VAGINITI

Esistono meccanismi biologici di protezione locale che agiscono come una barriera di fronte a germi patogeni che è importante cercare di mantenere nel miglior modo possibile e che, così come per l’intestino, sono dovuti anche alla presenza di alcuni bacilli necessari, detti saprofiti e non patogeni.
Il concetto di “ambiente vaginale” veniva preso in considerazione già da Ippocrate il quale per primo esprimava il concetto di interdipendenza di numerosi fenomeni biologici presenti nella vagina esprimendosi inoltre anche con una scrupolosa descrizione del tipo di alcune perdite vaginali dandone anche alcune caratteristiche organolettiche e proponendo alcune terapie da eseguire con l’uso di una “cannula a punta liscia da introdurre nell’ interno della stessa alla cui sommità occorreva fare alcuni piccoli forellini, mentre alla restante parte esterna, andava applicata una vescica secca di animale ripiena di liquido da iniettare; la cannula andava inserita in vagina spingendo la cannula fino in fondo a comprimere la vescica”.
C’erano già non solo i problemi delle perdite vaginali, ma anche chi si era preso l’incarico di darne una illuminata e rigorosa descrizione diagnostica e terapeutica, aggiungendo una serie di preparati a base di erbe, in grado di apportare miglioramenti.
Come si vede esisteva già il tentativo di allestire una irrigazione interna persino del tipo simile a quelle monouso presenti oggi in commercio: non solo, ma vi erano vari trattati riguardanti il tipo di “liquidi” da usare. Ebbene si andava dal “papavero bianco in brodo di semi di ortica” o dalle “foglie di melo grano dolce con galla in vino astringente” ai “pessari di mirra, iride, cipero e zafferano” o alle più imbarazzanti preparazioni a base di “miscela di teste di vermi, allume di Egitto ed annessi fetali”.
Dati anatomici precisi si possono trovare poi nelle opere di Sorano d’Efeso circa nel II secolo d.C. e, quattro secoli dopo, nei trattati per le ostetriche di Muscione (“Gynecia”) ove si suggerivano anche alcuni altri trattamenti topici: “potrai immettere in vagina con la macchina del clistere aceto annacquato o acqua di mirto, lentisco, gelso selvatico, buccia di pomogranato e foglie di salice, oppure potrai mettere dei pessari di lana imbevuta con succo di piantaggine, cicoria, uva lupina o succo di uva acerba”. Nei secoli veniva poi intuita la capacità di assorbimento della mucosa vaginale: Giovanni Mariniello (XVI sec) proponeva forse il primo test di sterilità di coppia basato su un esame certamente meno impegnativo di quelli di oggi:” introdurre uno spicco di aglio nella vagina: se poi la donna puzza di aglio dal naso, non è sterile..”.
Via via nei secoli le cose assumono un aspetto meno empirico, per giungere al settecento dove, con Morgagni, si aveva una prima distinzione del tipo di “fluor” vaginale con specifico trattamento terapeutico: per esempio veniva consigliato di “prendere le radici delle rose bianche, immergerle in un decotto di vino e berlo per alcuni giorni ” o, come in Svizzera, in cui le contadine consigliavano di mangiare” salsicce bianche e gigli bianchi bolliti in acqua”.
Esistono ancora famose annotazioni scientifiche ( .. ) secondo le quali la leucorrea era più frequente nelle donne pingui ed in quelle consumatrici di caffelatte (mentre se assunti separati, caffè e latte non producevano alcun effetto !)
Con l’ottocento si arriva alle scoperte batteriologiche ed istologiche con introduzione di alcuni concetti riguardanti certe “improprietà nel vestire” per cui “sotto le gonnelle passa una aria ghiaccia e dal terreno bagnato si sollevano umidi vapori con conseguenze che nelle più delicate parti del corpo vengono soggette a raffreddamenti certamente poco giovevoli per la igiene sessuale”. Tuttavia venivano proposti trattamenti ancora molto empirici quali “iniezioni in vagina di vapori di acido carbonico o di cloroformio, di balsami a base di china o di segaI a cornuta”.

