematoso, dermatomiosite … ) .
Causate dalla cronica esposizione al sole sono anche le modificazioni cutanee tipiche del fotoinvecchiamento, o photo-aging; da non confon­dere con I’invecchiamento cutaneo tipico del trascorrere del tempo (chro­no-aging) caratterizzato da cute atrofica (sottile), pallida lassa e solcata da fini rugosità.
Al contrario il fotoinvecchiamento produce un ispessimento cutaneo particolarmente marcato sulla nuca (cute romboidale) e/o su fronte e zigomi, il contorno degli occhi e contrassegnato da rughe spesse e profonde, le aree cutanee presentano macchie scure e macchie chiare, perdita di elasticità; il collagene e le fibre elastiche, infatti in seguito all’azione diretta deIl’UV-B, ma anche a quella dell’UV-A e attraverso la formazione di radicali liberi, vanno incontro ad una progressiva degradazione, con caratteristica comparsa di una cute prematuramente senescente.

Foto-carcinogenesi
Numerose evidenze epidemiologiche e cliniche dimostrano come la radiazione solare sia implicata nella genesi di tumori cutanei sia di natura epiteliale (carcinomi baso- e spino- cellulari) che melanocitaria (melanoma). Nel caso ad esempio, dei carcinomi spinocellulari la loro frequenza è notevolmente più elevata in individui che per ragioni professionali sono stati esposti cronicamente al sole (marinai, contadini, bagnini), mentre per il carcinoma basocellulare ed il melanoma le esposizioni a rischio sembrano essere quelle saltuarie ma particolarmente intense, soprattutto se hanno provocato ustioni in età infantile.
L’esposizione solare nel corso dell’infanzia condiziona anche il numero dei nevi, a sua volta considerato un fattore di rischio per lo sviluppo del melanoma.
Con quale meccanismo le radiazioni solari possono causare la comparsa di un tumore cutaneo?
L’UV corto (UV-B 290-320 nm) viene assorbito direttamente dal DNA, generando dimeri pirimidinici e altri fotoindotti, mentre l’UV lungo ( UV-A 320-400nm) agisce sugli acidi nucleici soprattutto per via indiretta, attraverso la produzione di specie reattive dell’ ossigeno.
A seguito delle alterazioni del DNA, le cellule mettono in opera meccanismi riparativi che iniziano con l’arresto del ciclo cellulare; dopo l’arresto dell’attività replicativa, i sistemi riparativi eliminano le parti danneggiate, consentendo ala cellula di ritornare alle sue normali funzioni.
Se la cellula non riesce ad essere riparata, intervengono ulteriori meccanismi di difesa, rappresentati dall’apoptosi, o morte cellulare programmata: la cellula danneggiata, ma non riparata, verrà eliminata senza avere la possibilità di trasmettere l’anomalia alle cellule figlie.
In alcuni casi però la mutazione porta a inattivazione anche dei geni oncosoppressori e ad alterazione a carico dei geni che regolano l’apoptosi, con conseguente espansione clonale e comparsa di neoplasia.

La fotoprotezione naturale
Nel corso dell’evoluzione gli esseri viventi hanno messo a punta meccanismi naturali di fotoprotezione, rappresentati da
* capacita di inspessimento dell’epidermide dopo ripetute fotoesposizioni
* produzione di melanine fotoprotettive (eu-melanine)
* efficienza di sistemi enzimatici
* antiossidanti (superossidodismutasi, catalasi, glutatione perossidasi) in grado di contrastare l’azione del radicali liberi dell’ossigeno
* efficienza di sistemi enzimatici capaci di riparare il danno degli acidi nucleici (endonucleasi, elicasi, DNA polimerasi … )
* assunzione con la dieta di sostanze antiradicaliche (vitamine C ed E, ubichinone, licopene, carotene)
La pigmentazione costituzionale e la capacita di pigmentazione fotoindotta sono gli elementi essenziali per definire la sensibilità della pelle nei confronti degli UV.
II concetto di fototipo fu formulato da T. Fitzpatrick e si basa sui rilievo dell’anamnesi solare, cioè del comportamento della pelle in occasione dell’esposizione al sole.

(vedi Tabella le 2)

Tabella 1
Fototipo Sensibilità
Reazione all’Esposizione solare
Scottature Abbronzatura
I Elevata Sempre, con facilità Mai
II Elevata Sempre, con facilità Poco
III Media Sempre, moderatamente Gradulmente
IV Scarsa Minima Sempre, con rapidità
V Minima Raramente Sempre, con rapidità
VI Nulla mai Sempre iperpigmentato
Tabella 2

fototipo capelli pelle occhi
I Celtico Biondo-rossi Chiara con efi Blu-verdi
I I Germanico Biondi Chiara +/- efilidi Blu-verdi
III Misto Castani Chiara bruni
IV Mediterraneo Scuri-neri Scura Scuri
V Sud americano Neri Olivastra Scuri
VI Razza nera Neri Nera Scuri

Anche se i fototipi non permettono di individuare con certezza assoluta il grado di rischio del paziente, rappresentano uno strumento di pratica utilizzazione clinica.
L’unico dato che consente pero di stabilire il grado di sensibilità individuale alla radiazione UV e la determinazione della dose minima eritemigena (MED), cioè la dose minima di UV in grado di evocare una risposta eritemigena ben percettibile e a bordi netti.
Questo test, di facile esecuzione, viene effettuato utilizzando un simulatore solare o una lampada UV a banda larga (290-320nm) e irradiando con dosi progressive sei aree cutanee non abbronzate. La lettura si effettua dopo 24 ore e permette di identificare la personale sensibilità all’esposizione solare.
La fotoprotezione topica
Filtri chimici
A questa categoria appartengono un gruppo di molecole organiche in grado di assorbire un intervallo variabile di radiazioni UV nocive, senza impedire l’accesso alla cute di altre radiazioni.
In base alla loro struttura si differenziano in derivati dell’acido para­amino-benzoico (PABA), cinnamati, derivati della benzilidencanfora, salicilati, benzofenoni etc.

Filtri fisici
Ossido di zinco, di magnesio, di ferro, di titanio … so no composti che oppongono un vero e proprio schermo fisico alle radiazioni UV attraverso la riflessione e la diffusione delle radiazioni. Un tempo poco apprezzati perchè conferivano alla pelle una colorazione biancastra, piuttosto antiestetica, attualmente vi sono in commercio forme micronizzate con ottimi risultati anche in termini di gradevolezza cosmetica.
Per la scelta di un filtro solare il criterio di maggior importanza è sicuramente il fattore di protezione o SPF (Sun Protector Factor).
L’SPF viene definito come il rapporto tra la minima quantità di energia di UV-B necessaria a produrre una reazione eritematosa nettamente percepibile (MED= minima dose eritematosa) su cute protetta da un filtro solare e la quantità di energia UV-B necessaria a determinare lo stesso grado di eritema su cute non protetta.
II COLIPA (Comite de Liaison des Industriels de la Parfumerie) distingue invece i prodotti solari, non più in base ad un dato numerico, ma in base all’indicazione del grado di foto­protezione. (Tabella 3)

Tabella 3

 

Classificazione COLIPA SPF corrispondente
Bassa 6-10
Media 15-20-30
Alta 30-50
Molto alta 50+

Autore: Dr.ssa Cristina FIORUCCI
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Genova
Pubblicato giugno 2010