VULVOVAGINITI GRAVIDICHE

La leucorrea è un sintomo che compare molto frequentemente durante la gravidanza e, entro certi limiti, può essere considerato un evento fisiologico mancando la sovrapposizione di germi patogeni. Il problema fondamentale che spesso si pone è il riconoscimento precoce del limite di demarcazione tra la normalità e la situazione francamente patologica. 

La vagina possiede una notevole capacità di difesa contro le differenti noxae, basata principalmente sulla acidità ambientai e (pH intor­no ai 3,5-4,7) e sulla presenza del bacillo di Doderlein. Entrambi i fattori sono strettamente dipendenti dalla quantità di glicogeno presente nell’epitelio vaginale che a sua volta è correlato al tasso di estrogeni circolanti.

L’influsso degli estrogeni
Al di fuori dello stato gravidico, durante un ciclo mestruale normale l’influsso degli estrogeni sulle cellule vaginali, altamente differenziate in senso acidofilo, fa sì che queste reagiscano scarsamente alla presenza di miceti; al contrario nella seconda metà del ciclo si creano situazioni particolari che rendono le cellule epiteliali vaginali più sensibili all’attacco dei miceti in relazione all’azione del progesterone. È noto inoltre che il pregnandiolo stimola in vitro la crescita della candida albicans.
Durante la gravidanza si assiste a una ipertrofia della mucosa vaginale a opera del mutato equilibrio endocrino, in grado di indurre un aumento dello spessore che può raggiungere il valore di cinquecento micron. Tale processo coinvolge principalmente le cellule dello strato intermedio dove si riscontra un tale accumulo di glicogeno da determinare spesso la citolisi.
Questo fatto determina una abbondante proliferazione microbica soprattutto del bacillo di Doderlein che trasforma il glicogeno liberato in acido lattico impedendo teoricamente lo sviluppo di altri ceppi patogeni. Oltre un certo limite però il pH, che inizialmente subisce un abbassamento, tende al contrario a salire, le difese vaginali vengono meno a un’infezione sino ad allora latente, si può manifestare clinicamente. A tal proposito la comparsa di sintomatologia soggettiva caratterizzata da prurito, bruciori dipendenti dalla presenza di acetaldeide, acido acetico e acido piruvico, tutti derivanti dalla fermentazione dei carboidrati, rappresenta certamente il passaggio dalla leucorrea fisiologica a una su base flogistica.

L’esame batteriologico
Per quanto riguarda la frequenza con cui i vari agenti patogeni si rendono responsabili della vulvo-vaginite gravidica, la tabella mostra le differenti percentuali. Dai dati espressi è possibile attribuire alla candida albicans la maggiore responsabilità nella patogenesi di queste forme infiammatorie.
La maggior parte delle vaginiti in gravidanza è infatti provocata da tale microrganismo e frequentemente la diagnosi clinica è facilitata dalla comparsa di perdita di colore biancastro con aspetto cremoso e spesso dalla contemporanea presenza di un alone eritematso simmetrico sulla vulva e alla radice delle cosce (epidermofizia inguinale) .
Dato però che la diagnosi clinica non sempre è agevole per ciò che riguarda l’identificazione dell’agente causale, è opportuno effettuare l’esame batteriologico del secreto vaginale al fine di instaurare una terapia mirata. Infatti se all’esame cito batterio logico non sono presenti germi patogeni, ma semplicemente cellule vaginali, leucociti, bacilli di Doderlin anche in numero elevato e germi saprofiti in numero moderato, la terapia sarebbe inutile se non addirittura controproducente.
Anche il trichomonas vaginalis è spesso chiamato in causa pur se con frequenza nettamente inferiore rispetto alla candida albicans alla quale peraltro spesso si associa nel determinismo delle flogosi vaginali gravidiche. Per ciò che riguarda i germi banali possono essere ricordati i colibacilli, gli enterococchi, gli streptococchi e numerosi altri. Va detto che in questi casi spesso coesiste una cervicite che è in grado di influenzare negativamente l’andamento della vaginite al punto che, se non curate, si può stabilire un circolo vizioso.
Una volta effettuata la diagnosi etiologica è fondamentale impostare quanto prima la terapia al fine di evitare possibili risalite dell’infezione all’interno della cavità uterina. Va infatti ricordata la possibilità di endometrite post partum soprattutto se si sono rese necessarie manovre strumentali durante l’espletamento del parto, e non è infrequente che alcune diastasi di episiorafie siano dovute alla colonizzazione della sutura da parte di agenti patogeni presenti in vagina e non trattati convenientemente.

I farmaci attivi
Per ciò che rigarda le sostanze terapeuticamente attive, esse sono esattamente le medesime impiegate al di fuori della gravidanza. Particolarmente attivi il cotrimazolo e l’econazolo in caso di vaginiti da candida e l’imidazolo in caso di infestazione da trichomonas vaginalis.
Da ultimo va ricordato che la terapia deve essere effettuata anche sul partner maschile al fine di evitare continue e fastidiose recidive, già di per sé frequenti, spesso ribelli alle terapie.

 

Frequenza relativa ai differenti germi nell’ezimologia della vulvo-vaginite gravidica

Trichomonas

22,9%

Candida

39.2%

Trichomonas + candida

15,3%

Germi banali

7.6%

Leucorrea fisiologica

15,4%

Da Pearl e Walter, statistica effettuata presso il Mount Sinai Hospital

 

Giampaolo Garrone
Divisione di Ostetricia e
Ginecologia dell’ ospedale di Seregno
da: ‘Corriere Medico’ 24-25/X/81
Pubblicazione Febbraio 1985

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