FLORA BATTERICA VAGINALE
Nella vagina esiste un ecosistema composito in equilibrio tra i vari fattori che lo costituiscono e la cui presenza o alterazione è la principale causa di protezione, resistenza ai germi patogeni.
Esso viene creato dalla presenza di alcuni germi NON patogeni, cioè non in grado di produrre uno stato di malattia ma che vivono da saprofiti nella vagina e di cui il più importante è proprio in b. di Doderlein, e da uno stato ormonale fisiologicamente normale.

 

La vagina presenta una notevole capacità di difesa basata su:

- spessore e struttura dell’epitelio di rivestimento
- elevata acidità (pH 3 – 4,7)
- presenza del b: di Doderlein e dell’insieme dell’ecosistema qualitativamente e quantitivamente integro.
- presenza di stato ormonale fisiologicamente normale.

La presenza degli estrogeni infatti è fondamentale non solo per lo spessore dell’epitelio di rivestimento ma anche nel mantenere il grado di acidità ottimale: la loro presenza induce accumulo locale di glicogeno il quale viene poi metabolizzato dal lactobacillo di Doderlein con produzione con formazione di acido lattico
La flora batterica deve quindi essere considerata una entità dinamica i cui elementi principali vanno protetti e curati (terapie ormonali, terapie topiche con farmaci).

 

 

Le flogosi possono insorgere per:

-contagio sessuale diretto spesso con partners portatori asintomatici del germe
-per interventi praticati ( parti, aborti, esami diagnostici, terapie distruttive di lesioni cervicali uterine)
-per trasmissione attraverso elementi o soggetti ambientali
-per condizioni biologiche o ormonali particolari.

 

 

Le flogosi possono essere favorite da:

-presenza di altre patologie infettive locali
- terapie antibiotiche
-stati o terapie immuno-soppressive
-carenze ormonali fisiologiche o patologiche
-presenza di dispositivi intrauterini
-terapie locali non eseguite correttamente
-eccessivo uso di lavande interne o saponi esterni, tendenti a provocare riduzione dell’acidità vaginale con effetto tampone sull’ acido lattico prodotto. -scarsa igiene personale

 

VAGINITE da TRICHOMONAS
AGENTE INFESTANTE
Protozoo unicellulare
-riconoscibile nelle preparazioni su vetrino umido (aggiungendo cioè una semplice goccia di soluzione fisiologica al vetrino, si possono osservare i protozoi al microscopio)
-favorito dall’ ambiente vaginale poco acido, (quasi neutro, intorno a pH 4,9 – 7,5)
-diffusissimo ed isolabile spesso in persone assolutamente asintomatiche
EPIDIEMOLOGIA
- Frequente nelle persone con partners multipli, condizioni basse socio­economiche, scarsa igiene personale.
- A trasmissione prevalentemente sessuale diretta, anche se è ammesso il passaggio veicolato da alcuni agenti: asciugamani, acque di piscine anche se dorate, serbatoi di acque calde, bagni inquinati)
Il 90% dei partners delle donne infette pur essendo asintomatico, presenta il protozoo nella parte terminale dell’uretra ed il 40% nel liquido prostatico.
- Occorre una forte carica protozoaria affinchè avvenga il contagio.
- I protozoi presenti nell’uomo portatore sono in genere pochi e deboli.
- E’ possibile la reinfezione endogena da parte di Trichomonas che albergano nelle ghiandole parauretrali di Skene e nell’uretra (ciò avviene prevalentemente quando non si esegue anche una terapia per via generale)
- E’ spesso associata ad altre malattie sessuali.
FATTORI FAVORENTI
Tutte le condizioni di diminuita acidità vaginale: perdite mestruali,eccessive irrigazioni, secrezioni di lesioni cervicali, l’eccesso di muco cervicale, le infezioni da Gardnerella vaginlis (v. scheda) e, secondo alcuni, anche la stessa alcalinità dello sperma se trattenuto in loco per oltre 6- 8 ore.
CLINICA
Esiste in forma
ACUTA
CRONICA RECIDlVANTE
ASINTOMATICA
LEUCORREA profusa, giallo-verdastra, più raramente grigiastra spesso maleodorante, in genere di consistenza acquosa-schiumosa.
SINTOMI
- bruciore e dispareunia (rapporti sessuali dolorosi).
- meno frequentemente prurito, eritema e/o gonfiore della vulva, della vagina con comparsa di piccole punteggiature rossastre (petecchie) con aspetto tipico cosiddetto “a fragola”
- diffusione per contiguità alla vulva, cervice, uretra e vescica
- nelle forme croniche possono essere presenti solo la leucorrea, il tipico pH elevato, e l’odore fastidioso
- frequente è la presenza associata della Gardnerella vaginalis da cui spesso è difficile distinguerla: tuttavia la farmacologia in questi casi ci aiuta in quanto per entrambi vale lo stesso tipo di terapia farmacologica.
TERAPIA
Occorre che entrambi i partners eseguano scrupolosamente la terapia, sia locale che per via generale: pena la recidiva della sintomatologia.
Nella donna occore ripristinare la acità vaginale con l’uso di irrgazioni interne a carattere acido.

VAGINITE MICOTICA
AGENTE INFESTANTE
- Monilia Candida Alhicans (88%)
- Candida Glahrata (10%)
(sono funghi del gruppo dei lieviti)
- riconoscihile anche a fresco (dopo stesura su vetrino del preparato cui va aggiunta una goccia di idrossido di potassio al /0-20%) con osservazione diretta degli aspetti tipici delle sue due forme: sporulata o filamentosa (ife)
-si sviluppa in ambiente vaginale acido (pH 3,3 – 4,7) quindi con concomitante presenza del bacillo di Doderlein.
EPIDEMIOLOGIA
- diffusissima, spesso con portatori asintomatici
- è in parte ancora sconosciuto il motivo per cui improvvisamente da elementi saprofiti, diventino sintomatici con sviluppo di sintomi tipici (la sintomatologia si presenta infatti solo nel 30% dei casi in cui viene ritrovata durante l’esame dei secreti)
- frequentissima la recidiva, dovuta probabilmente a
- persistenza della Candida nell’ intestino (vero serbatoio)
- localizzazione intraepiteliale delle cellule vaginali
- localizzazione nell’ uretra, nelle ghiandole di Skene
- spore particolarmente resistenti
- frequente infezione a ping-pong tra i
partners
- trasmissione prevalentemente ses­suale ma è ammesso il passaggio tra­mite altri veicoli (come per il trichomonas ).
- nell’uomo è prevalentemente solo saprofita
SINTOMI
- perdite tipiche
- prurito con edema vulvare
- talvolta bruciore nella minzione
- dolore con i rapporti sessuali
- se prevale il bruciore, l’agente eziologico è la Candida Glabrata
- possibile effetto sinergico (cioè potenziamento dei sintomi) se
associata allo Stafilococcus Aureus.
FATTORI FAVORENTI
- contracccttivi estro
- progestinici
- gravidanza
- presenza di dispositivi intrauterini
- terapia con antibiotici e cortisonici
- diabete mellito
- uso eccessivo di lassativi o ammorbidenti fecali”
- dieta ricca di edulcoranti artificiali,
o ricca in latticini e carboidrati
- scorretta detersione del perinco (detersione erronea dal dietro in avanti, veicolando possibili agenti dall’ano verso la vagina)
CLINICA
- forma acuta
- forma cronica recidivante
- forma asintomatica
- Ieucorrea molto densa, tipo latte cagl iato che spesso aderisce alle pareti vaginali, arrossate e edematose. Priva di odore assume spesso l’aspetto quasi di placche biancastre che si possono reperire anche nelle mutandine.
TERAPIA
una corretta terapia dovrebbe com­prendere vari prodotti locali:
- ovuli intravaginali
- polvere aspersoria per le zone pilifere
- latte detergente
- schiuma detergente
- lavande medicate a base di sostanze antimicotiche
- trattamento necessario anche del partner con i prodotti sopra riportati
- violetto di genziana in soluzione all’ 1 % è in grado di recare sollievo ai sintomi che spesso sono di carattere urente
- necessità di disinfestare sia il serbatoio intestinale sia le varie microlocalizzazioni alternative nelle quali può persistere la Candida (v. sopra)
- occorre persistere nella terapia per un minimo di 10 giorni; ripetendola magari per alcuni periodi, anche se in assenza di sintomi
- sarebbe opportuno talvolta iniziare la terapia alcuni giorni prima delle mestruazioni, per continuarla quando sono ancora presenti tracce ematiche
- esistono vari schemi terapeutici sia per bocca che localmente mediate uso anche di prodotti deposito cioè a lenta dimissione del farmaco.
Si raccomanda in genere un precoce ricorso al proprio ginecologo per la scelta delle terapie opportune, anche se spesso la recidiva della malattia non dipende nè da una terapia tardiva nè inadeguata.

VAGINITE da GARDNERELLA VAGINALIS
Haemophylus
AGENTE INFESTANTE
- piccolo batterio scoperto da Gardner e Dukes nel 1955
- tende ad innalzare lievemente il ph vaginale
EPIDEMIOLOG lA
-presente nel 20% delle donne con atti­vità sessuale
- contagio sessuale ma anche con indu­menti, servizi igienici e asciugamani – recidiva frequentissima anche per as­soluta asintomatologia nell’uomo
SINTOMI
- nessuno specifico particolare: solo un odore forte delle perdite bianco-grigiastre
- raramente bruciore (per frequente associazione con Trichomonas) e/o prurito
DIAGNOSI
- perdite maleodoranti
- assenza sintomatologia
- tipico reperto nello striscio visionato “a fresco” di cellule con un aspetto caratteristico (detto due cells).
TERAPIA
- terapia antibiotica locale e generale (tetracidine, ampicilline, metronidazolo), sfruttando molecole ad azione terapeutica anche sul Trichomonas.

VAGINITE DA GONOCOCCO
AGENTE INFESTANTE
E’ la cosidetta “Blenorragia” o “gonorrea”
- raramente colpisce la vagina, ma più frequentemente la ghiandola del Bartolini, l’uretra e le sue ghiandole (ghiandole Skene), la cervice e specialmente le tube.
- è sostenuta da un batterio scoperto nel 1879 detto “Neisseria gonorrheae” molto sensibile in quanto è ucciso dal calore o dal freddo e la semplice acidità vaginale è in grado di distruggerlo; talvolta in condizioni di alterazioni della vagina, esso tende a “scappare” e a rifugiarsi nelle ghiandole di Bartolini o verso l’alto, nell’uretra, nella cervice fino ad arrivare nelle tube, provocando la grave “salpingite acuta” con febbre e sintomatologia generale
EPIDEMIOLOGIA
- talvolta riscontrabile nelle bambine e nelle donne in post-menopausa (condizioni di assenza degli estrogeni ­assenza di glicogeno -alterazioni della acidità vaginale;
- contagio nell’adulto: contagio diretto per via sessuale proveniente dall’uretra maschile:
la labilità del germe non consente altro tipo di contagio.
SINTOMI
- incubazione 2-7 giorni con comparsa di bruciori e dolori alla minzione con osservazione di eventuale perdita di aspetto purulento proveniente dall’uretra o dalle vicine ghiandole di Skene.
- !’infezione può risalire e giungere ad infettare le salpingi (=salpingite) nel 2-20% dei casi
- comunque raramente all’inizio si ha una sintomatologia eclatante come invece avviene nell’uomo (uretrite e/o epidimite acuta con leucorrea uretrale tipica).
TERAPIA
Antibiotici anche per bocca da usare precocemente (penicillina, amoxicillina, spectinomicina, talvolta anche associati a tetracicline e eritromicina per combattere la frequente concomitanza di infezione da Clamydia Trachematis), al fine di prevenire le terribili complicanze tubariche.

VULVOVAGINITI VIRALI
Da alcuni anni ormai i virus sono indagati a fondo poichè è emerso con certezza che sono considerati fattori importanti in grado di provocare alterazioni cellulari ad alto rischio di degenerazione maligna a livello del tratto genitale femminile.
Il loro riscontro, a livello vulvare, vaginale o perienale è importante, sia per evitare il contagio tra i partners, sia come sentinella di una possibile presenza del virus anche a livello della cervice uterina ove sarebbe in grado di intervenire come importante cofattore nella cancerogenesi locale.
I virus maggiormente responsabili sono:
H.P.V: Human Papilloma Virus o Virus dei papillomi umani
U.S.V: Herpes Simplex Virus tipo 2

Essi vivono a livello intracellulare, in cellule vive e nello spessore dell’ epitelio: quindi non entrano in competizione diretta con quei microrganismi responsabili della formazione e dell’ equilibrio dell’ecosistema vaginale.

H P V
comprende un vasto numero di piccoli virus a DNA in grado di indurre a livello dell’epitelio squamoso una proliferazione reattiva (verruche) e possono essere localizzati a livello vulvo- perineale (tipo HPV 6 e 11, a basso rischio oncogeno), cervicale (HPV 16-18-31, a alto rischio oncogeno) ed anche a livello cutaneo o orofaringeo (anch’essi a basso rischio).
CLINICA
Il virus, dopo una incubazione che varia da 1-2 a 9 mesi, infetta il nucleo delle cellule inducendone una rapida proliferazione per lo più di tipo papillare (Condiloma acuminato) a livello perineale e vulvo-vaginale; altre volte, specie a livello della cervice uterina, assume l’aspetto di un piccolo rilievo piano (condiloma piano) o con un piccolo nodulo che si approfonda (Condiloma invertito o endofitico).
Il Condiloma piano ed il Condiloma invertito sono lesioni visibili solo con l’uso del Colposcopio (v. Colposcopia D&T 8/90) mentre per le lesioni vulvari l’uso del colposcopio serve sostanzialmente per la conferma della diagnosi (vulvo-scopia).
Esiste anche per l’uomo la possibilità di diagnosticare queste piccole lesioni mediante l’applicazione del colposcopio (fallo o peno-scopia).
A livello vulvare e perineale queste lesioni possono rimanere invariate nel tempo; altre volte possono crescere e moltiplicarsi (condilomatosi multipla) e allargarsi (condiloma florido) o tendono a confluire o a formare microproIiferazioni (micropapilIomatosi) visihili solo al colposcopio.
EPIDEMIOLOGIA
Spesso si associano ad altre malattie (trichomonas, Gardnerella o HSV” e gonorrea).
- lesione tipica dell’ età fertile
- favorita dalle situazione di alterazione dello stato immunitario: gravidanza, farmaci ecc.
- contagio diretto con partner portatore di verruca non trattata.
RISCHIO ONCOGENO
E’ più alto per i virus HPV 16 e 18 a livello cervicale: il loro patrimonio genetico è stato riscontrato in quasi il 70% delle lesioni neoplastiche della cervice di grado elevato (CIN III) ed anche nel 40% di lesioni più gravi: il genoma del virus HPV 6 e 11 lo si può trovare nel 20% di lesioni meno gravi (CIN I e CIN II), è invece molto scarso per i virus HPV responsabili dei condilomi vulvari, perineali, cutanei o orofaringei.
SINTOMI
- spesso i condilomi si repertano casualmente durante una visita o sono scoperti dalla paziente stessa.
- spesso si associano ad altre infezioni per cui troviamo i sintomi derivanti da queste: leucorrea, bruciori, pruriti.
- di fronte ad un sintomo persistente nonostante una corretta terapia è utile eseguire una indagine vulvoscopica.
DIAGNOSI
- visualizzazione diretta del condiloma
- vulvoscopia (e colposcopia associata) e penoscopia
- ricerca di anticorpi specifici
TERAPIA
- vanno curati per evitare il contagio e non tanto per lo scarso rischio oncogeno, per altro presente solo per alcuni di essi
- importante valutare entrambi i partners
- esiste la possibilità di intervenire direttamente sulla lesione con applicazioni locali di soluzioni a base di podofillina o trattamenti a base di antivirali, compreso l’interferone con terapie locali (pomate) o generalizzare (iniezioni)
Infine esiste la possibilitì di recidere le lesioni verrucose con trattamenti di diatermo o crio-chirurgia o con il Laser a CO2.

H S V
Appartiene allo stesso gruppo dei virus responsabili deIl’Herpes Labiali (HSV I) e per il quale può esistere infezione crociata diretta, della Varicella Herpes Zooster, e comprendente anche il Cytomegalovirus, il virus di Epstein­Barr.
Entra nelle cellule vulvari epiteliali, si replica creando una globale disorganizzazione dell’ epitelio con flogosi acuta: si raccoglie il liquido sotto gli strati superficiali(= vescicola) ricchissimo di virus e molto infettante.
La flogosi provoca sia un interessamento dei linfonodi periferici sia una necrosi degli strati superficiali, con fuoriuscita del liquido.
Si formano così piccole ulcerazioni che tendono a confluire e a ricoprirsi di fibrina e che possono anche guarire spontaneamente. Il virus si ritira nei gangli sacrali, pronto a ripresentarsi con le stesse manifestazioni (=recidiva) anche se meno eclatanti. La presenza di vescicole erpetiche a livello vaginale è una delle indicazioni nelle donne gravide a partorire con taglio cesareo per evitare il contagio fetale (con gravi esiti) durante il passaggio del feto nel canale vaginale.
Ha una incubazione che varia (3-7 giorni) con comparsa di un edema con rossore dolente e rilevato: in 48 ore si forma la viscicola: una volta scoppiata, l’ulcera guarisce in 20-30 giorni mentre i sintomi soggettivi scompaiono in 10-12 giorni circa. Esistono una forma acuta, una sub-acuta ed una cronica-recidivante.
EPIDEMIOLOGIA
- lesione dell’ età fertile
- favorita dalle terapie antibiotiche prolungate, dallo stato di immuno­soppressione
- associata a infezioni di candida persistenti
- contagio per via sessuale diretta o trasposizione del virus proveniente da altre vescicole.
- possibile infezione crociata con virus dell’ herpes labialis (HSV1)
SINTOMI
Nella forma acuta compare dolore locale, linfoadenopatia inguinale, febbricola e malessere: persiste un dolore, limitato alla sede di lesione e bruciore; notevole è la dispareunia se è coinvolta l’uretra vi possono associare disturbi urinari. La sintomatologia delle recidive è meno impegnativa: come per HSV1 esse avvengono per varie situazioni (flogosi, shock, mestruazione, stress, esposizione al sole etc.)
RISCHIO ONCOGENO
Anch’esso sembra coinvolto nella cancerogenesi della cervice uterina: infatti in quasi il 90% dei carcinomi cervicali si reperiscono a titoli più o meno elevati, antigeni specifici per questo virus (mentre normalmente la positività nei tessuti normali non va oltre il 2%); inoltre la presenza di frammenti provenienti dal HSV di DNA o RNA all’interno del genoma della cellula tumorale, ha confermato questi sospetti.
Ugualmente, ma meno frequentemente sarebbe coinvolto nella cancerogenesi vulvare e vaginale.
DIAGNOSI
- sintomatologia e visualizzazione diretta delle vescicole:
- anamnesi di situazioni favorenti
- coltura del liquido delle vescicole con ricerca citologica di cellule caratteristiche
- ricerca degli anticorpi specifici.
TERAPIA
Si usano con vari risultati, farmaci per esempio antivirali o pomate da applicare più volte al giorno compreso l’uso di interferone intramuscolare e di immuno-modulatori, l’efficacia delle terapie migliora, quanto più precocemente viene iniziata, possibile è la eliminazione delle lesioni con il laser alla CO2.
PREVENZIONE DEL RISCHIO ONCOGENO
Una volta che viene posta diagnosi di lesione virale, va intrapreso un programma di monitoraggio molto semplice e che si collega in pratica al più ampio discorso sulla prevenzione dei tumori dell’apparato genitale femminile che da anni impegna la Sanità Pubblica e tutti i ginecologi. Esso si basa sui seguenti punti:
- va approfondita e estesa la ricerca anche a livello della cervice uterina, in quanto alcuni di questi virus, nel tempo possono produrre alterazioni nella crescita cellulare a rischio di degenerazione;
- va indagato anche il partner con un esame simile a quello cui si sottopone la donna;
- lo striscio colpocitologico a livello della cervice, è in grado, in assenza di altre indicazioni, di porre sospetto di lesione virale;
- la vulvo-scopia, la colpo-scopia e la peno-scopia, associate alla eventuale biopsia mirata, sono in grado di soddisfare completamente la necessità della prevenzione e consente di monitorare nel tempo la regressione della lesione dopo la terapia.

ENDOMETRIOSI 
Si tratta di una malattia con caratteristiche tanto particolari da distinguerla sia dalla patologia infiammatoria sia da quella neoplastica.
Essa è dovuta alla disseminazione di tessuto endometriale (cioè la parte di mucosa che ogni mese si costruisce o si sfalda ciclicamente e la cui normale sede è all’interno dell’utero) in sedi differenti da quella fisiologica.
Queste piccole isole di mucosa, pur in sede del tutto anomala, rimangono comunque sensibili agli effetti degli ormoni ovarici (estrogeni e progesterone) ed assumono microsco­picamente gli stessi aspetti della muco­sa uterina, compreso un micro­sanguinamento in epoca mestruale.
Si tratta quindi di una malattia dell’età fertile, rara nella pubertà e che regredisce con l’esaurimento della funzione dell’ ovaio (menopausa, castrazione chirurgica. etc.)
PATOGENESI
Vi sono alcune teorie che si basano su numerose ipotesi:
a) reflusso tubarico di sangue mestruale e successivo impianto di alcuni frustoli endometriali su nuovi tessuti;
b) presenza di piccole isole di cellule embrionali in vari organi, simili a quelle che concorrono a formare sotto l’influsso della stimolazione ciclica ormonale, l’apparato genitale interno femminile; queste cellule, conservando questa possibilità di evolvere e costruire tessuto endometriale, dopo il menarca inizierebbero la loro funzione in quei tessuti o organi ove sono rimaste isolate;
c) disseminazione linfatica. ematica;
d) disseminazione chirurgica
e) predisposizione genetica
f) alterazioni del sistema immunitario.
La si può trovare anche:
all’esterno dell’utero si trova con più frequenza:
- ovaio (80%)
- peritoneo del Douglas (lo spazio tra utero e retto)
- legamenti che sostengono l’utero
Ma si può reperire anche a livello delle tube, del retto, della vescica, del peritoneo che ricopre l’utero, nella vagina, nella cervice, nelle cicatrici laparotomiche etc. e persino in zone più distanti (pleura, polmone)
Si tratta comunque di una malattia che sembra in aumento; in circa 20-30% di donne sottoposte ad intervento di laparotomia per qualsiasi causa, si repertano piccoli noduli endometriosici e si accompagna spesso ad una storia anamnestica di dolori pelvici cronici, trattati con vario successo e con numerosi farmaci.
In pratica in questi piccoli isolotti di cellule endometriali, si crea un microciclo mestruale parallelo e con temporaneo a quello endometriale, con tanto di micro emoraggia; tale aspetto provoca una reazione del tessuto connettivo circostante che si organizza nel tentativo di “isolare” queste cellule con una intensa reazione fibroadesiva e creando aderenze tenaci con tutto ciò che sta intorno.
Queste piccole “cicatrici” nel tempo possono crescere trasformandosi in veri e propri “noduli” ed aumentare di numero disseminandosi.
SINTOMI
Nel 20-25% può essere asintomatica;
Dolore ciclico in sede pelvica in stretta correlazione con il ciclo mestruale (dismenorrea) o più raramente in fase ovulatoria.
Nel 40% vi può essere una dispareunia profonda (dolore con i rapporti ma a penetrazione completa)
Nel 30-40% si associa a sterilità, dovuta essenzialmente alle lesioni indirette provocate dalle aderenze sulla morfologia tubarica (angolature e dislocazioni) ma anche a situazioni concomitanti di insufficiente o mancata ovulazione per le quali si sta tuttora valutando se esista una reale correlazione con la nostra malattia.
DIAGNOSI
L’esame clinico e soprattutto l’anamnesi di dolori cronici ciclici resistenti a varie terapie, di una storia di sterilità apparentemente inspiegata e talvolta di dispareunia, consente di porre il sospetto di endometriosi. L’esame principale per la diagnosi definitiva è la Celioscopia vale a dire la visione diretta con una piccola sonda addominaIe dei noduli. (Si svolge in anestesia e dopo avere riempito, tramite la sonda stessa ,di aria l’addome al fine di rendere ogni spazio interno da virtuale a reale. Tale metodica consente sopratTutto di dare una “mappatura” delle lesioni endometriosiche valutandone il numero, la dimensione e la gravità delle aderenze potendole così confrontare a distanza di tempo a conferma dell’ esito positivo delle eventuali terapie eseguite.
Esami di supporto possono essere l’ecografia, gli esami radiografici dell’ultimo tratto dell’intestino, la pielografia disc. e cistoscopia.
Oggi vengono usate classificazioni di gravità dell’endometriosi stilate con un punteggio numerico dedotto dall’ esame celioscopico delle lesioni e che suddivide la malattia in vari stadi:
I stadio: minima
II stadio: lieve
III stadio: moderata
IV stadio: grave o severa
TERAPIA
Può essere sia chirurgica sia medica e dipende sia dallo stadio della malattia, sia dal desiderio o meno di avere una gravidanza a breve scadenza. L’intervento chirurgico permette di eliminare, anche se spesso con difficoltà, le aderenze, di cauterizzare le lesioni minime, di aspirare le cisti in sede ovarica di ancora modeste dimensioni e che sono prodotte dalla localizzazione in quella sede della malattia (la cisti si forma internamente all’ovaio stesso a causa degli stessi meccanismi ricordati in precedenza ed assume un caratteristico colore scuro dovuto alI’ accumulo di sangue).
La chirurgia effettuata sia con il semplice coelioscopio o ad addome aperto (con laparotomia) deve ripristinare la normale localizzazione dell’ovaio e delle tube ed operare tecniche il più possibile atraumatiche sui tessuti e correlate di attrezzature adeguate per la microchirurgia al fine di non aggiungere, oltre ai danni della malattia quelli iatrogeni dell’ intervento.
La terapia medica è indicata in pazienti con malattie al I-II stadio e che al momento non desiderano gravidanze. Essa in pratica tenta di riproporre farmacologicamente ciò che già avviene in natura: sia l’endometrio normale che quello eteropico durante una gravidanza subisce un processo di decidualizzazione per cui va incontro ad una necrobiosi transitoria (ecco per esempio il motivo per cui tra gli indirizzi terapeutici vi è quello di cercare di avere quanto prima una gravidanza, fattori di sterilità permettendo … ) per cui non tende a proliferare. Anche la menopausa provoca un blocco proliferativo dell’ endometrio, con conseguente atrofia della mucosa uterina.
Le varie terapie mediche soppressive esistenti tendono comunque a sopprimere transitoriameme sia l’ovulazione sia la mestruazione per un tempo variabile e dipendente dalla durata della terapia.
Le varie proposte terapeutiche necessitano di adeguati controlli ematochimici durante la loro assunzione e possono presentare alcuni effetti collaterali la cui entità andrà valutata di volta in volta.
Oggi vengono adottati con successo.
l) 17-alfa-etinil-testosterone per via orale (danazol) per almeno 6-9 mesi (provoca l’atrotia della mucosa endo­metriale)
2) somministrazione continua di gestageni (derivati del Progesterone) per bocca o sotto forma di iniezioni in “preparati deposito”
3) somministrazione periodica di gestageni iniettabili associati ad estrogeni iniettabili, sempre sottoforma di “preparati deposito”
4) pillola estro-progestinica ad alto dosaggio
I farmaci del punto 2-3-4 producono la “decidualizzazione” dell’ endometrio. Altri preparati sono a tutt’oggi allo studio (gestrinone, analoghi sintetici del Gn-RH) al fine di potere ampliare i vari schemi terapeutici
La recidiva della malattia è frequente anche in caso di terapia ottimale ed avviene in circa il 30-40% dei casi. Non esistono infine possibilità reali di una prevenzione, se non quelle di una diagnosi il più precoce possibile effettuata con accurata anamnesi e che tenga conto anche di eventuali precedenti famigliari.

Dott. Riccardo Tripodi
Ginecologo
Pubblicazione Giugno 1992

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